Esteri

Oggi la visita a Kiev

Macron, Scholz e Draghi a Kiev: vanno a chiedere la resa agli ucraini?

Tiria aria di appeasement e a Kiev hanno fiutato la trappola. Leader Ue tra arma del gas di Putin e avvertimento dagli Usa: non è il momento di mollare

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Come abbiamo segnalato nell’articolo di ieri, è impossibile non intravedere una correlazione tra la visita di oggi a Kiev, dal presidente ucraino Zelensky, dei leader dei tre principali Paesi Ue, Olaf Scholz, Emmanuel Macron e Mario Draghi (soprattutto il primo) e il taglio delle forniture di gas diretto alla Germania via Nord Stream 1 (e in misura minore anche all’Italia) deciso nei giorni scorsi da Gazprom.

L’arma del gas

Sicuramente, come abbiamo osservato, mantenere i flussi al minimo, impedendo di riempire gli stoccaggi Ue, è un modo per il Cremlino per assicurarsi di avere ancora una potente leva sui prezzi dell’energia in Europa quando arriverà l’inverno.

E, a maggior ragione, una leva negoziale quando Putin riterrà di porre fine alla sua “operazione speciale” in Ucraina e vorrà ottenere un alleggerimento, se non la revoca, delle sanzioni – compresa l’apertura di Nord Stream 2.

Ma il presidente russo sa anche che il momento è cruciale: da una parte vede l’esercito ucraino vacillare nel Donbass, dall’altra la resistenza ucraina potrebbe durare ancora settimane, con perdite altissime da ambo le parti di uomini e mezzi (e le sanzioni occidentali che fanno male).

Quindi spera anche che i leader europei convincano Zelensky a cedere e ha voluto incoraggiarli ricordandogli chi può stringere il rubinetto del gas, o allentarlo e raffreddare anche l’inflazione. Non è un mistero infatti che sia questa l’aria che tira sul viaggio a Kiev dei tre leader.

Non è il momento di mollare

Se Mosca li tira per la giacchetta in una direzione, Washington sembra tirarli nell’altra. Non è forse un caso nemmeno che proprio ieri il presidente Usa Joe Biden abbia annunciato a Zelensky un altro pacchetto di armi per un miliardo di dollari: sistemi missilistici antinave, artiglieria e munizioni per obici.

“Sono grato per la significativa assistenza alla sicurezza dell’Ucraina che questo Gruppo di contatto ha fornito fin qui, ma non possiamo permetterci di mollare. Non possiamo perdere velocità. La posta in gioco è troppo alta. L’Ucraina sta affrontando un momento cruciale sul campo di battaglia”. Queste le parole del segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin aprendo ieri la riunione del Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina presso la sede Nato a Bruxelles, composto da 45 Stati.

Insomma, fin troppo esplicito il messaggio rivolto dagli Usa a Scholz, Macron e Draghi, che arrivano oggi a Kiev: non è il momento di mollare.

Ma se c’è bisogno di lanciare un simile messaggio è proprio perché la sensazione è che possano “mollare” e fare pressioni su Zelensky per indurlo alle “dolorose concessioni” invocate da più parti.

Di questa eventualità devono esserne consapevoli a Mosca come a Washington, se proprio alla vigilia del viaggio sono arrivate iniziative, e parole, così significative da entrambe le capitali.

Cosa andranno a dire a Zelensky? Le anticipazioni di Macron

La visita non è stata confermata ufficialmente fino all’ultimo e i tre leader hanno osservato un quasi assoluto riserbo. Troppo alto il rischio di lanciare segnali non univoci. Silenzio quasi assoluto però, perché in realtà il presidente francese Macron qualcosa l’ha detta, ieri, durante una visita in Romania. Lui è così, non si trattiene. E infatti ha in parte scoperto le carte.

“Faremo di tutto per fermare le forze della Russia e aiutare gli ucraini e il loro esercito”. Ma – ed è un grosso ma – “ad un certo punto il presidente ucraino e i suoi uomini dovranno negoziare con la Russia e noi europei saremo a quel tavolo per offrire garanzie di sicurezza”.

Ma oltre ad armi e garanzie di sicurezza, Kiev si aspetta dall’Ue almeno lo status di candidato all’ingresso nell’Unione. Il minimo sindacale da aspettarsi dalla visita. Ma ieri da Macron sembra arrivata una doccia fredda: l’adesione all’Ue, ha osservato, “non può essere l’unica risposta alla stabilità” dei Paesi vicini, come Ucraina, Moldova e Georgia. E ha aggiunto:

“Il contesto politico e le decisioni che l’Unione europea e diverse altre nazioni dovranno prendere giustificherà nuove discussioni approfondite e nuovi progressi. Noi, come Unione europea, dobbiamo mandare segnali politici chiari all’Ucraina e al popolo ucraino, che sta resistendo eroicamente da diversi mesi”.

Kiev ha fiutato la trappola

Lecito intravedere in queste parole cosa domani il presidente francese, il cancelliere tedesco e il premier italiano andranno a dire a Zelensky. E sia Mosca che Washington devono averlo fiutato, tanto da assumere forti iniziative per portare il più possibile dalla loro parte i tre leader. Chi di sicuro ha fiutato la trappola è la stessa Kiev.

Il consigliere del presidente ucraino, Oleskjy Arestovych, ha espresso il timore che Macron, Scholz e Draghi vengano a fare pressioni per un cessate-il-fuoco: “Temo che cercheranno di raggiungere una sorta di Minsk 3“, ha confidato il consigliere alla tedesca Bild, “diranno che dobbiamo porre fine alla guerra che sta causando problemi alimentari ed economici. Diranno che russi e ucraini stanno morendo, che dobbiamo salvare la faccia a Putin, che i russi hanno commesso errori, che dobbiamo perdonarli e dare loro la possibilità di tornare nella comunità internazionale”.

A Varsavia hanno la stessa sensazione, tanto che giorni fa il ministro degli esteri polacco aveva lanciato un appello molto esplicito ai tre leader: non mettano pressione sul presidente Zelensky affinché faccia concessioni alla Russia.

Come reagirà Zelensky?

Di certo, per i tre leader la visita è delicatissima: se questo è il messaggio che intendono recapitare a Kiev, dovrà essere calibrato con estrema precisione e tatto. Immaginate come ne uscirebbero se l’incontro andasse storto e se Zelensky reagisse in malo modo. Dopo tutta la retorica e gli sforzi di questi mesi, darebbero l’impressione di mollare l’Ucraina proprio nel “momento più cruciale” sul campo di battaglia, come lo ha definito il capo del Pentagono. Insomma, una pugnalata alle spalle.

Gli interessi di noi europei

Sentiamo spesso ripetere in tv e sui giornali che “i nostri interessi di europei sono diversi da quelli degli americani”, osservazione alla quale di solito segue la richiesta di uscire dalla Nato o l’elencazione delle guerre Usa e delle basi nel nostro Paese.

Gli Stati Uniti hanno i loro interessi di sicurezza nel sostenere l’Ucraina contro l’aggressione russa, come ha spiegato il politologo George Friedman (tema che approfondiremo nei prossimi giorni), ma tutto sommato, gli americani sono su un altro continente, c’è un oceano di mezzo.

Ma noi in Europa? Siamo così sicuri di essere al riparo dalle mire espansionistiche di Putin? Siamo così sicuri di poterci permettere il precedente, dopo oltre 75 anni, di una guerra di conquista nel nostro continente, di confini spostati e ridisegnati con la forza militare da una potenza come la Russia?