L’Iran minaccia “azioni preventive”, ma il Team Biden pensa a dissuadere Israele

Regia iraniana evidente, ma Washington impegnata a frenare Israele sia a Gaza che sul fronte nord. Il solito gioco di Teheran: nascondersi dietro i suoi proxies

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Amirabdollahian_Iran

Il primo video di un ostaggio pubblicato da Hamas, una ragazza franco-israeliana di nome Mia Shem. Il primo attentato emulativo del massacro del 7 ottobre nel cuore dell’Europa, a Bruxelles. E il ministro degli esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, che minaccia già nelle prossime ore “azioni preventive” da parte dell’“Asse della Resistenza” – le milizie sotto il controllo di Teheran – contro Israele. Preventive rispetto all’operazione di terra nella Striscia di Gaza. “L’espansione della guerra nell’ambito del fronte della Resistenza creerà uno scenario che cambierà la mappa geografica del regime occupante“. Tradotto: cancellerà Israele dalla mappa. Secondo l’IDF, l’Iran avrebbe già ordinato a Hezbollah di intensificare l’escalation sul fronte nord.

La regia iraniana

Ministro iraniano attivissimo nei giorni scorsi. Ha incontrato i leader di tutte le milizie filoiraniane, dal capo di Hezbollah Hassan Nasrallah, a Beirut, al leader di Hamas Ismail Haniyeh, a Doha. Poche ore prima, un suo portavoce aveva dichiarato che “i crimini del regime sionista vengono commessi con il sostegno degli Stati Uniti e Washington deve essere ritenuta responsabile“. Per giorni abbiamo aspettato che il segretario di Stato Antony Blinken annunciasse che Washington ritiene responsabile l’Iran.

Cos’altro deve succedere per riconoscere e denunciare la regia iraniana dietro l’attacco di Hamas e l’escalation in atto e trarne le dovute conseguenze? Eppure, è l’Iran che minaccia, è l’Iran che traccia linee rosse, è l’Iran che ritiene gli Usa responsabili, è l’Iran che sembra avere – o almeno ne è convinto – l’iniziativa, mentre ancora oggi, anziché ritenere Teheran responsabile, l’amministrazione Biden nega di avere prove del suo coinvolgimento, affermazione ripetuta domenica dallo stesso presidente, per scongiurare una escalation. Scordando ancora una volta che il regime iraniano non ha affatto bisogno di intervenire direttamente per scatenare una escalation che costringa Israele ad una guerra su più fronti fino a minacciarne la stessa esistenza.

Le pressioni Usa

Nel pomeriggio di ieri, la notizia rilanciata da un giornalista israeliano, Nahum Barnea, secondo cui il Pentagono avrebbe chiesto a Israele di promettere di non lanciare una guerra contro Hezbollah in Libano, assicurando che nel caso di attacco da parte di Hezbollah, gli Stati Uniti invieranno la loro forza aerea per assistere Israele. Non è forse un caso che poche ore dopo questa vera e propria azione di dissuasione su Israele, sia arrivata da Teheran la minaccia di “azioni preventive” .

A cui si somma l’iniziativa di Blinken che ieri sera era a Gerusalemme per ricattare Netanyahu (ben 7 ore di colloqui): se non consentirà gli aiuti umanitari a Gaza, allora non avrà il continuo sostegno internazionale per un’operazione di terra nella Striscia.

Washington ha sì messo in guardia attori statuali e non dall’intervenire e inviato due gruppi navali nel Mediterraneo orientale per rendere credibile la sua deterrenza e la sua volontà di difendere Israele. Domenica sera il presidente Joe Biden ha ripetuto il suo messaggio a Hezbollah e all’Iran: Don’t (“non attraversare il confine”) e affermato che Hamas “va eliminata”.

Ma non è ancora chiaro cosa farà se Hezbollah, per esempio, o altri gruppi, dovessero attaccare in forze Israele. La rappresaglia Usa prenderà di mira anche il regime iraniano, o sarà limitata a scopo difensivo e a colpire i suoi proxies? Dalla linea rossa tracciata da Teheran non sembra che gli iraniani credano molto alla prima ipotesi.

E se guardiamo ai precedenti in filigrana, vediamo Usa e Ue dichiarare in pubblico il loro sostegno a Israele, ma dietro le quinte impegnarsi più a contenerlo, a legargli le mani, perché altrimenti dovrebbero prendere atto di dover ribaltare la loro politica in Medio Oriente, pigramente adagiatasi sull’idea dei due Stati, e purtroppo Israele costretto ad accettare di farsi legare le mani per la sua eccessiva dipendenza dagli Usa.

La deterrenza iraniana

Israele non può permettersi che Hamas sopravviva, non può limitarsi ad una punizione non risolutiva come in passato, come forse Usa e Ue preferirebbero. Di fronte al più grave ed efferato eccidio di ebrei dall’Olocausto deve ristabilire una deterrenza. Non solo nei confronti di Hamas, ma anche di Teheran e dei suoi proxies, in modo che suoni come richiamo anche all’Occidente impegnato nel riallineamento verso l’asse Iran-Qatar. Altrimenti avrebbe i giorni contati.

Ma cosa farà il regime iraniano di fronte alla concreta prospettiva di una distruzione di Hamas? La missione iraniana all’Onu ha fatto sapere che “le forze armate iraniane non affronteranno Israele a condizione che Israele non osi attaccare l’Iran, i suoi interessi, i suoi cittadini. La resistenza può difendersi da sola”.

Ora, Hamas non sembra corrispondere ad alcuna di queste categorie, nonostante sostenuta, armata e finanziata da Teheran per servire i suoi “interessi”. Hezbollah sembra invece rientrare nella seconda, mentre il Corpo delle guardie della rivoluzione (IRGC), i Pasdaran, rientrano in tutte e tre: Iran, interessi, cittadini.

Quindi, Israele non dovrebbe rischiare un intervento diretto iraniano procedendo con la sua controffensiva su Hamas. Ma sarebbe sbagliato concludere che Teheran sia pronta a sacrificare Hamas. Il ministro degli esteri Amirabdollahian ha avvertito che se i crimini contro i palestinesi a Gaza continuano, se Israele e Usa non cambiano la loro politica, la risposta dell’“Asse della Resistenza”, così ha chiamato l’insieme delle milizie sostenute da Teheran, “cambierà l’attuale mappa delle terre occupate”. E che tutte le milizie filo-iraniane della regione hanno “alti livelli di coordinamento”, sono pronte a “tutti gli scenari” e tengono “le dita sul grilletto“.

Punire il mandante

Quello iraniano è il solito gioco: tenersi al riparo da rappresaglie da parte di Israele e Usa attaccando attraverso i suoi proxies. Finora è un gioco riuscito, tranne quando Donald Trump reagì all’attacco di una base Usa in Iraq uccidendo l’allora comandante della Forza Quds Qassem Soleimani.

Il regime iraniano scommette sul fatto che, come in passato, non pagherà alcun prezzo significativo per la sua guerra per procura. E questo rende l’escalation più probabile. L’unico modo per provare a fermarla è che il regime iraniano abbia ben chiaro che stavolta nascondersi dietro i suoi proxies non lo terrà al riparo da rappresaglie Usa e, anzi, pagherà un prezzo molto alto.

Per esempio, vedersi riportare il suo programma nucleare indietro di decenni. In quel caso, l’obiettivo di diventare potenza nucleare sarebbe prioritario rispetto ad una escalation oggi.

Banalmente, continuare a punire o anche eliminare i sicari non risolverà il problema, finché il mandante resterà sostanzialmente impunito.

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