Macron risorge, Le Pen come Godot: ora maggioranza Ursula alla francese?

Il barrage ha funzionato, Macron centra il primo obiettivo. Cadrà mai il blocco nei confronti di RN? Beffa doppia per Giorgia Meloni, ora più sola in Europa

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Il barrage, lo sbarramento, ha funzionato. Bisogna dirla tutta. Emmanuel Macron ha vinto. Poi si può discutere sul significato di “vittoria”, in che senso abbia vinto, ma il primo obiettivo dichiarato del suo azzardo è centrato. L’assalto del Rassemblement National – al governo nel 2024 e all’Eliseo nel 2027 – è respinto. Per ora. Perché la storia non finisce oggi, ma intanto ha guadagnato tempo.

Maggioranza Ursula a Parigi?

Il suo spazio di manovra è ristretto, è finita la sua “età imperiale”, come ha osservato a TF1 Raphael Glucksmann, è cominciata quella del galleggiamento. Formare un governo sarà difficile, il rischio ingovernabilità alto. Non sarà più il dominus della politica francese, dovrà trattare e spartire il potere, ma alla fine ce la farà.

Il Nuovo Fronte Popolare è nato per spaccarsi subito dopo il voto e lo sapevano tutti, Macron per primo. Il discorso senza nemmeno una parvenza di apertura di Jean-Luc Mélenchon (“il presidente deve inchinarsi e ammettere questa sconfitta, senza cercare di aggirarla in alcun modo”) sembra quello di un leader che si prepara alla lunga cavalcata verso le presidenziali del 2027 dai banchi dell’opposizione, gridando alla “vittoria tradita” di ieri sera.

Ensemble ha ancora un numero di seggi sufficiente per presentarsi come perno di una coalizione di governo, attirando pezzi da sinistra e da destra. Un pastrocchio? Un’ammucchiata? Sì, ma fino ad un certo punto. Meglio: uno spezzatino. Ma uno spezzatino che ha un sapore conosciuto. Non impossibile una maggioranza variabile che vada dai socialisti ai repubblicani, passando per i verdi: una “maggioranza Ursula” alla francese. Non il nostro piatto preferito, come noto, anzi indigesto, ma è un piatto che conosciamo e che – purtroppo – ha funzionato.

Le Pen come Godot?

Viste le premesse, per Macron il bicchiere è decisamente mezzo pieno, lo stallo è il massimo in cui potesse sperare. Certo, non si possono negare gli effetti collaterali. Sul lato destro, RN è comunque primo partito e raddoppia i suoi seggi all’Assemblea Nazionale. “Stiamo procedendo contro una coalizione di tutti i movimenti che va da LR a La France Insoumise. La marea continua a salire e la nostra vittoria è ormai solo ritardata”, ha commentato Marine Le Pen. Non c’è dubbio che RN avanzi elezione dopo elezione, ma dopo almeno due presidenziali e ora tre legislative questa “vittoria ritardata” comincia a ricordare sempre di più un certo Godot.

Ad ogni turno elettorale ci si chiede se il patto di desistenza che sbarra la strada dell’Eliso a Marine Le Pen e del governo al suo partito resisterà. Ebbene, la notizia è che ancora una volta il patto di desistenza ha retto, gli elettori hanno seguito le indicazioni dei loro leader. Non era scontato. Dobbiamo ammettere che questa volta avevamo molti dubbi che avrebbe funzionato, perché non era in gioco l’Eliseo, ma al massimo una coabitazione. E invece ha funzionato.

Dunque, certamente è ancora possibile che un giorno che i francesi liquidino la conventio ad excludendum nei confronti di Le Pen spalancandogli la porta dell’Eliseo o del governo. Può darsi, per esempio, che gli elettori di La France Insoumise, traditi dal probabile accordo di governo che li terrà fuori, non saranno disponibili in futuro ad accordi di desistenza, nemmeno per sbarrare la strada a Le Pen.

Tuttavia, con realismo dobbiamo anche cominciare a ipotizzare che non cadrà mai il barrage contro Rassemblement National. E le tendenze demografiche in Francia non autorizzano a dare per scontato che il partito di Le Pen abbia margini di crescita tali da avvicinarsi alla maggioranza assoluta dei voti. Potrebbe essere ormai vicino alla sua massima espansione. Piuttosto, per gli stessi motivi il bacino elettorale che può espandersi ancora molto è quello della sinistra islamo-comunista.

La sinistra islamo-comunista

E qui veniamo al dato nuovo di queste elezioni, il prezzo pagato dai macronisti a Mélenchon. Ora scatterà un barrage post-voto anche nei suoi confronti, ovvio, ma il patto di desistenza voluto da Macron per fermare Le Pen ha finito per pompare la sinistra islamo-comunista, antisemita e antioccidentale. Paradosso: mentre fermavano il pericolo “fascista” di Le Pen, i francesi si blindavano contro il rischio di disordini e violenze da parte dei movimenti di estrema sinistra e islamisti.

Lo scenario che in un futuro non troppo lontano potrebbe presentarsi è quello di una sinistra islamo-comunista molto vicina ad arrivare al potere in Francia, ma non ci sarà alcun barrage a sbarrarle la strada, perché le forze “repubblicane” dovrebbero siglare un patto di desistenza con Le Pen e non lo farebbero mai. Si realizzerebbe l’incubo profetizzato da Michel Houellebecq in “Sottomissione”.

Cattive notizie per Meloni

Cattive notizie (almeno due) dalle elezioni francesi anche per Giorgia Meloni. Primo, in pochi giorni Macron risorge dalle sue ceneri. Sembrava al tappeto, si è rialzato e si presenterà ringalluzzito anche in sede europea. Con lui, esce rafforzata anche la maggioranza Ursula che si sta ricostituendo a Bruxelles senza, se non contro Meloni – se non altro perché la coalizione di governo a Parigi potrebbe somigliarle molto.

Secondo, il Rassemblement National ha annunciato che si unirà al nuovo gruppo di destra costituito da Viktor Orban al Parlamento europeo, Patrioti per l’Europa, seguendo le orme di Geert Wilders, al governo in Olanda, e degli spagnoli di Vox.

Urge approfondita riflessione a Palazzo Chigi. Con tutta evidenza non ha pagato come si pensava un anno e mezzo di flirt con Ursula Von der Leyen e i Popolari. Non è servito a garantire a Meloni la centralità che sperava nei nuovi equilibri di potere europei. Fuori dalle trattative per i top jobs Ue, ora le costa la diffidenza delle altre destre europee che si preparano ad una opposizione senza sconti alla maggioranza Ursula, diversa dalla postura della premier italiana. Non tutto si può imputare alle scelte della Meloni, le circostanze non le sono state favorevoli come avrebbero potuto essere, ma forse occorre cambiare schema di gioco.

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