Nemmeno il tempo di litigare con l’Italia sui migranti e di rincarare la dose anche a livello europeo, tentando di isolarla sul tema (dopo l’affronto del premier Meloni sulla Ocean Viking), al presidente francese Emmanuel Macron scoppia in faccia la bomba McKinsey, una grana che sembrava sepolta e fossilizzata nel pleistocene delle cronache dei quotidiani di opposizione d’epoca pre-elettorale.
Questa volta però c’è più di un sospetto sul presidente se la procura finanziaria francese ha deciso di aprire ben due indagini giudiziarie in relazione al finanziamento delle sue campagne presidenziali del 2017 e del 2022.
La prima indagine
Durante le ultime elezioni presidenziali, con una tempistica che inizialmente pareva sospetta (ma col senno di poi non lo era affatto), un rapporto del Senato aveva suscitato un’accesa polemica riguardante l’uso dei fondi pubblici a vantaggio di aziende vicine al presidente e l’opposizione aveva chiesto un’indagine sui possibili favoritismi di cui McKinsey avrebbe beneficiato con l’aiuto della maggioranza macronista.
A mettere fuoco alle polveri un articolo di Le Parisien e una serie di segnalazioni e denunce da parte di eletti e singoli cittadini in seguito alle quali la procura ha deciso di vederci chiaro e aprire un’indagine giudiziaria, in particolare con l’accusa di “tenuta non conforme della contabilità della campagna elettorale e di sottostima degli elementi contabili nel conto della campagna, relativi alle condizioni di intervento delle società di consulenza nelle campagne elettorali del 2017 e del 2022“.
La seconda indagine
La seconda indagine invece verte sull’accusa di aver prodigato e ricevuto favoritismi. Un sistema tentacolare di do ut des tra la presidenza Macron e la società di consulenze private McKinsey, tutto rigorosamente a spese del contribuente francese.
Secondo la relazione della Commissione d’inchiesta del Senato francese i contratti tra lo Stato e le entità francesi di McKinsey sono “più che raddoppiati” tra il 2018 e il 2021, raggiungendo un importo record di oltre 1 miliardo di euro nel 2021.
Il rapporto ha anche evidenziato un possibile accordo fiscale tra McKinsey e lo Stato francese che avrebbe permesso loro di non pagare una serie di imposte tra il 2011 e il 2020.
Insomma oltre il danno la beffa: non solo esose consulenze pagate dai contribuenti ma persino esentasse. Un’indagine preliminare su questi fatti era già in corso dal 31 marzo per riciclaggio di frode fiscale aggravata. Il 24 maggio scorso è stata effettuata una perquisizione nella sede francese di McKinsey. Il rapporto del Senato denuncia un “fenomeno dilagante” e il suo crescente costo per le finanze pubbliche.
I favoritismi a e da McKinsey
I legami di Emmanuel Macron con la società McKinsey risalgono al 2007. Da giovane ispettore delle finanze sotto l’egida presidenziale di Sarkozy, Macron è diventato vice relatore generale della Commissione Attali, il cui ruolo era quello di proporre riforme economiche alla presidenza francese.
Con il suo iperattivismo ed il suo carisma, Macron fa colpo su Eric Labaye, allora responsabile di McKinsey in Francia. Dopo la sua elezione a presidente nel 2017, giovani consulenti McKinsey entrano magicamente a far parte della squadra governativa di Macron. Lo stesso Labaye viene nominato presidente del Polytechnique nel 2018.
Ma i favoritismi non sono solo in entrata ma anche in uscita. L’ex capo dei Jeunes avec Macron Martin Bohmert, ad esempio, deux ex machina della campagna elettorale macronista, entra in McKinsey nel 2020.
Possibili conti offshore
L’uso delle consulenze private durante la presidenza Macron fa inoltre paventare, secondo la procura, possibili conti offshore in cui il presidente avrebbe ricevuto prebende e premi lontano dagli occhi indiscreti delle autorità finanziarie francesi.
Insomma, altro che ong e barconi che diventano un caso diplomatico a Bruxelles, d’ora in poi Macron avrà ben altro di cui occuparsi. Il suo sguardo sarà giocoforza costretto a dirigersi lontano dalle coste italiane.