Esteri

Meglio la cultura dell’autodifesa negli Usa che il caos italiano

Da noi un negoziante aggredito, se spara, rischia non solo di finire in galera, ma anche di dover risarcire l’aggressore

Rapina a mano armata

Essendomi davvero stancato del politically correct che ci viene propinato a tonnellate ogni giorno dai mass media, e in primis dai social network, mi sento obbligato a fare alcune brevi considerazioni dove di politicamente corretto non c’è traccia. La voglia mi è cresciuta dentro constatando che la tendenza ha ormai preso piede anche negli Stati Uniti.

La cultura dell’autodifesa

Dunque. In un articolo del premio Nobel per la letteratura Toni Morrison, pubblicato tempo fa in prima pagina su la Repubblica, viene prospettato un nesso di conseguenza logica fra la diffusione delle armi in America, il razzismo e la crescente frattura che si avverte negli Usa tra forze dell’ordine da un lato e comunità nera (appoggiata da alcuni politici) dall’altro.

Che nella società americana sia molto diffusa la cultura dell’autodifesa, che autorizza l’uso delle armi, è risaputo. Non c’è alcunché di misterioso in tutto questo. È un fatto spiegabile senza difficoltà rammentando la storia della nazione, basata sull’individualismo e sulla convinzione che la risposta armata di fronte all’aggressione di criminali di qualsiasi tipo sia del tutto legittima e giustificata.

Si noti, tra l’altro, che anche grazie a tale cultura diffusa gli Stati Uniti sono diventati la prima potenza mondiale. Essendo i suoi cittadini abituati a maneggiare armi, risulta più facile – rispetto all’Italia e altri Paesi europei – addestrare le reclute e inviarle in missioni di guerra. Da noi il pacifismo imperante rende invece più arduo tale compito, inducendo al pessimismo nel malaugurato caso di attacco al nostro territorio.

Scriveva la Morrison che “le cosiddette leggi stand your ground for self-defense (che consentono a una persona armata di sparare a un presunto aggressore in base alla mera percezione di pericolo per la sua incolumità) permettono a chiunque di uccidere chi si trovi nella sua proprietà”.

Vero. Ma è forse migliore la situazione in Italia, dove per esempio un negoziante aggredito, se spara, rischia non solo di finire in galera, ma anche di dover risarcire l’aggressore? E dove lo stesso negoziante, che secondo i magistrati non dovrebbe in alcun caso far fuoco, è obbligato a valutare nel giro di pochi secondi se il delinquente intende colpirlo sul serio oppure appropriarsi “soltanto” del suo denaro? Con ciò lasciando intendere che, in fondo, il furto del denaro altrui non costituisce reato?

Polizia e razzismo

E vengo ora alla questione del razzismo. La Morrison, lei stessa afroamericana, sosteneva che la polizia Usa è intrinsecamente razzista, scordando alcuni particolari importanti. In primo luogo, non dice che moltissimi neri fanno parte delle forze dell’ordine e subiscono anch’essi aggressioni. In secondo luogo dimentica che molti comandanti delle polizie locali sono, per l’appunto, neri.

Nessun sindaco di una grande metropoli, come fece a suo tempo a New York l’italo-americano Bill De Blasio, dovrebbe indurre i propri figli a diffidare delle forze dell’ordine. Certo la polizia americana ha fama di durezza, ma non si vede come potrebbe lavorare diversamente in un contesto di quel tipo. Ancora una volta chiedo: meglio questo oppure il caos italiano, dove polizia e carabinieri vengono costantemente aggrediti, e pure criticati quando si difendono?

Aggiungo un’ultima chicca dell’articolo di Toni Morrison (nel frattempo defunta). La scrittrice non concorda con chi sostiene che il presidente Barack Obama avrebbe dovuto fare di più per “difendere i neri”. Notando che era il presidente di tutti (e ci mancherebbe), afferma poi in modo quasi casuale: “non dimentichiamo che sua madre e chi lo ha cresciuto erano bianchi”. Con ciò lasciando intendere che, se fosse cresciuto in una famiglia integralmente nera, avrebbe assunto un comportamento diverso.

Anche l’America è cambiata

I lettori di Repubblica apprezzarono moltissimo il pezzo. Io – lo confesso – assai meno. Del resto sono ormai molti i Nobel che, dopo aver ricevuto il prestigioso premio, fanno dubitare della bontà delle scelte operate dalla giuria di Stoccolma. Basti pensare a tanti Nobel per la pace.

Mi accorgo ora di aver usato all’inizio di questo articolo l’espressione “cultura dell’autodifesa”, collocandomi ipso facto al di fuori dei confini che delimitano il politicamente corretto. Tuttavia non me ne pento affatto.

È precisamente quel tipo di cultura, quella della Frontiera e del West, ad aver creato l’America com’è ora. O, meglio, com’era. Giacché pure l’America è cambiata, e non mi stupirei se in breve tempo anche là i cantori del politically correct diventassero maggioranza. Finora ci sono riusciti solo parzialmente, ma diamo tempo al tempo.

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