Nato verso Vilnius, non solo Ucraina: pilastro europeo e rebus Turchia

Da che parte sta Ankara? Il veto alla Svezia strumentale o c’è la volontà di ostacolare l’Alleanza? Dal 2015 un alleato sempre più difficile con cui convivere

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L’attenzione, all’imminente vertice Nato di Vilnius, sarà giustamente concentrata sia sulla sua “Difesa avanzata” sia sul sostegno continuato all’Ucraina che l’Alleanza potrà concordare al suo interno, a meno di un’adesione clamorosa e immediata di Kiev ad oggi non in vista.

Tuttavia, si prospettano almeno altre due problematiche che a Vilnius colpirebbero il cuore della Nato: il futuro del pilastro europeo e come “sopportare” le politiche della Turchia in seno all’Alleanza.

Il pilastro europeo

Lo sviluppo della guerra in Ucraina dimostra il temporaneo accantonamento dell’idea dell’Ue strategicamente autonoma dagli Stati Uniti e questo con buona pace delle aspirazioni soprattutto francesi. Senza gli aiuti americani, ritengono molti analisti, Kiev sarebbe già in mano russa.

Gli stessi analisti parlano di un pilastro Nato atlantista composto da Usa, Regno Unito, Canada e Norvegia e un pilastro Nato europeo con la Francia in testa e Germania e Italia più defilate. Questo pilastro europeo, però, sembrerebbe molto diviso e con interessi in varie direzioni. L’Italia, ad esempio, non cede e insisterà sulla centralità del Mediterraneo come area di massima attenzione.

Sostegno a Kiev

È in questo variegato contesto strategico-geopolitico che avrà luogo il citato vertice di Vilnius. Data la località scelta, l’attenzione dovrebbe essere rivolta all’Ucraina. Dopotutto, sia la Lituania che l’Ucraina confinano con la Russia e la Bielorussia. Si potrebbe sperare che una tale collocazione rafforzi l’unità di intenti e sforzi strategici a supporto di Kiev.

Adesione della Svezia

Per quanto riguarda l’allargamento ulteriore dell’Alleanza alla Svezia, deve essere chiaro alla Turchia che il suo blocco è legittimo secondo i termini del Trattato di Washington (secondo cui serve l’accordo unanime di tutti i 31 Stati membri per la piena adesione di un nuovo Paese), ma in pratica, se l’autarchia al governo ad Ankara darà continuità alla sua opposizione, ciò la porterà semplicemente a isolarsi ulteriormente.

Peggio ancora, se la Turchia blocca ancora l’adesione della Svezia, è probabile che bloccherà anche qualsiasi inizio di percorso verso un’eventuale adesione dell’Ucraina. Ciò solleverebbe un’altra domanda.

L’ambiguità turca

Quale valore apporta realmente la Turchia all’Alleanza? Ankara deve decidere da che parte stare nella lotta emergente tra autocrazie e democrazie – non può stare da entrambe le parti.

Nello specifico, a Vilnius diventerà evidente se il blocco della Turchia all’adesione di Stoccolma sia semplicemente un tentativo di contrattazione o qualcosa di molto più profondo e odioso: un tentativo di Ankara di ostacolare l’Alleanza nel bel mezzo del più pericoloso conflitto europeo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. E non ci si dovrà sorprendere se la seconda ipotesi si rivelerà quella esatta.

L’ultima richiesta di Ankara per sbloccare l’adesione della Svezia, è che Stoccolma impedisca le manifestazioni antiturche da parte della sua minoranza curda. Ma annullare la libertà di parola semplicemente non è ciò che fanno le vere democrazie.

Basta guardare una mappa per comprendere l’importanza di Ankara per la Nato e per la sicurezza e difesa europea, ma la stessa mappa, l’area geopolitica in cui si trova, rivela la complessità imposta dalla politica estera turca.

Un alleato sempre più difficile

Sfortunatamente, dopo l’allineamento/accomodamento post-settembre 2015 con la Russia di Putin e il, molto probabilmente, finto colpo di stato del 2016, la Turchia è diventata un alleato progressivamente sempre più difficile con cui convivere.

Diverse le questioni aperte tra Stati Uniti e Turchia. La consegna ad Ankara, nel luglio 2019, dell’avanzato sistema missilistico di difesa aerea russo S-400 ha portato rapidamente all’espulsione della Turchia dal programma di caccia avanzato F-35 da parte Usa. Peggio ancora, la decisione di Ankara di acquisire l’S-400, progettato specificamente per abbattere i caccia F-16 statunitensi, è arrivata anche con l’impegno a sviluppare congiuntamente con Mosca il nuovo sistema S-500.

I rapporti con l’Europa

I rapporti di Ankara con suoi partner e vicini europei sono un problema in parte diverso. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che nel giugno 2023 vi saranno circa 4 milioni di rifugiati in Turchia.

Ankara agisce forse come confine insuperabile dell’Europa, ma sente di avere poco in cambio, nonostante l’accordo del 2015 tra Erdogan e Merkel. Il ricatto turco all’Europa è dietro l’angolo. Il senso di frustrazione per la non vicinanza all’Europa che i turchi provano è stato ulteriormente aggravato dalla comprensione finale da parte turca che ad Ankara non sarebbe mai stata offerta la piena adesione all’Ue.

E così stando le cose ad Ankara è logico. Per trent’anni i principali attori europei hanno finto che alla Turchia sarebbe stata offerta l’adesione all’Ue e i turchi hanno fatto forse finta di crederci. Ora la rielezione del Sultano Erdogan parrebbe far sì che non ci siano cambi nella politica di “contenimento” ma crederci fino in fondo è un esercizio pericoloso.

La tratta turca

In Italia sappiamo bene che esiste la rotta che dalla Turchia e arriva fino in Calabria o in Puglia, costeggiando la Grecia. Rotta battuta da imbarcazioni di piccole e medie dimensioni, spesso a vela, per le quali i migranti pagano diverse migliaia di dollari alla criminalità organizzata turca, che agisce praticamente indisturbata dal governo di Ankara. Una tratta che va avanti da anni, nonostante la Turchia venga finanziata con miliardi di fondi europei per gestire i flussi migratori.

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