Suscita qualche perplessità il comportamento del presidente Sergio Mattarella in Cina. Come tutti sanno, infatti, nel sistema politico italiano il presidente della Repubblica (al pari di quanto avviene in Germania e parecchi altri Paesi) non ha poteri esecutivi. Rappresenta, in primo luogo, l’unità nazionale ed è una figura “neutra”, che si colloca al di fuori della tradizionale tripartizione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Ha insomma funzioni di sorveglianza e coordinamento, ma non gli compete, per esempio, promuovere iniziative in materia di politica estera.
Tutti sappiamo che il ruolo della presidenza della Repubblica è cresciuto negli ultimi tempi. Soprattutto grazie a Giorgio Napolitano, che si spinse addirittura a caldeggiare un nostro intervento in Libia contro Gheddafi, a dispetto del parere contrario dell’allora premier Silvio Berlusconi.
Sintonia con Xi
Mattarella, tuttavia, è uomo molto prudente e, almeno finora, non è mai andato oltre i limiti che il suo ruolo gli impone. Questo nonostante la sua formazione politica sia assai distante da quella del governo di centrodestra attualmente in carica (anche se alcune frizioni ci sono state).
E invece, nel corso della sua visita a Pechino, programmata da tempo, abbiamo visto il nostro presidente assumere posizioni molto precise circa il miglioramento dei rapporti tra Italia e Cina. Non a caso Xi Jinping lo ha accolto in maniera calorosa esaltando la loro vecchia amicizia. Mattarella non si è limitato a sottoscrivere accordi, soprattutto di tipo culturale. Ha concordato con Xi circa le necessità di costruire un nuovo ordine mondiale che colga meglio i cambiamenti internazionali.
E questo si sa, è un tema che sta molto a cuore a cinesi e russi, entrambi desiderosi di dar vita a un nuovo ordine che non sia più a trazione occidentale (e americana in particolare). Mattarella si è pure detto contrario a un mondo di blocchi contrapposti, auspicando un mercato mondiale più libero e senza barriere. Intenzione lodevole, che trascura però le politiche commerciali e industriali aggressive praticate da Pechino.
Il fatto è che la Repubblica Popolare non ha mai digerito l’uscita italiana dal progetto della “Via della seta”, anche perché l’Italia, con il governo Conte, fu l’unico Paese europeo a firmare l’accordo nonostante il parere contrario degli Usa e dei partner Ue. La leadership comunista cinese ha quindi colto al volo l’occasione per verificare se, per caso, il governo di Roma intenda tornare sui suoi passi.
Riavvicinamento inopportuno
Ancora una volta, tuttavia, dobbiamo chiederci se spetti al presidente della Repubblica assumere tali iniziative. Sembrerebbe, invece, che esse competano alla presidente del Consiglio, al ministro degli esteri e al governo in carica. Ritornando alla nota prudenza di Sergio Mattarella, è quindi evidente che esse siano state concordate in anticipo con Giorgia Meloni e Antonio Tajani. Non ne abbiamo ovviamente le prove ma, se fosse davvero così, significherebbe che Roma cerca di riavvicinarsi alla Cina (soprattutto per ragioni economiche e commerciali).
Del resto altre nazioni Ue, come sempre in ordine sparso, stanno percorrendo la stessa strada. Si tratta di una strategia pericolosa per molti motivi. Innanzitutto, Pechino continua a praticare una politica aggressiva nello scacchiere dell’Indo-pacifico, puntando soprattutto sulla sottomissione di Taiwan.
Occorre poi rammentare che Donald Trump entrerà in carica tra breve tempo, e ha sempre considerato la Repubblica Popolare alla stregua di maggiore pericolo per l’Occidente. L’Italia non ha certo la forza per correre da sola, e il coordinamento con il maggiore alleato, gli Stati Uniti, resta più che mai necessario.