Esteri

Nella difesa di Khelif anche tesi antisemite. Non una novità di Parigi 2024

Il Comitato olimpico algerino accusa la “lobby sionista”. L’antisemitismo, travestito da antisionismo, continua a manifestarsi alle Olimpiadi

Khelif oro (Eurosport)

Gli episodi di antisemitismo mascherati da antisionismo continuano a manifestarsi nel mondo dello sport. La controversia sull’identità di genere di Imane Khelif ha dominato le discussioni olimpiche, ma pochi si aspettavano che Israele fosse coinvolto nella questione. Il direttore sportivo del Comitato Olimpico algerino Yacine Arab ha accusato una “lobby sionista di voler distruggere” la pugile dal mistero sotto la cintura.

Intervistato dal giornale Sydney Morning Herald alcuni giorni fa, Arab ha puntato il dito contro Israele e gli ebrei: “La lobby sionista vuole spezzare lo spirito di Khelif, ma lei è forte. Non vogliono vedere una donna araba o musulmana avere successo nella boxe”. Non è la prima volta che si sente puzza di antisemitismo nelle ireniche Olimpiadi.

Sono molti gli episodi che assumono una dimensione geopolitica e antisemita, riflettendo una tendenza all’uso di retoriche anti-israeliane per giustificare atteggiamenti discriminatori. Il massacro delle Olimpiadi di Monaco nel 1972 non è servito a nulla, gli episodi contro gli atleti israeliani proseguono. È antisemitismo. Odio profondo verso il popolo ebraico, odio ancestrale, duro a morire, perché “the longest hatred”, lo definiva il professor Robert Wistrich.

Lo spot iraniano

L’8 agosto, durante la trasmissione delle Olimpiadi, il canale televisivo statale iraniano Ofogh ha trasmesso uno spot in cui un atleta israeliano, coperto di sangue, macchia gli altri olimpionici che cercano di stringergli la mano.

I precedenti

Ad Atene nel 2004, il judoka iraniano Arash Miresmaeili, pur essendo uno dei favoriti, venne squalificato per aver superato il limite di peso della sua categoria. La sua decisione di non gareggiare contro l’israeliano Ehud Vaks fu giustificata come un atto di solidarietà con il popolo palestinese, suscitando polemiche a livello internazionale.

Nel 2008, alle Olimpiadi di Pechino, il nuotatore iraniano Mohammad Alirezaei si ritirò improvvisamente prima di affrontare l’israeliano Tom Be’eri. Sebbene le autorità iraniane citassero motivi di salute, era evidente che la scelta fosse dettata dalla volontà di evitare un confronto sportivo con un atleta israeliano. Questo atto venne applaudito dall’allora presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che, tra le altre dichiarazioni, parafrasando Khomeini affermò che “il regime occupante di Gerusalemme deve essere cancellato dalla pagina del tempo”, utilizzando il termine bayad, che indica un dovere, un obbligo.

Discriminazioni simili si verificarono anche a Londra 2012, con il ritiro del judoka iraniano Javad Mahjoub, e a Rio 2016, dove il judoka egiziano Islam El Shehaby rifiutò di stringere la mano all’israeliano Or Sasson dopo la sconfitta. A Rio, la squadra libanese impedì agli atleti israeliani di salire sullo stesso autobus per la cerimonia di apertura, evidenziando un rifiuto della coesistenza persino in un contesto di festa e celebrazione.

Nel 2020, alle Olimpiadi di Tokyo, il judoka algerino Fathi Nourine si ritirò per evitare di affrontare l’israeliano Tohar Butbul, ricevendo una squalifica di dieci anni dalla Federazione Internazionale di Judo. Lo stesso fece il sudanese Mohamed Abdalrasool, ritirandosi dalla competizione in solidarietà con la causa palestinese.

Come riconoscerlo

Eventi che mostrano come l’antisemitismo, travestito da antisionismo, continui a manifestarsi nelle Olimpiadi e debba essere affrontato con onestà e risolutezza.

La definizione operativa di antisemitismo dell’IHRA, adottata nel 2016, è uno strumento essenziale per riconoscere e combattere queste forme di odio. Perché non condividerla secondo questa definizione, l’antisemitismo include accuse infondate contro Israele come “collettività ebraica” e l’adozione di due pesi e due misure nel giudicare lo Stato di Israele rispetto ad altre nazioni.

L’IHRA sottolinea che le critiche legittime verso Israele, simili a quelle rivolte a qualsiasi altro Paese, non sono antisemite. Tuttavia, quando le critiche si trasformano in demonizzazione, delegittimazione o standard discriminatori, si entra nel campo dell’antisemitismo. E i giochi finiscono.

Iscrivi al canale whatsapp di nicolaporro.it
la grande bugia verde