Esteri

L’ora di un sovranismo pragmatico, ma la riduzione del danno non è una strategia

Mentre Donald Trump ha affinato il messaggio e sviluppato la sua rete, le forze conservatrici e sovraniste europee in ordine sparso e in mezzo al guado

Draghi Meloni Ue © samuel howell tramite Canva.com

Come da previsioni il 2024 sarà un anno di grandi cambiamenti, tra elezioni presidenziali Usa, elezioni europee ed una geopolitica tra Est Europa, Medio Oriente, non dimenticando il Pacifico, in continuo subbuglio.

I vari attori con i loro posizionamenti sono in piena attività nei principali continenti: la recente uscita pubblica di Mario Draghi non è che l’ultima di una serie di messaggi, elaborazioni strategiche, azioni, tra le varie correnti di pensiero che percorrono un Occidente in grande travaglio esistenziale.

Se Draghi propone, per quanto discutibili, limpide e trasparenti traiettorie per, fondamentalmente, più Europa, dall’altra parte gli attori delle correnti di pensiero antagoniste sembrano alle soglie di un guado, altamente indecise sul da farsi.

Dall’altra parte dell’oceano, archiviato l’urlato periodo del complottismo post-elettorale, dei vari QAnon e dei riconteggi, con il pragmatismo dell’uomo d’affari il candidato Donald Trump ha definito un chiaro messaggio elettorale, sviluppando negli ultimi anni anche una solida rete amministrativa tra governatori ed eletti nei vari Stati a guida repubblicana e non solo. La rete trumpiana oggi è trasversale nel mondo del business, dei media e più in generale nella società americana.

Mentre in Europa, divise tra esigenze nazionali, risposta all’aggressione russa, le cosiddette forze conservatrici e sovraniste stanno andando verso le prossime elezioni europee con una comune analisi dei problemi dell’Unione ma senza una vera ed univoca strategia d’azione.

Infatti, se da un lato tanti movimenti politici hanno archiviato la possibilità di una radicale riforma dell’Unione, oggi sembra che l’obiettivo sia solo quello di aver il minimo danno possibile sui vari dossier, dal clima e l’industria, alla salute e alle libertà economiche. Sembrano fermi ad una corretta analisi delle storture e limiti delle politiche europee ma senza una e vera propria strategia per raggiungere risultati concreti e invertire un trend di declino che attanaglia il nostro continente.

Manca un vero e proprio piano di “execution”, anche l’elettorato sembra stanco di una semplice anche se giusta, critica all’attuale sistema europeo, tanto più che le cosiddette forze sovraniste, tranne rari casi, non sono maggioranza in quasi nessuna nazione continentale.

Anche in questo caso guardare dall’altra parte dell’oceano può essere molto utile, va anche inteso che l’elaborazione di piani post-sovranisti meno ideologici ma più pragmatici, e magari veramente incisivi, necessitano di una grande mobilitazione non solo di consensi ma anche di classi dirigenti.

La sfida di un Europa in crisi di identità può essere vinta non solo rivendicando solidi principi ma anche rispondendo allo spirito dei tempi con grande forza di volontà e anche astuzia, scaltrezza ed ingegnosità.

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