Esteri

Ma siamo sicuri che abbia ancora senso parlare di “soluzione a due Stati”?

L’ipocrisia di una soluzione che non è la soluzione: fin quando la leadership palestinese avrà come obiettivo la scomparsa di Israele e degli ebrei, non ci sarà pace

Gaza Israele map © ntmw, stellalevie e Daboost tramite Canva.com

L’efferato attacco terroristico perpetrato da Hamas sabato 7 ottobre, causando centinaia di vittime innocenti in Israele, ha fatto di fatto riaperto le ostilità in Medio Oriente.

Sui media internazionali si susseguono reportage e dibattiti incentrati sull’attualità, che ad oggi vede 1.400 vittime israeliane e oltre 4 mila palestinesi, secondo le autorità della Striscia sotto il controllo di Hamas. Un’ecatombe da entrambe le parti che non sembra destinata a cessare nel breve periodo.

Ma come spesso accade, tutto scade nel tifo. E nel momento in cui una parte ha deciso di abbracciare l’ideologia e condonare i barbari atti di terrorismo di Hamas contro la popolazione inerme, il dialogo diventa una chimera.

Dalla causa palestinese a quella di Hamas

Come risultato, la guerra tra Israele e Hamas, che sta avendo un effetto dirompente anche a migliaia di chilometri di distanza nelle varie capitali europee e oltreoceano, con manifestazioni di piazza e tensioni tra le comunità ebraiche e musulmane, si è trasformata erroneamente agli occhi del mondo in un conflitto tra Israele e Palestina.

Ed è questo uno dei vari equivoci. Dalle elezioni del 2006, i territori palestinesi vivono una situazione drammatica al proprio interno, con Fatah, il movimento palestinese “moderato”, sconfitto nelle urne e arroccatosi nella West Bank, e Hamas, che nel 2007 ha preso il controllo della Striscia di Gaza (completamente evacuata da Israele nel 2005) dopo aver vinto le elezioni. Tra le due fazioni si è aperta una stagione di lotta armata che ha visto l’estremismo di Hamas prevalere, e il presidente dell’ANP dichiarare lo stato di emergenza, portando Egitto e Israele a imporre il blocco di Gaza e rinforzare la sicurezza dei confini.

Va sottolineato come in particolare dopo la morte di Arafat e con le elezioni del 2006, la maggioranza dei palestinesi abbia deciso di rifiutare il diritto internazionale, la legalità e la democrazia, affidando le proprie sorti al terrorismo interno di Hamas (e a quello sostenuto nei Paesi limitrofi di Hezbollah). Così facendo, ha sottoscritto l’obiettivo di Hamas, ossia la distruzione di Israele e lo sterminio della popolazione ebraica. Hamas, va ricordato, considerata dalla comunità internazionale un’organizzazione terroristica.

E in questi giorni a Gaza la popolazione inneggia ad Hamas, mentre le strade e le piazze d’Europa vengono quasi quotidianamente invase da chi scende in piazza a difendere il diritto della Palestina di liberarsi dell’occupazione israeliana, quando a Gaza, degli oltre 2 milioni di abitanti, nessuno è ebreo.

Ora pare chiaro che tra le orde dei manifestanti occidentali ci sia della palese confusione, e che in pochi sappiano o vogliano riconoscere che la causa palestinese è stata rimpiazzata da quella di Hamas. E quanto visto sui media internazionali in questi giorni pare purtroppo confermare che chi scende in piazza per la Palestina in Europa e in America, non fa altro che dar manforte ad Hamas.

La storia della Terra Santa

Come si è arrivati alla situazione attuale? Pochi commentatori hanno l’onestà intellettuale di mettere da parte un approccio ideologico, o temono di essere visti come dalla parte dei “colonizzatori”. In pochi parlano con imparzialità della storia tormentata di questa regione. Una storia che ci dice che il diritto di abitare questa terra non è appannaggio esclusivo di una o dell’altra parte, ma è di arabi musulmani ed ebrei (e cristiani) in egual misura.

La realtà storica deve prevalere, e la realtà storica racconta di una popolazione ebraica che ha abitato questa regione dal secondo millennio AC, almeno dallo stesso tempo delle popolazioni arabe, spesso nomadi, e solo a partire dal VII secolo DC convertite all’islam, cronologicamente ultima delle tre grandi religioni monoteiste.

La storia ci racconta che con la conquista del Levante da parte dell’Impero arabo islamico nel tardo VII secolo, la popolazione ebraica superava i 300.000 abitanti. Con il passare dei secoli, e la sostituzione etnica e la persecuzione perpetrate dall’Impero arabo islamico prima, dai Crociati tra il XII e XIII secolo, e dall’Impero Ottomano a partire dal XV secolo, la popolazione ebraica ha sempre avuto una presenza nella regione, seppure con fortune alterne.

Con la dissoluzione dell’Impero Ottomano alla fine della Prima Guerra Mondiale, all’Inghilterra fu affidato il controllo di quello che venne chiamato il Mandato della Palestina. La Dichiarazione Balfour del 1917, redatta dal ministro degli esteri della Corona Britannica Arthur Balfour, prometteva la creazione di una nazione ebrea nel Mandato, ed ebbe l’effetto di ispirare molti ebrei provenienti da Europa e Russia a ripopolare comunità ebraiche già esistenti nella Terra Santa e a crearne di nuove.

Nel 1922 la Lega della Nazioni (precursore delle Nazioni Unite) affidò all’Inghilterra il ruolo di creare due Stati, una nazione per la comunità ebraica, e una per quella araba musulmana, impegno che venne rimesso dagli inglesi e di cui si fecero carico le Nazioni Unite nel 1947.

La storia degli anni ’30 e della persecuzione degli ebrei da parte della Germania nazista è ben nota, come quella del Dopoguerra, con Israele più volte sotto attacco dei Paesi arabi limitrofi, i molteplici attacchi terroristici, e svariati tentativi di accordi promossi dalla comunità internazionale che hanno prodotto risultati limitati.

Due fatti inconfutabili

Ma oltre le date e i numeri, la storia di questa regione ci racconta due fatti inconfutabili. In primo luogo, questa terra è stata abitata da arabi musulmani ed ebrei per migliaia di anni, il che dà eguali diritti a entrambe le parti. In secondo luogo, Israele trova il suo diritto di esistere nelle risoluzioni dell’Onu. Dal momento in cui ha dichiarato la propria indipendenza nel 1948, Israele ha sempre accettato, a differenza degli Stati arabi e delle varie organizzazioni palestinesi, di sottoscrivere la “two-state solution”.

Nell’analizzare possibili scenari futuri un dato fondamentale appare tanto palese quanto ignorato: lo Stato di Israele e Hamas sono due entità che operano secondo regole e con obiettivi completamente diversi.

Da una parte, Israele cerca una soluzione permanente alla violenza di Hamas, agendo quanto più possibile secondo i principi di uno stato di diritto; dall’altra Hamas, che utilizza il terrorismo per raggiungere lo scopo di liberarsi della presenza di Israele e degli ebrei dalla regione, quando il suo obiettivo dovrebbe essere quello di raggiungere la totale emancipazione dei palestinesi secondo il diritto internazionale.

In sostanza, Israele vuole la sicurezza di poter condurre la propria esistenza senza essere attaccato; Hamas vuole la scomparsa di Israele.

L’equivoco dei due Stati

Appare logico concludere che la “soluzione a due Stati” non è al momento praticabile. Fino a quando Hamas avrà come obiettivo l’estinzione di Israele, coesistenza e pace rimangono irrimediabilmente un miraggio.

Quindi, dove risiede la soluzione? Paradossalmente, proprio nella “two-state solution”. Ma l’onere di sconfiggere Hamas deve essere riposto completamente sull’Autorità Nazionale Palestinese e le forze moderate come Fatah.

Infatti, benché sia sacrosanto il diritto di Israele di difendersi e di perseguire i terroristi di Hamas secondo la propria capacità militare, come anche ribadito dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden e dagli altri leader occidentali, pare improbabile che la sconfitta totale e permanente di Hamas possa essere raggiunta da forze esterne, siano esse la IDF, gli Stati Uniti o le Nazioni Unite. Le eventuali vittorie di agenti esterni ai territori palestinesi avrebbero vita breve, e verrebbero vissute dalla popolazione come sconfitte e umiliazioni, dando adito a nuove recriminazioni, vendette e nuova violenza.

Il futuro della “two-state solution” risiede esclusivamente nella capacità della leadership palestinese di liberarsi definitivamente di Hamas e della lotta armata, impegnando Cisgiordania e Gaza a comportarsi da Paese civile e democratico rispettando il diritto internazionale.

La storia di questa regione è complicata dalla diversità in etnia, religione, cultura e senso di appartenenza. La sconfitta permanente di Hamas potrà avvenire soltanto quando i palestinesi moderati decideranno di abbandonare completamente il terrorismo e l’odio promosso da Hamas. Fino a quando la leadership palestinese avrà come obiettivo la scomparsa di Israele e degli ebrei, non ci sarà pace.