La settimana è stata caratterizzata da dichiarazioni sulla guerra in Ucraina degne di dilettanti allo sbaraglio. E da un solo evento veramente storico. La prima dichiarazione da dilettante allo sbaraglio è quella del presidente francese Emmanuel Macron, quando, senza consultarsi prima con nessuno, ha dichiarato: “non c’è stato alcun accordo per l’invio ufficiale di soldati sul campo, ma non possiamo escludere nulla”. Cosa? Soldati sul campo, vuol dire una sola cosa: entrare in guerra con la Russia.
Per fare un’affermazione simile occorre, prima di tutto, avere già il pieno consenso degli Usa (il principale alleato) e da una maggioranza qualificata di altri membri della Nato. Implica una strategia chiara: se i russi passano determinate linee rosse, che devono essere indicate, la Nato interviene. Peccato che nessuno ne fosse al corrente.
“Gli Stati Uniti non manderanno i propri soldati a combattere in Ucraina, il presidente Biden è stato già chiaro su questo”, ha ribattuto Adrienne Watson, portavoce del Consiglio per sicurezza nazionale Usa. “La Polonia non manderà truppe, su questo abbiamo una posizione comune con Petr Fiala” e quindi anche Polonia e Repubblica Ceca (di cui Fiala è premier) si chiamano fuori, pur essendo Paesi di prima linea. Non è mancata neppure la risposta italiana, affidata a una scarna nota di Palazzo Chigi: “il supporto degli alleati a Kiev non contempla la presenza sul territorio ucraino di truppe di Stati europei o Nato”.
Perché le truppe non servono
Peccato, perché il senso del discorso di Macron era veramente nella “giusta direzione” (parole di Dmytro Kuleba, ministro degli esteri ucraino): è interesse dell’Europa che la Russia perda la guerra in Ucraina. E per questo deve essere fatto tutto il necessario. Anche le truppe? L’unica risposta razionale è: non sono necessarie.
I Paesi Nato e i partner esterni all’Alleanza hanno finora centellinato gli aiuti all’Ucraina. Abbiamo sempre escluso armi considerate troppo potenti (perché ne abbiamo poche o perché possono essere troppo provocatorie per i russi). È proprio di questa settimana il rifiuto del cancelliere tedesco Olaf Scholz di inviare all’Ucraina missili Taurus, perché i russi potrebbero ritenersi provocati. Lo stesso discorso era stato fatto per altre armi, come i carri armati Leopard, gli anti-missile Patriot, i missili ATACMS, oltre che per gli F16, tutti tabù che sono caduti, o stanno cadendo, uno dopo l’altro.
Il “troppo poco troppo tardi” è stata la logica con cui la Nato ha aiutato finora l’Ucraina. Se veramente volessimo aiutare il Paese aggredito a non cadere, dovremmo invece ragionare come Nixon fece per salvare Israele dall’invasione del 1973: “Mandare tutto ciò che può volare”. Sarebbe una contraddizione, invece, trattenere gli aiuti per paura o per scarsità di mezzi e poi, arrivati con le spalle al muro, mandare direttamente le truppe.
Lanciandosi in queste dichiarazioni, Macron ha involontariamente svelato un bluff: nessuno dei leader Nato, a partire da Biden, vuole rischiare la vita dei suoi uomini. Dopo le parole del presidente francese e soprattutto dopo le reazioni che ha incassato, la coalizione pro-ucraina appare più divisa e più debole agli occhi dei russi.
La risposta di Putin
Al dilettante allo sbaraglio francese ha risposto Putin, nel suo discorso alla Duma del 29 febbraio. Con altre parole da dilettante allo sbaraglio, assumendosi in prima persona il ruolo del “pazzo” che solitamente era riservato all’ex presidente Medvedev. A Macron ha ricordato la campagna di Russia di Napoleone: “Ricordiamo loro (ai francesi, agli occidentali, ndr) il destino di coloro che un tempo inviavano contingenti nel territorio del nostro Paese”. Però: “ora le conseguenze per i potenziali interventisti saranno molto più tragiche”. Perché la Russia non ha alcuna intenzione di attaccare l’Europa, “è una sciocchezza”. Però: “anche noi abbiamo armi capaci di raggiungere i vostri territori”.
E se il messaggio non fosse sufficientemente chiaro, Putin ha voluto elencare i nuovi sistemi d’arma di cui dispone la Russia: “I primi missili balistici pesanti Sarmat prodotti in serie sono stati consegnati alle forze armate. Presto li mostreremo in servizio di combattimento nelle zone in cui saranno schierati”. E poi: “i test del missile da crociera a gittata illimitata Burevestnik e del veicolo sottomarino senza pilota Poseidon sono prossimi al completamento”.
Sono tutte armi nucleari strategiche: servono in una guerra contro gli Usa, in uno scenario da fine di mondo. Nominarli oggi, a seguito delle dichiarazioni di Macron, è un po’ come dire “sono disposto a far saltare il mondo, se mi garba”. E infatti Putin lo ha anche detto, con parole sue: “Tutto ciò minaccia davvero un conflitto con l’uso delle armi nucleari e la distruzione della civiltà”.
Questo discorso, se pronunciato da un qualunque leader occidentale, avrebbe comportato dimissioni immediate. Invece Putin se lo può permettere, perché ha il controllo totale delle istituzioni russe e perché ritiene di aver fatto il lavaggio del cervello ai suoi cittadini, al punto tale da far accettare loro anche l’eventualità di una guerra nucleare totale.
L’unico evento storico
In mezzo a tante dimostrazioni di irresponsabilità, spicca l’unico vero evento storico: il funerale di Alexei Navalny. Il dissidente russo, morto in una prigione nell’Artico, è stato salutato ieri, per l’ultima volta, in una chiesa alla periferia di Mosca, da migliaia di persone comuni. Nonostante la minaccia concreta di finire in galera (400 arresti solo fra coloro che portavano fiori, in suo onore, nei memoriali dei gulag), migliaia di russi hanno formato file chilometriche per rendere omaggio alla salma dell’unico oppositore di Putin.
E non è mancato neppure chi ha avuto il coraggio di scandire slogan contro il dittatore: “No alla guerra”, “Putin assassino”, “Liberate i prigionieri politici”. Il popolo russo è finora stato molto appiattito sul potere personale di Putin. Ma potrebbe sempre stupirci con qualche rivoluzionaria sorpresa. Anche quella è una caratteristica della storia russa.