Se non è Putin, è Musk. Se non è la propaganda russa, sono le fake news libere di correre su X. E, ovviamente, l’immancabile estrema o “ultradestra”. Alibi buoni per ogni occasione a cui ricorrono governi, politici e media la cui narrazione entra in crisi assediata dalla realtà. Addirittura, come in questo caso, un singolo post di Elon Musk, in cui avrebbe istigato alla “guerra civile” nel Regno Unito. E pazienza se “guerra civile” sono le due parole che davanti alle scene viste in Inghilterra nell’ultima settimana sono venute in mente probabilmente a chiunque.
Contro la piattaforma social sta puntando il dito il nuovo premier britannico Keir Starmer, che un mondo dell’informazione ancora sano e non incistato da una partigianeria militante avrebbe seppellito sotto grasse risate.
Minaccia al free speech
Musk ha acquistato l’ex Twitter anche per questo. Non solo, ovviamente, ma anche perché ha capito che la libertà d’espressione è in pericolo nel nostro Occidente. Quella che i governi e i media tradizionali chiamano guerra alle fake news, alla disinformazione, è in realtà una grande guerra per il controllo della narrazione e, sì, anche della disinformazione, di cui vogliono mantenere il monopolio. Governi e media tradizionali non tollerano che le loro narrazioni vengano sfidate dai singoli utenti di una piattaforma che, da quando è proprietà di Elon Musk, sfugge alle richieste di “moderazione” dall’alto dei contenuti, mentre si rendono conto che il pubblico si fida sempre meno di loro.
“La minaccia di Elon Musk alla democrazia è intollerabile. Sta usando la piattaforma più grande e influente del mondo democratico per alimentare conflitti razziali e disordini civili, nei suoi post e in ciò che X promuove. Le democrazie non possono più ignorarlo”, è l’accusa lanciata da Edward Luce, editorialista del Financial Times, proprio su X. “Questa piattaforma fornisce un modo chiaro e immediato per confutare qualsiasi cosa falsa nelle risposte e con le Community Notes. Lo stesso non vale per i media tradizionali che mentono senza sosta, ma non c’è modo di contrastare la loro propaganda”, la risposta di Musk.
“Vi veniamo a prendere”
La minaccia al free speech nel Regno Unito e altrove è reale e imminente. In un’intervista a Sky News, il direttore della Pubblica accusa per l’Inghilterra e il Galles, Stephen Parkinson, ha avvertito che la condivisione online di materiale sulle rivolte potrebbe essere un reato: “Abbiamo agenti di polizia impiegati a scandagliare i social media alla ricerca di questo materiale, per poi procedere con gli arresti“.
Su X circolano ovviamente anche bufale e chiacchiere da bar, accuse non verificate e irresponsabili. Come su tutti gli altri social. E come su tutti gli altri media del giornalismo “ufficiale”. Ma molto spesso, offre anche una copertura degli eventi più rapida e più plurale, non di rado portando all’attenzione del pubblico dettagli sfuggiti o oscurati dai media tradizionali.
Il doppio standard nell’ordine pubblico
Per esempio, per restare ai disordini e alle violenze di questi giorni nel Regno Unito, su X abbiamo potuto vedere che non sono stati provocati solo da “estremisti di destra”. Abbiamo visto in azione anche gruppi Antifa e pro-Hamas e, soprattutto, bande di musulmani a volto coperto e armati di machete impegnati in una caccia all’uomo “bianco”.
A Birmingham, una folla di musulmani ha circondato e attaccato un pub e diversi automobilisti, minacciato con coltelli una troupe di Sky News, a cui hanno squarciato le gomme dell’auto. Ma in questi casi, la polizia non era mai presente, dando l’impressione di un doppio standard.
Un sovrintendente della polizia del West Midlands si è giustificato spiegando a Sky News che la loro risposta è stata commisurata alle informazioni avute dai “leader della comunità”. Erano così pronti per gestire le proteste di destra, che non si sono nemmeno fatti vedere quando una folla di centinaia di musulmani ha marciato per le strade intimidendo e minacciando.
Erano state previste per ieri, dalle autorità e dai media, un centinaio di proteste di “estrema destra” nelle città britanniche, ma non ce n’è stata traccia. In strada sono rimasti solo i gruppi Antifa e le bande di musulmani che erano pronti a fronteggiarle. Pacifiche manifestazioni antifasciste, tanto che un esponente Labour arringava così la folla plaudente: “Dobbiamo sgozzarli tutti ed eliminarli”.
Sono decine i filmati, non solo di questi giorni ma anche dei mesi scorsi, che mostrano l’assenza o l’inerzia degli agenti di polizia quando si tratta di bande minacciose che si autodefiniscono “Lega per la difesa musulmana” e proteste filo-palestinesi. Nessuna denuncia per discorso d’odio e istigazione per chi inneggia al genocidio di ebrei. Nel frattempo, gli incidenti antisemiti nel Regno Unito hanno raggiunto un nuovo record nei primi sei mesi dell’anno. Community Security Trust ha registrato tra gennaio e giugno 1.978 incidenti, il doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ma Starmer promette di voler difendere le moschee, covo di odio ed estremismo.
Un altro esempio? Oggi Starmer e i commentatori britannici condannano – giustamente – le violenze, i tentativi di incendiare gli alloggi di migranti, i saccheggi e gli attacchi alla polizia. Non possiamo però fare a meno di ricordare come nella primavera ed estate 2020 le rivolte e i saccheggi in nome del Black Lives Matter siano stati minimizzati quando non apertamente celebrati dai media mainstream e dai funzionari governativi negli Stati Uniti ma anche, sebbene in misura minore, nel Regno Unito.
Ricordiamo la vandalizzazione della statua di Winston Churchill a Westminster e del Cenotaph, il memoriale della Prima Guerra Mondiale a Whitehall, con la polizia che osservava immobile. Peggio, si inginocchiava davanti ai militanti marxisti il cui obiettivo è cancellare i simboli e la cultura della civiltà occidentale.
La retorica di Starmer
Il brutale assassinio di tre bambine per mano del figlio di due migranti ruandesi a Southport può essere stato la scintilla, ma dietro le violenze degli estremisti da una parte e dall’altra, ciò che ignorano o fingono di ignorare Starmer e la sinistra inglese, come quella nostrana, è che la pazienza dei cittadini britannici è finita da tempo, come ci dicono i sondaggi. Nelle ultime due settimane, secondo un sondaggio YouGov, l’immigrazione è salita al primo posto tra le preoccupazioni dei cittadini (51 per cento), superando l’economia (44 per cento), mentre il crimine è al terzo posto (con il 39 per cento).
Gli inglesi non riconoscono più le loro città e il doppio standard della polizia diventa sempre più evidente, dalle proteste Black Lives Matter ricordate sopra al diffondersi delle no-go zone, dove la polizia nemmeno entra, per non parlare dell’estremismo allevato e lasciato libero di crescere in moschee e centri culturali islamici.
Tentare di negare il problema o peggio liquidarlo come “estrema destra”, come ha fatto il premier Starmer (nominando tra l’altro una sigla, “Lega di difesa inglese”, ormai defunta) può solo peggiorare le cose. Lo ha detto molto chiaramente Nigel Farage a Starmer:
Ovviamente dobbiamo contrastare molto duramente la violenza da qualunque parte provenga, ma per favore primo ministro, non usate la narrazione che chiunque sia preoccupato per l’immigrazione incontrollata, per l’immigrazione illegale, per i cambiamenti nelle nostre comunità, sia parte ci ciò che chiamate estrema destra. Perché non lo sono.
Ma forse il commento definitivo su Starmer è quello di Ayaan Hirsi Ali:
La retorica di Sir Keir serve a incoraggiare i giovani musulmani scontenti, promuovendo la narrazione che i musulmani sono perseguitati nei Paesi occidentali. È questa narrazione che gli islamisti sfruttano per radicalizzare la popolazione e spingere i giovani alla violenza. La risposta serve anche a demoralizzare la popolazione britannica, che ha scoperto che la sua estrema preoccupazione per gli effetti dell’immigrazione di massa cade nel vuoto. Il copione è sempre il seguente: un immigrato o figlio di un immigrato scatena una furia omicida e il governo insegue una minaccia di “estrema destra”.
Una “verità fuori moda”
C’è una “verità fuori moda sulle rivolte”, ha notato Douglas Murray su The Spectator, ricordando le rivolte del 2011 a Londra e in diverse città per l’uccisione da parte della polizia di Mark Duggan, un giovane spacciatore di colore armato di pistola. Allora la narrazione della sinistra e dei media fu che l’aumento della criminalità era dovuto al peggioramento della situazione socio-economica. Oggi questa tesi sembra “passata di moda”, sostituita dalla narrazione dell’estrema destra.
Ma come osserva Murray, “se si guardano i dati relativi alle città in cui si sono verificati disordini la scorsa settimana, non ce n’è una in cui la situazione lavorativa sia migliorata in 13 anni. In ognuna di esse, l’occupazione è peggiorata in modo evidente rispetto al 2011. Al tempo delle rivolte del 2011, i lavoratori nati all’estero rappresentavano il 14 per cento della forza lavoro del Regno Unito. Oggi sono il 21 per cento. L’occupazione è cresciuta di 3,6 milioni dal 2011, ma il 74 per cento di questo è dovuto ai lavoratori immigrati”.
“Incapaci di migliorare effettivamente l’istruzione, gli incentivi e le opportunità di lavoro in queste aree, tutti e tre i principali partiti hanno scelto la strada più facile: rilasciare visti ai migranti per venire nel Regno Unito. (…) Uno studio dopo l’altro mostra che questo tipo di migrazione avvantaggia il migrante (naturalmente) ma non fa quasi nulla per migliorare l’economia reale, indebolisce la manodopera locale e, a causa dell’aumento della domanda di alloggi e del limitato patrimonio immobiliare, rende la loro situazione molto peggiore”.
Le comunità locali che avevano bisogno di lavoro sono state “aggirate”. “Left Behind” non rende giustizia a ciò che è accaduto, conclude Murray, perché dà l’idea che sia accaduto per distrazione. “Non è stato così, è stata una decisione”.