Esteri

Nagorno-Karabakh, il limbo armeno e la debolezza russa

Gli armeni si sentono traditi dallo storico alleato: impantanata in Ucraina e indebolita dalle sanzioni, Mosca non riesce più a esercitare deterrenza nell’area

Putin Pashinyan Vladimir Putin con il premier armeno Pashinyan all'ultimo vertice dello CSTO

Dopo mesi dalla ripresa dei venti di guerra in Nagorno Karabakh – a causa della storica diatriba tra Armenia ed Azerbaigian sul possesso del territorio – ieri è arrivato il prevedibile e atteso attacco degli azeri, determinati ad escludere ogni presenza e forma di influenza armena nella regione, ed attestare così il proprio totale dominio su di essa, approfittando della debolezza politica di Erevan.

Inutilità dell’Onu

Secondo il governo armeno, l’obiettivo ultimo dell’Azerbaigian sarebbe una “pulizia etnica”. Un macabro scopo avallato nei fatti dall’Onu, indifferente ai soprusi storici subiti dagli armeni nell’area, e alla volontà espressa dagli abitanti del luogo, la cui maggioranza ha dimostrato di sentirsi parte integrante della nazione e comunità armena, e mai realmente impegnato a favorire una soluzione negoziale tra i due Paesi, dimostrando così ulteriormente la propria inutilità ed ipocrisia quale ente che avrebbe il compito di promuovere la pace tra Stati nel panorama internazionale.

Debolezza armena

Supportati dalla Turchia – di cui nei fatti sono un satellite, ancor più che un alleato stretto – gli azeri hanno sfruttato il momento di debolezza di Erevan. Da una parte infatti l’Armenia si sta allontanando dallo storico alleato russo, accusato di non aver tutelato le istanze armene nella regione, ma dall’altra è ancora troppo distante dall’Occidente, restio a sostenerne attivamente le posizioni, nel timore di compromettere le proprie relazioni con Ankara, che deve ancora approvare ufficialmente l’adesione della Svezia all’Alleanza atlantica e ha le chiavi dei flussi migratori della rotta balcanica.

Debolezza russa

Tuttavia, esistono alcune ragioni per cui sarebbe auspicabile un sostegno occidentale a Erevan nelle sue rivendicazioni sul Nagorno Karabakh. In primis, la possibilità di sostituirsi alla Russia quale suo stabile alleato e garante della sicurezza, isolando ancora di più Mosca e iniziando un percorso di avvicinamento di Erevan alle istituzioni euro-atlantiche.

Impantanata nella guerra d’Ucraina ed indebolita dalle sanzioni occidentali, Mosca non riesce più ad esercitare deterrenza nell’area e ad impedire che i suoi partner vengano direttamente minacciati sul piano politico e militare. In teoria, l’appartenenza dell’Armenia all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (il CSTO, sostanzialmente l’equivalente della Nato a guida russa) avrebbe dovuto imporre al Cremlino di intervenire a difesa degli armeni.

Tuttavia, la debolezza strutturale della Federazione Russa non permette a Vladimir Putin la gestione contemporanea di due fronti di guerra, fattore che ha provocato frizioni con Erevan, che si sente tradita dal proprio alleato e ha annunciato l’uscita dal CSTO. Pertanto, cogliere il momento propizio per sottrarre a Mosca un partner e inserire la propria influenza nella regione risulterebbe per l’Occidente una scommessa vincente, anche per limitare l’influenza e le mire espansionistiche turche nella regione, e per incrementare la sicurezza europea.

Gli errori Ue

Unione europea ancora incapace di comprendere i rischi per la sua sicurezza derivanti dallo scoppio di conflitti convenzionali alle porte dei propri confini. Gli Stati europei hanno per anni creduto nell’utopia di un’impossibile “pace perpetua” e si sono adagiati sull’ombrello Usa. Tale errore di fondo è alla base dell’assenza di investimenti militari e della loro dipendenza energetica, che ora si ripercuote anche sull’instabilità del Nagorno Karabakh.

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