Esteri

Michelle, ma belle. Ecco perché è un candidato improbabile

I veri Obama al di là dei wishful thinking nostrani. Michelle non ama la politica di partito, ha scelto il ruolo comodo e senza rischi dell’attivista. Presidenza fallimentare del marito

Michelle Barack Obama (youtube Obama Foundation)

Comunque la si voglia vedere quella di giovedì sera (ora americana) è stata una débâcle per il presidente americano Joe Biden. A poco contava la difesa d’ufficio di Barak Obama:

Serate di dibattito negative capitano, credetemi ne so qualcosa. Ma questa elezione è ancora una scelta fra qualcuno che si è battuto per la gente ordinaria per tutta la sua vita e qualcuno che pensa solo a sé stesso. Fra qualcuno che dice la verità, che sa quello che è giusto e sbagliato e qualcuno con mente in cerca di benefici. la notte scorsa non ha cambiato questo. La posta in gioco a novembre è alta.

Da subito si è scatenata una gara – sui media e all’interno del Partito democratico – a “scaricare” il vecchio Joe, cercando di individuare, con tutte le difficoltà possibili, un nuovo candidato “vincente”. Una narrazione ed un tifo tutto americano. Certo le elezioni presidenziali statunitensi sono un evento planetario, ed attirano i più svariati commenti, ma il tifo dovrebbe appartenere solo alla stampa e all’opinione pubblica americana.

La madonna nera di Ferrara

Per questo muove a stupore l’editoriale di Giuliano Ferrara del 29 giugno, che, con ruffiana cortigianeria, sembra invocare l’apparizione di una laica madonna nera: “Solo Michelle Obama ci salverà”. Ecco che di fronte alle pestilenze incombenti si offre al mondo sofferente l’icona di una santa protettrice che possiede, chissà come, doti taumaturgiche ed alla quale bisogna affidarsi toto corde.

Non si discute sul fatto che il problema della candidatura democratica esista, ed è legittimo che l’”Elefantino” (de ‘noantri) nei suoi numerosi cambi di casacca, abbia sposato la causa dell’Asinello fino a dire che “anche ridotto come lo abbiamo visto a Atlanta, Biden vale cento volte Trump, losco bugiardo che incanta l’America peggiore, a bunch of deplorables, un’immensa plaga di reietti che aspirano al potere per un delinquente insurrezionista in nome dei loro incubi complottisti”. Ma il panegirico verso l’ex first lady che – fino a prova contraria – non ha mai espresso desideri reconditi e/o plateali di carriera politica (come invece era nella cifra umana di Hillary Rodham Clinton, che – non dimentichiamo – prima di correre per la Casa Bianca, fece un “giro” da senatore dello stato di New York), appare fuori luogo.

Il nostro Ferrara insiste nell’elencazione delle “virtù eroiche” della donna da santificare in vita:

Donna, nera, energica, carismatica e molto più giovane del suo possibile competitor sessista, maschilista, razzista e corrotto fin nelle midolla. Sopra tutto Michelle può ricostituire un sogno democratico con basi realiste, erede del moderatismo anche eccessivo del marito pragmatico, degli ideali anche farlocchi ma produttivi che ha incarnato, del suo stile wokista che è ormai una componente fissa del panorama d’opinione americano.

Ma stiamo scherzando? Lo stile wokista visto come una componente – magari fastidiosa – ma fissa dell’opinione americana e non un cancro che sta sciogliendo il tessuto connettivo della società americana? Meglio una deriva morale degli Stati Uniti a qualunque altra opzione politica?

Forse non a torto Fiamma Nirenstein ebbe a dire che Giuliano Ferrara è colto e preparato, ma, spesso, “non lucido”. Che una discesa in campo di Michelle Obama possa mettere in difficoltà The Donald è cosa certa, ma sarebbe eccessivo affermare che l’ipotetico scontro tra Trump e Michelle LaVaughn Robinson in Obama (impariamo a conoscere il suo vero nome) sarebbe “una battaglia sul futuro, con in più per Michelle la capacità di articolare con furia femminile e di minoranza etnica i risultati del vecchio politico sopravanzato dai suoi anni [Biden]. Solo un sogno, per quanto si farebbe volentieri a meno degli scontri onirici nel paese guida dell’occidente, potrebbe battere gli incubi su cui vive e prospera The Donald”.

“Furia femminile e di minoranza etnica”! Sembrano riecheggiare le invettive dell’onesta e compianta Elvira Banotti, tanto cara a Ferrara (che per gioco – alle volte – la chiamava “Evira” Banotti) da essere diventata firma del Il Foglio, dopo essere stata presenza fissa alle sue trasmissioni televisive.

Una domanda sorge spontanea: dopo tutta questa colata di melassa a favore di Michelle Obama, ci si è posti il dubbio se la candidatura sia un desiderio della Nostra e se, comunque sarebbe una figura valida e competente, visto che aver frequentato per otto anni le stanza della Casa Bianca non dà ipso facto – come sembra presagire Ferrara – la capacità di sedersi alla scrivania dello Studio Ovale?

Michelle l’attivista

Già a maggio David Axelrod, l’esperto di comunicazione che organizzò le due campagne vincenti di Barack Obama, professò scetticismo su una possibile candidatura di Michelle: “Lei non è una persona che ama la politica“, ha dichiarato alla Cnn lo stratega. “Sarei sbalordito se acconsentisse. Loro [gli Obama] sentono di aver dedicato dieci anni della loro vita a questo. Ho più possibilità io di ballare al Balletto del Bolshoi l’anno prossimo”.

Siamo realisti! I coniugi Obama sono impegnati in diverse redditizie attività. Hanno siglato un contratto da 65 milioni di dollari per le loro biografie e gestiscono la casa di produzione cinematografica Higher Ground, responsabile di opere come Leave the World Behind su Netflix. Inoltre, si dedicano alla Obama Foundation, che promuove iniziative sociali ed educative, e stanno realizzando l’Obama Presidential Center a Chicago, destinato a diventare un importante centro di riferimento culturale.

Oltre a questo, Michelle Obama continua le sue campagne contro l’obesità ed a favore di un magiare sano e “bio” (chi non ricorda l’orto che volle creare nel giardino della White House). Il ruolo che meglio si attaglia a Michelle LaVaughn Robinson in Obama è quello, comodo e senza rischi dell’attivista, piuttosto che quello del politico uso a manovrare “sangue e merda”, utilizzando l’antica e schietta immagine di Rino Formica.

Poi bisogna riconoscere che – al di là delle visioni agiografiche come quelle rappresentate dal film “The Butler” – Obama viene ricordato dagli “anziani” del Partito democratico come colui che correva solo per se stesso, senza interesse per il partito dell’Asinello. Anzi, più scoppole elettorali venivano inflitte ai Democratici, più Obama si ergeva a “salvatore della Patria”.

Una presidenza fallimentare

Al di là dell’eleganza della coppia Obama (il presidente sapeva indossare il tuxedo  come pochi, molto meno prestazionale la moglie) bisogna riconoscere che si è trattata di una lunga presidenza fallimentare – nonostante il Nobel “preventivo” – in politica estera (chi non ricorda le tragedie innescate dalle primavere arabe, del tutto incomprese dagli americani), faziosa nei diritti civili, debole nel ambito della Sanità, nonostante i richiami ai modelli europeo-continentali e fragile in economia.

In un articolo su “Tempi” nel lontano 2014 (metà del secondo mandato Obama) Mattia Ferraresi riportava un sondaggio (24-30 giugno 2014) della Quinnipac University (Hamden, CT) dove il 33 per cento del campione pensava che Obama fosse il peggiore presidente degli ultimi sessant’anni (solo l’8 per cento lo giudicava il migliore). Performance scarsa se si pensa che il risultato era peggiore di quello del suo odiatissimo predecessore George W. Bush fermo al 28 per cento di giudizi negativi (anche se solo l’1 per cento lo considerava il migliore), largamente peggiore dell’infinitamente deprecabile Richard Nixon (13 per cento) e dell’imbelle Jimmy Carter (8 per cento).

Per rendere la percezione ancora più amara per Obama, il sondaggio rivela che il più amato fra i presidenti da Truman in poi è nientemeno che Ronald Reagan, più venerato di quanto Obama è odiato (35 per cento). Più staccato nella classifica John Fitzgerald Kennedy, con il 15 per cento dei consensi.

Di fronte a queste cifre, che sicuramente sono mobili come l’umore di ciascun individuo, le aspettative fideistiche di Ferrara verso la Madonna Nera di Martha’s Vineyard nel Massachusetts appaiono poco motivate. Credo che per i Democratici un appannato Biden sia meglio dell’ex first Lady, senza contare che vi sono numerosi governatori o membri del Congresso che stanno scaldando i motori ai box.