“Se Israele non vince questa guerra si diffonderà il male. Per questo la nostra sarà la vittoria del bene sul male. Israele non sta combattendo solo la nostra guerra ma una guerra per tutta l’umanità”. Per provare a capire cosa sta succedendo nella Striscia di Gaza è proprio da queste parole che bisognerebbe cominciare a descrivere la situazione, specialmente per tutti quelli che hanno ancora le idee confuse, o sono stati convinti da una certa stampa che corre sempre in soccorso dell’ideologia politica e non dei fatti, che dovrebbero invece essere la base di qualsiasi notizia e di ogni convincimento.
L’Asse del male
A pronunciarle è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu pochi giorni fa in una conferenza stampa congiunta con il ministro della difesa Yoav Gallant e il leader di Unità nazionale, Benny Gantz: il fine “supremo” della nostra operazione è quello “dell’eliminazione completa del nemico” e di “garantire la nostra esistenza come Stato”. I nostri alleati nel mondo occidentale e i nostri partner nel mondo arabo sanno che se non vinciamo, saranno i prossimi ad essere coinvolti nella campagna di assassinio dell’Asse del male”.
Fa effetto sentir parlare di un “Asse del male”, perché non siamo in un film d’azione e nemmeno in una parodia, ma se esistesse davvero un asse del male? Se non fosse un modo partigiano colorito di dipingere una situazione che di per sé è indescrivibilmente drammatica?
Mettersi dalla parte moralmente giusta della storia è proprio ciò che gli antisemiti e tutti i musulmani uniti contestano da sempre a Israele, eppure, continua Netanyahu, Israele è riuscito a ottenere l’appoggio del mondo intero. Che è vero. Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Germania, Francia, Paesi Bassi, Grecia, Cipro e altre nazioni influenti infatti “hanno portato un messaggio chiaro: non solo vi sosteniamo, ma speriamo anche nella vostra vittoria”.
Il nodo Iran
E poi c’è il nodo iraniano: “L’Iran sostiene Hamas, il 90 per cento dei finanziamenti viene da Teheran. Senza l’Iran non c’è né Hamas, né Hezbollah. Non posso dire per questioni di sicurezza se il 7 ottobre c’è stato un coinvolgimento diretto dell’Iran, ma l’Iran ha costruito la sua macchina da guerra“.
Se l’Iran è così coinvolto – e lo è in effetti da decenni – perché non offre una fetta del proprio territorio per ospitare i suoi fratelli musulmani in un nuovo Stato palestinese, visto che con il palestinesi condivide idee e religione. O perché non lo fanno gli Emirati o i Sauditi, spazio ce n’è tanto. O perché i palestinesi non si ricomprano, come hanno fatto gli israeliani, a suon di soldoni, pezzi di deserti incolto.
Rileggere bene: gli ebrei la terra l’hanno comprata, com-pra-ta, quindi vuol dire che i palestinesi, i musulmani, la terra desertica, gliel’hanno ven-du-ta dall’inizio della cosiddetta “Grande rivolta araba” – il nome che si dà alle rivolte di quei tempi – che si fa risalire proprio al 19 aprile 1936, nel primo trentennio del Novecento, quando un numero sempre maggiore di ebrei compì lo aliyah – cioè in ebraico “l’ascesa”, o “ritorno” – in territorio palestinese, dove comprava terreni dai proprietari arabi, bonificava paludi e zone deserte per costruire kibbutz. Ben prima della risoluzione Onu del 1948.
Distinguere il bene dal male
Ma per procedere sulla supposta superiorità morale ebraica bisogna soffermarsi brevemente sui concetti di bene e di male, provando a distinguerli all’atto pratico: “Sul fronte dei civili ci stiamo impegnando molto per non coinvolgerli negli scontri frontali”, ha detto il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant. “È uno scontro mai vissuto prima. Il nostro massimo impegno è riportare a casa tutti gli ostaggi”.
Dovrebbe saltare all’occhio dell’uomo comune, dell’uomo della strada, quello che non ha contezza della storia o della politica, della diplomazia e forse nemmeno della religione, per il quale il buonsenso al massimo affonda in una bottiglia di vino al bar, che esiste, ed è, nuovamente, un fatto, una differenza morale formidabile, laddove Hamas invece proprio sui civili ha compiuto la sua ultima strage e che proprio i civili utilizza come scudi umani nascondendosi negli ospedali.
Non può che apparire chiaro, in estrema sintesi, anche al sentire della persona media, che mai come oggi bisogna distinguere il bene dal male nei fatti di cui si parla. Sarà forse il bene o il male quello che imprigiona e picchia a morte delle ragazze perché mettono male un pezzo di stoffa sulla testa? È male o no pretendere di avere ragione quando con un raid terroristico si massacrano bambini inermi nelle loro cullette e pretendere che non ci siano gravi conseguenze alle proprie azioni?
La “questione palestinese”
Non è forse ragionevole dichiarare come ha fatto Netanyahu che “ci troviamo davanti ad un’organizzazione crudele, spietata, che ha fatto vedere a tutto il mondo l’orrore che ha fatto il 7 ottobre”. Bisogna prendere atto, con discernimento morale, dell’assunto per il quale la Palestina ad oggi “è” Hamas, e non c’è più margine per una distinzione sul filo di lana caprina.
Questo dovrebbe capire chi manifesta per la Palestina e vive qui in Occidente, in Italia, al caldo e senza raid del terrore in casa sua, agitandosi e stracciandosi le vesti con quel costume tipico del lamento islamico, dovrebbe capire che sta sostenendo non una disputa territoriale ma un’organizzazione terroristica che propaga l’orrore, e affatto la libertà di un popolo, da quasi un secolo.
Ogni tanto bisogna ricordare che 1700 anni prima di Maometto e il suo ad oggi discutibilissimo indottrinamento e fondamentalismo, in quella che tutti conoscono come terra di Israele, c’erano 12 tribù e lo stesso nome che indicava la regione Giudea, già Regno di Israele, deriva all’ebraico Paleshteh, non dall’arabo, non dal latino, non dall’inglese. Se la questione palestinese nasce ufficialmente nel 1948, ragionando in termini manichei non si può che ammettere che il male si sia già anche troppo lungamente diffuso.
L’invito di Netanyahu quindi è a domandarsi seriamente, se come uomini si vuole decidere di avere degli attributi e decidere da che parte stare in questo conflitto, chi è, cosa è il male, anche per l’umanità.