Esteri

Macron il “cinese” fa felice Xi: piccona il legame transatlantico e scarica Taiwan

Il presidente francese torna da Pechino “cinesizzato”: teorizza il “decoupling” dagli Usa per salvaguardare la relazione tossica con la Cina

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Non poteva esserci miglior e più autorevole conferma della nostra lettura di venerdì scorso del trilaterale Xi-Macron-VDL a Pechino delle parole di uno dei protagonisti. Di “disaccoppiamento” dagli Usa aveva parlato il direttore di Atlantico, Federico Punzi, ed ecco lo stesso Emmanuel Macron sottolineare la necessità per l’Europa di ridurre la dipendenza non già dalla Cina, ma proprio dagli Stati Uniti, di non essere follower di Washington ed evitare di farsi trascinare in un confronto su Taiwan.

Xi Jinping non poteva sperare di meglio. Con le sue parole Macron ha incrinato il fronte occidentale che raramente aveva dato prova di compattezza come negli ultimi dodici mesi, rivelato come la coesione europea e transatlantica sia molto più fragile di quanto appaia in Ucraina e ha praticamente lasciato intendere a Pechino che in caso di aggressione a Taiwan si volterebbe dall’altra parte.

L’intervista a Politico.eu rilasciata a bordo del COTAM Unité, l’aereo presidenziale, rende affascinante l’idea di interrogarsi sul modo di pensare e di agire di Macron. Se volessimo soffermarci sulla predisposizione dell’inquilino dell’Eliseo a commettere macroscopici errori – tuttavia puntualmente, maldestramente superati con diversi esercizi di cerchiobottismo – probabilmente non ne verremmo a capo a breve giro.

L’invito a Zelensky

Si potrebbe citare – tra gli altri esempi di questa attitudine del presidente francese ad una mutevole discontinuità – l’episodio dell’accoglienza a Parigi del presidente Voldymyr Zelenskyy, appena sbarcato da Londra e in procinto di recarsi a Bruxelles per il Consiglio europeo della mattina dopo.

Macron volle a tutti i costi intasare l’agenda dell’omologo ucraino inserendo una tappa “chez moi” (in compagnia dello sbiadito Olaf Scholz) per sbandierare un supposto ruolo di leadership della Francia nel sostenere l’Ucraina, quando tutti ricordiamo i forti tentennamenti (sia di Macron, sia di Scholz) nel prendere sin da subito una posizione chiara dalla parte del governo di Kiev e nel fornirgli attrezzature belliche.

E a Giorgia Meloni, che in quell’occasione fece notare l’inopportunità di quell’invito, rispose che Francia e Germania avevano “da otto anni un ruolo importante sul dossier ucraino”. Un ruolo esercitato così egregiamente che otto anni dopo la Russia ha invaso l’Ucraina. Particolare che gli sarà sfuggito.

Chiacchiere indigeste

L’importante per Emmanuel sembra più dare aria alla bocca che salvaguardare l’apparenza del reale. Se ne ricava una distinta figuraccia. Satis eloquentiae, sapientiae parum, avrebbe detto Sallustio. E forse è un bene, perché se Emmanuel Macron, tra qualche settimana, buttasse alle ortiche le parole di questa intervista come ha fatto sparire l’orologio da polso in una recente e discussa apparizione televisiva, forse staremmo tutti più sereni.

Sì, perché oggi – al termine di una discutibile visita in Cina in compagnia della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen – il copione sembra ripetersi. Tanta ostentata grandeur, tante chiacchiere, tanti progetti che possiamo solo augurarci (ma ottimisticamente parlando, la carriera di Macron ci sorride) di vedere archiviati quanto prima. Insomma, la boutade è servita, speriamo che qualche solerte cameriere passi in fretta a ritirare il piatto. Un piatto che stavolta condisce la politica estera francese ed europea con parecchi ingredienti indigesti.

L’intervista a Politico.eu

“Il grande rischio che corre l’Europa”, spiega Macron nell’intervista al Politico.eu, “è quello di finire intrappolata in crisi non sue, il che le impedisce di costruire la sua autonomia strategica”. L’allusione è ovviamente a quella che viene derubricata come “la controversia” sull’indipendenza di Taiwan.

Proprio a distanza di poche ore dalla partenza da Guangzhou dell’aereo che ha riportato Macron a Parigi, una imponente esercitazione di “preparazione al combattimento” è stata annunciata dai vertici delle forze armate della Repubblica Popolare: 9 navi da guerra e 91 aerei hanno circondato l’isola mentre la sua presidente Tsai Ing-wen si trovava ancora negli Stati Uniti.

Ma a Macron, le minacce alla piccola isola democratica sembrano non interessare.

Il paradosso sarebbe che, presi dal panico, pensassimo di essere soltanto dei follower dell’America. La domanda a cui gli europei devono rispondere è: abbiamo interesse ad accelerare una crisi su Taiwan? No. La cosa peggiore sarebbe pensare che noi europei dobbiamo diventare follower su questo tema e fare quanto imposto dall’agenda statunitense e da una eccessiva reazione cinese.

Da notare che Politico.eu, scusandosi con i lettori, ha poi successivamente ammesso che l’intervista è stata revisionata dall’ufficio stampa dell’Eliseo, che ha tagliato alcune affermazioni di Macron addirittura “ancora più franche” su Taiwan e sulla “autonomia strategica europea”.

Analizzare il lessico è importante: sono sempre gli americanirectius, amerikani – a dettare un’agenda, e sono sempre gli altri (russi, cinesi, etc.) a “reagire”, magari eccessivamente, ma comunque perché in qualche modo provocati. Ed è anche interessante notare con quanta energia (lo fa più volte, nel corso dell’intervista) Macron mostri il proprio focus – rectius, la propria ossessione – per il rapporto tra Washington e Parigi (che nella sua idea indica per metonimia l’Europa intera).

Decoupling sì, ma dagli Usa

Sì, perché dai confusi e – come da prassi quando si parla di Cina – sibillini colloqui tra Macron, Xi e von der Leyen è apparsa invece estremamente nitida la volontà, da parte dei due leader europei, di non chiudere assolutamente la porta alla Cina, anzi di proseguire sulla strada già imboccata.

La stessa Von der Leyen, poco prima della partenza per Pechino – lo ha raccontato la settimana scorsa Daniele Capezzone su La Verità – aveva detto ad un meeting pubblico: “Credo che dobbiamo lasciare spazio a una discussione su un partenariato più ambizioso”. Posizione ribadita anche in sede di colloqui: “Il decoupling tra Unione europea e Cina non è una soluzione praticabile né desiderabile”.

Ma se non si chiude la porta a Xi Jinping, si dichiara invece di voler liberare Bruxelles dal suo stato di “dipendenza strategica”. Dal gas russo, come stiamo facendo, o dalla stessa Cina per quanto riguarda l’elettrico, direte voi. Ma no, dagli Stati Uniti! “L’Europa”, ha detto Macron, “sta costruendo una propria autonomia strategica”. Ghiottissimo boccone per Xi Jinping, che di rimpallo ha dichiarato: “La Cina sostiene l’Europa nel raggiungimento dell’autonomia strategica”. Dagli americani, s’intende.

Quindi il decoupling c’è, ma – come ha scritto efficacemente Federico Punzi qualche giorno fa proprio su questo magazine – è un decoupling dagli Stati Uniti, nella speranza di “emancipare” l’Unione europea e renderla una “terza superpotenza”.

Aveva ragione Trump

Duro il commento del Wall Street Journal: Macron “si immagina un Charles de Gaulle del 21° secolo, ma ha scelto un momento terribile per un afflato gollista”. Il presidente francese dice di voler “rendere l’Europa meno dipendente dalle armi e dall’energia Usa, il che va bene. Ma poi che ne dici di spendere i soldi e cambiare le politiche per farlo?”

Macron pretende che gli Stati Uniti “corrano in soccorso dell’Europa contro l’aggressione russa, ma a quanto pare promette neutralità contro l’aggressione cinese nel Pacifico. Grazie mille, amico”. “I suoi inutili commenti – conclude il WSJ – mineranno la deterrenza statunitense e giapponese contro la Cina nel Pacifico occidentale, incoraggiando al tempo stesso i politici statunitensi che vogliono ridurre l’impegno Usa in Europa per resistere meglio alla Cina“.

In breve, le parole di Macron mostrano come fosse corretto l’approccio duro di Donald Trump nei confronti della “Vecchia Europa” scroccona, Parigi e Berlino.

L’illusione della terza via

E per carità, per un riequilibrio delle relazioni transatlantiche nell’ottica di maggiore reciprocità spingono in tanti in Europa, anche l’Italia di Giorgia Meloni. Il punto è che l’appello per un’Europa che sia “terza superpotenza” e che si costruisca a partire da una “autonomia strategica” dagli Usa, intestardendosi contemporaneamente a proseguire la relazione tossica con la Cina nel nome del Green Deal (così come vogliono Macron e VdL, e così come vuole Xi Jinping) è di riflesso anche l’appello per un’Europa che non sceglie dove collocarsi in un modo tornato bipolare.

Per meglio dire, che grazie alla sua ignavia si pone più o meno consapevolmente dalla parte sbagliata: la parte di chi nega le libertà individuali, i diritti civili e politici e il modello di capitalismo democratico che conosciamo in Occidente.

Significherebbe rinunciare a secoli di avanzata civiltà liberale condivisa con Londra e Washington in cambio di quattro briciole di business (e magari della felicità di Greta Thunberg). E un’Europa che sceglie questa strada, semplicemente, smette di essere Europa.

L’inconsistenza di Parigi e Bruxelles

Charles De Gaulle era convinto che sussistesse un pact vingt fois séculaire, un patto di venti secoli, tra la grandezza della Francia e la libertà del mondo. Cosa questo voglia dire è ancora dibattuto, ma c’è da sperare che Emmanuel Macron non abbia pensato a questo aforisma mentre gongolante parlava alla stampa di questa mitica “Europa terza superpotenza”, ad implicita trazione francese.

Possiamo dirci certi che se la grande Europa è una grande Francia, e questa grande Francia è equidistante dal blocco delle democrazie e quello delle autocrazie, nessun individuo al mondo ci guadagnerà in termini di libertà civili, politiche ed economiche.

Fortunatamente, in questo frangente, potrebbe rivelarsi salvifica la stessa sconquassata fisionomia dell’assetto istituzionale comunitario e della situazione di politica interna francese. Alla fine, con una punta di cinismo e di ironia, la speranza è che l’inconsistenza di Parigi e Bruxelles sui tavoli internazionali abbia anche questa volta la meglio. Certi sogni di gloria, quando si assommano una serie di circostanze, è meglio riporli in un cassetto. Ed è lì che finiranno, come l’orologio.