Dopo sei mesi di silenzio la ex cancelliera tedesca Angela Merkel è tornata a parlare in pubblico, per una intervista al giornalista dello Spiegel Alexander Osang. La guerra in Ucraina, i suoi rapporti personali con Vladimir Putin e la sua politica nei confronti della Russia, oggetto di una profonda revisione in Germania a partire dal 24 febbraio, sono stati ovviamente i temi centrali dell’intervista.
Nessuna autocritica
L’ex cancelliera ha espresso una dura quanto prevedibile condanna dell’invasione russa dell’Ucraina: “Non c’è alcuna giustificazione possibile” per quella che ha definito una “brutale guerra di aggressione“, una “rottura di tutte le regole della coesistenza pacifica in Europa” e un “grande errore” di Putin.
Tuttavia, la Merkel ha difeso con decisione, anche se a tratti contraddicendosi e dando l’impressione di arrampicarsi sugli specchi, la sua eredità politica, finita sotto processo in questi ultimi mesi. Nessun ripensamento, nessuna autocritica per la Ostpolitik e in particolare per quelle scelte di politica energetica che, non curante degli avvertimenti dei partner europei e americani, ha perseguito e implementato nei suoi 16 anni di governo, accrescendo la dipendenza della Germania, e dell’intera Ue, dal gas russo.
Su Atlantico Quotidiano più volte, anche di recente, abbiamo spiegato come il completamento del gasdotto Nord Stream 2 sia stato uno degli eventi decisivi, come abbia almeno incoraggiato Putin a invadere l’Ucraina.
Gli accordi di Minsk
E gli accordi di Minsk, che hanno permesso alla Russia di mantenere boots on the ground in Ucraina, cristallizzando di fatto le conquiste territoriali del 2014, premessa per l’invasione di oggi? L’ex cancelliera non rimpiange la trattativa con Putin: “Il mio cuore ha sempre battuto per l’Ucraina, ma dovevo tenere conto della realtà”. “Non vedo alcun motivo per dire che è stata una politica sbagliata”, quindi “sono contenta di non avere nulla da rimproverarmi“. “Ho cercato di lavorare nella direzione di prevenire il disastro, e la diplomazia non è sbagliata se non ha successo”.
Le contraddizioni e il cinismo
Ma poi ecco arrivare le contraddizioni. La Merkel ha ammesso che Putin risponde meglio alla forza, è “il solo linguaggio che comprende”. Viene da chiedersi allora perché lei e Sarkozy abbiano perseguito un approccio più cauto, se non l’appeasement, nel 2014-2015.
Non solo. In Germania si è molto dibattuto in queste settimane del fallimentare approccio, rivelatosi una illusione, detto Wandel durch Handel (cambiamento tramite il commercio), che per almeno un ventennio è stato la pietra angolare delle politiche dei governi tedeschi nei confronti della Russia.
Ebbene, ora salta fuori che la Merkel non ci ha mai creduto: “In nessun momento ho ceduto alle illusioni” che la politica tedesca del Wandel durch Handel avrebbe davvero cambiato il comportamento di Putin. “Non ero naive“. Di più, racconta come abbia ripetutamente avvertito gli alleati che Putin “vuole distruggere l’Ue perché la vede come un precursore della Nato”.
Affermazioni sconcertanti, perché viene da chiedersi: se era consapevole delle intenzioni maligne di Putin, perché ha perseguito politiche che hanno reso la Germania e l’Europa sempre più dipendenti dalle importazioni di gas russo.
Se era consapevole che il comportamento di Putin non sarebbe cambiato con gli accordi commerciali e che la sua intenzione è distruggere l’Ue, come ha potuto consegnargli le chiavi della sicurezza energetica tedesca ed europea? Molto non torna nei ragionamenti e nelle giustificazioni della ex cancelliera. L’unica spiegazione è un elevato tasso di cinismo.
Il “no” all’Ucraina nella Nato
Interessante anche il passaggio dell’intervista in cui la ex cancelliera conferma il suo “no” all’ingresso di Kiev nella Nato al vertice di Bucarest del 2008. Un “no” che la Merkel motiva con due argomenti: “Non era l’Ucraina di oggi, era un Paese spaccato politicamente, dominato dalla corruzione. Non era una solida democrazia“.
E, ha aggiunto, “pensavo anche che Putin non l’avrebbe permesso, l’avrebbe presa come una dichiarazione di guerra. Ed ero convinta che avrebbe potuto fare gravi danni all’Ucraina. Pochi mesi dopo intervenne in Georgia. Non potevamo far entrare un Paese nella Nato da un giorno all’altro”.
Due conferme
Argomenti che però confermano due cose: 1) che l’ipotesi dell’ingresso di Kiev nella Nato è sostanzialmente tramontata nel 2008. Bisogna ricordare infatti che nel 2009, a succedere a George W. Bush alla Casa Bianca fu Barack Obama, protagonista insieme al segretario di Stato Hillary Clinton del famoso “reset” con Mosca, il tentativo di far ripartire su un corretto binario le relazioni Usa-Russia.
Nel 2010, a Kiev viene eletto presidente il filo-russo Yanukovich, una ulteriore garanzia per Mosca che di Ucraina nella Nato non si sarebbe più parlato per molto tempo. Nel 2014, con l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, l’adesione diventa anche tecnicamente impossibile, avendo l’Ucraina dispute territoriali in corso.
2) Diversamente da quanto auspicato dalla Merkel nel 2008, Putin non si è accontentato del suo “no”, ha inferto ugualmente “gravi danni all’Ucraina”. Già nel 2014, non in ragione di un nuovo tentativo di farla entrare nell’Alleanza, ma reagendo al fallimento del suo tentativo di impedire a Kiev di firmare un accordo di associazione con l’Ue. Tutto ciò a dimostrare come le pretese di Putin sull’Ucraina vadano molto oltre l’assicurazione che non aderisca alla Nato.
Come ha sintetizzato Andreas Fulda, la politica tedesca nei confronti della Russia nei 16 anni di Merkel è consistita in un misto di “ingenuità, avidità, paura e fatalismo“. Un disastro assoluto. E il rifiuto della Merkel di riconoscere i suoi errori, la sua incapacità di una seppur minima autocritica, non fa ben sperare per il futuro.