Esteri

Miopia di Macron e VDL, molto rischioso ignorare gli elettori

Nelle urne hanno bocciato gli eccessi della Commissione uscente ma si ritrovano continuità di figure e formule politiche. Intervista al politologo Luigi Curini

Macron Von der Leyen (Eliseo)

La Francia, contesa dagli opposti estremismi e da forti conflittualità sociali, vede oggi venir meno la propria compattezza e unità. Con ricadute significative sia sul piano europeo che su quello internazionale. Dai moti di rivolta degli Insoumise alle proteste e ai timori sul Rassemblement National, passando per le piccole ambizioni dei vari gruppi moderati, oggi la Francia sembra bloccata, divisa e inconciliabile rispetto alle spinte di un cambiamento tanto necessario quanto pervaso di ambizioni velleitarie.

Vaghe aspirazioni di governo, confuse alleanze, progetti e strategie machiavelliche che di fronte ai necessari compromessi di una Assemblea Nazionale paralizzata e frammentata non faranno che produrre maggiore instabilità e maggiore divisioni. Si delinea quindi il quadro di una Francia divisa, dilaniata e confusa in cui lo scollamento tra Paese e classe dirigente e politica è tanto più accentuato quanto più esasperato, e le criticità sembrano accentuarsi di fronte a delle querelle parlamentari che non faranno che esacerbare questi aspetti.

Per affrontare questi temi abbiamo intervistato il professor Luigi Curini, docente alla Statale di Milano, studioso delle principali trasformazioni del nostro scenario politico.

Errore di calcolo dell’Eliseo 

FRANCESCO SUBIACO: Come spiega i risultati delle elezioni legislative francesi e quali chiavi possiamo utilizzare per comprendere le dinamiche transalpine?

LUIGI CURINI: Per rispondere complessivamente alla domanda occorre fare un passo indietro e tornare a quando il presidente francese, a ridosso del risultato insufficiente delle elezioni europee, decise di sciogliere l’Assemblea Nazionale. Nel momento in cui Macron convocò le elezioni anticipate aveva, a mio avviso, in mente una strategia ben definita. Il presidente francese, infatti, di fronte alle croniche divisioni della gauche e all’avanzata di Le Pen, conscio dell’insostenibilità della continuazione di un governo di minoranza come quello con a guida Gabriel Attal, ha preferito tentare di rigenerare la propria maggioranza convocando nuove elezioni.

Credendo che nella migliore delle ipotesi avrebbe potuto raccogliere numerosi consensi, al fine di rigenerare la sua maggioranza, facendo il pieno di “voto utile” contro il lepenismo nel secondo turno. Soprattutto nella convinzione che anche in caso di una striminzita vittoria del Rassemblement National, una coabitazione debole e difficile avrebbe stemperato l’ondata lepenista in vista delle presidenziali del 2027.

Il suo errore è stato quindi di non considerare una sinistra unita e soprattutto non considerarla in grado di raggiungere un risultato così decisivo. Di fronte a questa condizione di svantaggio ha dovuto decidere di approvare dei patti di desistenza con il NFP per contenere RN al fine di recuperare una centralità a livello parlamentare. 

I limiti di una maggioranza Ursula

FS: Come si evolverà lo scenario parlamentare e quali tipi di maggioranza potrebbero emergere?

LC: In questo quadro Macron si è presentato con la volontà di creare un ampio fronte repubblicano che va dalla sinistra moderata ai gollisti, cercando di formare una “maggioranza Ursula” nel tentativo di rimettere la sua coalizione in un ruolo primario. Una prospettiva piena di incognite che lo porterà probabilmente a seguire un’altra strada, molto più in linea con le sue ambizioni e aspirazioni.

FS: Quali sono i veri nodi di un fronte repubblicano?

LC: Un progetto di maggioranza “repubblicana” si basa sulla adesione sia dei gollisti che soprattutto dei moderati e progressisti del NFP. I quali dovrebbero lasciare la coalizione che li ha riportati al centro della vita politica dopo anni di marginalità per entrare in un governo con la destra gollista e il centro macroniano. Uno scenario che ritengo tutto sommato improbabile.

In questo disegno politico mi pare che non ci sia, infatti, alcun incentivo e motivazione che possa portare il Fronte popolare a disgregarsi. Ed anzi ciò ne minerebbe profondamente la credibilità nell’elettorato estremista e radicale. L’unico modo che ha la sinistra, anche quella moderata, di avere un primo ministro è, infatti, di presentarsi unita.

I gollisti, ad esempio, non accetterebbero di buon grado una figura della sinistra moderata come primo ministro, e anche all’interno del fronte centrista – che è ricco di figure di equilibrio, da Philippe a Cazeneuve – non c’è nessuna volontà di concedere uno spazio del genere ai Verdi o ai socialisti. In questo quadro che interesse avrebbero i socialisti a sfaldare la loro coalizione e perdere i consensi riottenuti dopo anni di declino? Rimane, quindi, solo una scelta a Macron e più passa il tempo più essa appare consapevolmente assunta.

Una sola opzione per Macron

FS: Quale?

LC: Guardare ad una coabitazione con la sinistra più che a improbabili alleanze trasversali. Per il capo dello Stato, infatti, sarebbe comunque vantaggioso avere un governo di minoranza, e quindi debole, di sinistra, magari a guida Hollande, in modo da avere una coabitazione anomala rendendo il ruolo del presidente della Repubblica cruciale e decisivo. Così facendo potrebbe comunque bloccare ogni azione anomala o stravagante e allo stesso tempo il vero blocco chiave per la tenuta del governo sarebbe proprio quello centrista.

Un governo di minoranza del NFP sarebbe infatti appeso per tutto il suo mandato alla non sfiducia del blocco macronista nell’Assemblea Nazionale. Così facendo il presidente potrebbe sia smorzarne la forza eversiva che contenerne il seguito e il consenso elettorale in una coabitazione condizionata dal suo ruolo di garante.

In questa situazione Macron manterrebbe un ruolo cruciale. Mentre, invece, in un governo tra il Fronte Popolare e Ensemble quest’ultimo sarebbe il partner debole che aprirebbe solo la strada ad una futura vittoria della destra. Un calcolo che però appare estremamente controverso e rischioso anche perché una debolezza delle sinistre non potrebbe che agevolare il RN. Quella di Macron mi sembra una strategia, in conclusione, molto miope…

Il confuso protagonismo macroniano

FS: A cosa è dovuto questo errore?

LC: Questa miopia di Macron è dovuta, a mio avviso, alla sua ambizione, che rischia di portarlo non solo a fagocitare le ambizioni dei suoi delfini, ma anche il futuro stesso dei moderati, nel tentativo di avocare a sé il vero centro della politica francese. Una sfida, alla luce di ciò, che appare molto rischiosa e che rischia di creare solo instabilità e ingovernabilità. In questa scelta di fare dopo di lui il diluvio si vede un vizio tipico di buona parte dei leader francesi.

Ursula-bis

FS: Come il risultato delle elezioni inciderà nelle trattative per la formazione della prossima governance europea? 

LC: Tale scenario avrà delle conseguenze estremamente significative. Dobbiamo chiederci che tipo di maggioranza si creerà. Ursula Von der Leyen di fronte ad una sostanziale incertezza parlamentare ha aperto ai Verdi e anche ad alcune forze della sinistra.

Allo stesso tempo a destra si sta condensando un nuovo gruppo europeo fortemente antagonista, Patrioti d’Europa, che ha superato tanto Alde quanto Ecr nelle sue dimensioni. Il Parlamento europeo vive quindi una frammentazione caotica e complessa che apre molte preoccupazioni. In questi anni, infatti, una delle grandi certezze della governance europea erano stati la stabilità e la continuità della visione della Francia garantiti dalla centralità di Macron.

Di fronte a un ridimensionamento del ruolo del presidente, invece, oggi gli stessi equilibri europei dovranno ricalibrarsi. In questo senso è molto incerto e instabile lo scenario in cui si muoverà la stessa azione di Giorgia Meloni. Che probabilmente si aspettava un risultato differente. Meloni sa che da una parte appoggiare la libertà di voto dei conservatori potrebbe farle ottenere un commissario di peso, anche se a ciò però non si sommerà un reale vantaggio programmatico.

D’altra parte, però, sa che virare verso i gruppi dell’estrema destra non farebbe che distruggere il duro e giusto lavoro che ha fatto in questi anni con una linea nettamente euroatlantica. Ottenendo poi da questa scelta dei risultati estremamente velleitari. La Meloni si trova di fronte ad una grande sfida ricca di numerose incertezze. Bisogna poi riflettere su un altro aspetto.

Elettori ignorati

FS: Quale?

LC: Nonostante gli elettori europei si fossero esposti in questa tornata elettorale contro il Green Deal e l’immigrazione, con una valutazione negativa rispetto agli eccessi della scorsa Commissione, ora, anzi, si trovano di fronte ad una generale continuità, non solo di figure ma anche di formule politiche, rispetto ad una governance europea che avevano ampiamente contestato. 

FS: Si ignora quindi uno degli orientamenti complessivi di queste elezioni europee…

LC: Esattamente. Ciò mi sembra molto rischioso perché sottovalutare la rabbia in Europa e i problemi che gravano sulla Ue, è una scelta politica se non irresponsabile molto rischiosa. Soprattutto di fronte a delle sfide politiche cruciali dei prossimi anni. Si ignorano le spinte di insoddisfazione e cambiamento degli elettori che non tanto si cercano di conciliare o superare ma vengono ignorate completamente

Il destino dei lepenisti

FS: In chiusura il RN tornerà ad essere un grande escluso della politica francese o prevede una sua svolta post-populista?

LC: Le elezioni francesi sono state assai agrodolci per il RN con un secondo turno che era una sorta di referendum sul RN che esso ha sostanzialmente perso, anche se ottenendo risultati notevoli. Ciò però è nel quadro di una tradizione di continue e infruttuose sconfitte e di un rinnovato isolamento parzialmente ridimensionato dall’accordo con Ciotti, che però è ancora presente e significativo.

A mio avviso oggi la componente più ragionevole dei lepenisti dovrebbe guardare alla storia del centrodestra italiano. Una destra dura e pura che non sa guardare al centro, che non sa allargare la sua constituency non potrà mai vincere in una democrazia matura, anche annacquando le proprie posizioni.

Tale limite si può superare solo coinvolgendo nella propria area politica altre famiglie che non vengono dalla propria storia politica, come conservatori, gollisti e centristi, ma cio sarà possibile solo dopo una decisa ridefinizione interna, programmatica e culturale. Con Marine Le Pen tale opzione mi pare complicata soprattutto in vista delle presidenziali. Forse alle prossime presidenziali il RN dovrebbe aprirsi ad altri attori politici meno radicali e avviare una riflessione su un quesito essenziale: voler veramente vincere le elezioni o solo ottenere un risultato che confermerà RN come la prima e perpetua forza di opposizione della politica francese?

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