Meloni non ci sta. E il patto dei perdenti rischia di nascere morto

Nomine appese alle elezioni legislative francesi. La rottura della logica del consenso da parte del PPE e del quartetto dei perdenti. La finzione di “elezioni europee”

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Dunque, i grandi sconfitti delle elezioni europee andranno avanti come se nulla fosse accaduto il 9 giugno, forti dei loro numeri solo apparentemente sicuri nel nuovo Parlamento europeo?

Il primo passaggio previsto dai Trattati sul nome del nuovo presidente della Commissione e sulle altre nomine apicali, i cosiddetti “top jobs”, è quello del consenso dei capi di Stato e di governo dei Paesi membri in una sede ben precisa: il Consiglio europeo.

La rottura

Quello che è accaduto invece è che un comitato ristretto composto da due leader usciti vincitori dalle urne (il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis e quello polacco Donald Tusk, entrambi del PPE) e quattro sconfitti (il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez per il PSE, il presidente francese Emmanuel Macron e l’ex primo ministro olandese Mark Rutte per il gruppo Renew), in rappresentanza di una presunta, ancora tutta da verificare, maggioranza del Parlamento europeo, si è accordato alle spalle degli altri Stati membri.

La sgrammaticatura istituzionale non sta tanto nei colloqui informali paralleli (avvenuti persino prima del voto e a margine del G7 ospitato dall’Italia), ma nell’esclusione di Giorgia Meloni, premier di un grande Paese fondatore uscita peraltro rafforzata dalle urne. Esclusione che dimostra la logica politica dei convitati, a prefigurare una maggioranza in Parlamento mentre il primo consenso richiesto dai Trattati è quello tra i capi di Stato e di governo, indipendentemente dal colore politico dei loro governi. Qui sta la rottura della logica del consenso, nella fretta di escludere non la tanto temuta “estrema destra”, ma una destra di governo.

La finzione delle “elezioni europee”

Responsabilità principale è del PPE, l’unico dei gruppi della maggioranza Ursula uscito vincitore dalle urne e ago della bilancia. Ma qui sta l’altra grande beffa. Come ha osservato già su queste pagine Fabrizio Borasi, si sono tenute non “elezioni europee”, ma 27 elezioni nazionali concomitanti, nelle quali gli elettori hanno votato sulla base dei posizionamenti “di casa” delle forze politiche.

Solo così si spiega la tenuta del PPE a livello europeo. Ovunque, infatti, ciascuno nei rispettivi Paesi, i partiti membri del PPE hanno ingannato i propri elettori, raccogliendo i loro voti in forte opposizione alla sinistra – pensiamo alla CDU contro Scholz in Germania e ai Popolari spagnoli contro Sanchez, ma anche a Forza Italia, al governo con Meloni – per poi usarli nelle istituzioni europee per allearsi con i Socialisti.

Tedeschi e spagnoli hanno votato rispettivamente CDU e PP contro i governi Scholz e Sanchez, ma il PPE si spartisce le cariche Ue proprio con Scholz e Sanchez. Una truffa politica resa possibile da quella finzione chiamata “elezioni europee”.

Meloni non ci sta

Un metodo, quello dell’accordo preconfezionato dal PPE con i perdenti, e ufficializzato martedì, che ha ovviamente irritato il governo di Roma, che ha fatto sapere di “non escludere nulla”. Potrebbe chiedere di mettere ai voti il pacchetto di nomine, o addirittura i singoli nomi, per poi astenersi – una rottura notevole ad un tavolo dove di solito si procede per consenso nella definizione dei vertici. Ma come abbiamo cercato di spiegare, la rottura si è già consumata.

“Potevano aspettare il vertice che si apre domani per ufficializzare la decisione, potevano avere più rispetto per un Paese fondatore dell’Unione. Invece hanno deciso di andare avanti senza di noi, a questo punto nulla è più scontato, nemmeno il sostegno parlamentare del gruppo ECR ad un secondo mandato di Ursula Von der Leyen”, ha fatto sapere Palazzo Chigi al Corriere.

Parole chiare e nette dalla premier Giorgia Meloni ieri alla Camera: “I cittadini hanno detto chiaramente cosa preferiscono. Se c’è un dato indiscutibile emerso dalla tornata elettorale è la bocciatura delle politiche portate avanti dalle forze di governo di molte delle nazioni europee che sono anche molto spesso le forze che hanno impresso le politiche dell’Unione”. Un giudizio negativo che, fa notare la premier, “emerge dal peso dei seggi ottenuti dai partiti di governo sul totale degli eletti”. In Francia, per dire, Macron ha conquistato solo il 16 per cento dei parlamentari europei attribuiti al suo Paese. “Solo l’Italia ha un dato positivo con quasi il 53 per cento degli eletti espressione delle forze di governo”.

Chi ha incarichi di responsabilità, è il ragionamento della Meloni, dovrebbe “seguire le indicazioni dei cittadini” invece di promuovere una visione “oligarchica e tecnocratica della politica e della società”. “Consideravo surreale che nella prima riunione informale alcuni si presentassero con le proposte di nomi per gli incarichi apicali senza neanche fingere di aprire una discussione su quali fossero le indicazioni arrivate dai cittadini”.

Meloni ha quindi denunciato il cambio di paradigma in corso sulle nomine. Se i ruoli apicali delle istituzioni Ue “sono stati normalmente affidati tenendo in considerazione i gruppi con il consenso maggiore, e quindi il responso elettorale, indipendentemente da logiche di maggioranza e opposizione, che cambiano da dossier a dossier”, al contrario “oggi si sceglie di aprire uno scenario nuovo e la logica del consenso viene scavalcata da quella dei caminetti, dove una parte decide per tutti. Una conventio ad excludendum che a nome del governo italiano ho contestato e non intento condividere. L’errore che si sta per compiere con l’imposizione di questa logica e di una maggioranza fragile e destinata probabilmente ad avere difficoltà nel corso della legislatura è un errore importante non per la sottoscritta, per il centrodestra o per l’Italia, ma per un’Europa che non sembra comprendere la sfida che ha di fronte o la comprende ma preferisce in ogni caso dare priorità ad altre cose”.

E ancora: “Disgregante la linea politica di chi ha come priorità o sembra avere come priorità all’interno della casa europea l’obiettivo di mettere all’angolo intere nazioni perché non si condividono i governi che i cittadini di quelle elezioni hanno scelto in libere elezioni”.

E quindi la coerente conclusione: “Non intendo modificare la mia posizione sulle nomine europee in cambio di un ruolo che l’Italia merita di diritto“. Un sonoro “no” ai titoli dei giornali di ieri della serie “Una vicepresidenza di peso per convincere Meloni”.

La variabile elezioni francesi

Ma in realtà, le nomine che oggi entreranno nel Conclave Ue come pacchetto chiuso sono condizionate alle elezioni legislative francesi che si terranno il 30 giugno e 7 luglio. Non solo perché Giorgia Meloni proverà a rinviare la decisione a dopo il voto, ma anche perché la ratifica di due delle nomine (Von der Leyen e Kallas) da parte del Parlamento europeo arriverà comunque successivamente, per cui i vertici Ue designati da questo Consiglio nascerebbero “contro” i governi di Roma e Parigi. Uno scenario insostenibile.

In caso di vittoria del Rassemblement National di Marine Le Pen, e di un accordo con il gruppo ECR guidato da Meloni, il PPE si troverebbe di fronte a equilibri profondamente mutati.

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