Mai dare per scontate alleanze e stabilità internazionale. Appunti per il riarmo europeo

Anche in passato Usa riluttanti a intervenire. La storia suggerisce di non scommettere sulla permanenza della convergenza strategica, soprattutto quando viene meno anche l’allineamento ideologico

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trump von der leyen

Il generale francese Charles de Gaulle riteneva che le alleanze internazionali fossero contingenti per definizione e che la garanzia della difesa di un alleato forte e potente non valesse per sempre. Per questo motivo egli non rinunciò mai a sviluppare una forza militare e in particolare, una deterrenza nucleare autonoma per il suo Paese.

La Nato

La Nato era una buona idea per De Gaulle ma scommettere sulla permanenza a tempo indeterminato della esatta convergenza degli interessi geostrategici statunitensi con quelli francesi rappresentava un’illusione idealista che cozzava con la molteplicità delle forme che la storia aveva già assunto.

Anche Konrad Adenauer era dello stesso avviso o, almeno, coltivava lo stesso timore. Alcuni mesi prima di morire, in un colloquio con Henry Kissinger, l’ex cancelliere tedesco espresse la preoccupazione che la Nato fosse in realtà solo un’alleanza dimostrativa per controbilanciare la minaccia russa, ma confessò candidamente che non avrebbe scommesso sulla reazione degli Stati Uniti in caso di attacco nucleare sovietico contro un Paese europeo.

A differenza della Francia, la Germania non poteva permettersi un arsenale atomico e Adenauer dovette ammettere di accontentarsi del solo effetto deterrente che la semplice esistenza dell’Alleanza rappresentava agli occhi dei sovietici.

La crisi di Suez

De Gaulle e Adenauer avevano avuto modo di vedere gli Stati Uniti in azione e di cogliere la prontezza dell’alleato d’oltreoceano a sacrificare gli interessi di Francia e Inghilterra per non esacerbare lo scontro con Mosca.

L’umiliazione subita da Parigi e Londra nel 1956 con la nazionalizzazione del Canale di Suez, allorché gli Stati Uniti misero il veto su qualsiasi azione militare delle due nazioni europee per tutelare i loro enormi interessi economici e strategici rasi al suolo dalla nazionalizzazione di Nasser, non fu stata facile da dimenticare.

1940

Sulla affidabilità dell’interventismo americano a favore dell’Europa nessuno potrebbe dare lezioni agli inglesi. Mentre Hitler conquistava mezza Europa, si apprestava a passeggiare fischiettando sotto l’Arco di Trionfo a Parigi e cominciava a bombardare Londra, il presidente Roosevelt replicava alle richieste d’aiuto dell’indomito Winston Churchill facendosi scudo dietro le leggi del Congresso che imponevano la neutralità americana e il divieto di fornire armi ai belligeranti.

Fino a quando il Giappone non decise di suicidarsi con l’ignobile attacco di Pearl Harbor i sondaggi Gallup registrarono una costante maggioranza degli elettori americani nettamente contraria all’intervento in soccorso dell’Inghilterra.

Nel corso della campagna elettorale che avrebbe riconfermato Roosevelt nel terzo mandato il candidato repubblicano Wendel Willkie picchiò durissimo contro il presidente uscente accusandolo di sconsiderato interventismo. Per non rischiare di perdere le elezioni Roosevelt dovette dichiarare pubblicamente che mai avrebbe schierato l’America in guerra a fianco dell’Inghilterra.

Per consentire la consegna a Londra di 50 cacciatorpedinieri obsoleti gli Stati Uniti pretesero il trasferimento del possesso di alcune basi navali del Regno Unito e fino ad un certo punto i contribuenti inglesi dovettero pagare seduta stante ogni singolo aiuto americano. Poi, come detto, Pearl Harbor e la definitiva realizzazione dell’impianto strategico coltivato da Churchill sin dal 1940.

Le Isole Falkland

Su scala molto più ridotta Margaret Thatcher dovette fare fronte alle resistenze dell’amico Ronald Reagan quando fu necessario ristabilire l’ordine e il diritto internazionale nelle Isole Falkland. Il presidente degli Stati Uniti era disposto ad avallare la palese aggressione di Galtieri in considerazione del legame instaurato con quel regime e della presunta irrilevanza della posta in gioco.

Solo dinanzi alla determinazione della Lady di ferro di far rispettare la sovranità del Regno Unito Reagan si decise a dare tutto il supporto necessario per la buona riuscita delle operazioni di liberazione delle isole occupate illegittimamente dall’Argentina.

L’allineamento ideologico

Scommettere sulla permanenza della convergenza strategica, dunque, non è quello che la storia suggerisce, soprattutto quando viene meno anche l’allineamento ideologico. Le basi del Congresso di Vienna poggiavano sulla condivisione del principio legittimista, oltre che sull’accettazione della necessità dell’equilibrio delle forze europee

La Guerra Fredda si alimentava anche dalla convinzione di dovere affrontare e sconfiggere un’Unione Sovietica che rappresentava per definizione il male e un inaccettabile modello alternativo alla liberal-democrazia.

La previsione di Nixon

Oggi tutto questo sembra essere venuto meno. Come preconizzato da de Gaulle il quadro internazionale è mutato radicalmente e con esso le esigenze geopolitiche di ogni singolo Stato e degli Stati Uniti in particolare. Si è realizzata anche la previsione di Richard Nixon, secondo la quale “il successo della nostra decisione di porre fine all’isolamento della Cina continentale significherà un’immensa escalation della sfida economica cinese, non solo a noi ma al resto del pianeta… Ottocento milioni di cinesi… diventeranno una forza economica globale dal potenziale immenso”.

I principali leader politici del Dopoguerra, giganti di indubbio valore, ci avevano avvertiti di non coltivare l’illusione della perenne stabilità internazionale e persino della fine della storia. Ci siamo fatti trovare, ancora una volta, impreparati.

Fonti: 1) H. Kissinger, “Leadership – Sei lezioni di strategia globale”, Mondadori 2024; 2) E. Larson, “Splendore e viltà – 1940: l’anno delle bombe su Londra, l’anno in cui Churchill diventò Churchill”, Neri Pozza 2023; 3) H. Kissinger, “L’arte della diplomazia”, Sperling & Kupfer, 2004; 4) M. Thatcher, “Gli anni di Downing Street”, Sperling & Kupfer, 2004

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