Occhio, accodarsi a Biden sul cessate il fuoco a Gaza non è lungimirante

Meloni venerdì prossimo alla Casa Bianca. Posizione Usa dettata da esigenze di consenso interno. Uscire dalla comfort zone della “soluzione a due stati”

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Bisogna dare atto a Giorgia Meloni di aver saputo muoversi bene sulla scena europea e internazionale, accreditandosi come leader affidabile e responsabile. Sta masticando amaro chi non vedeva l’ora di alimentare la propria opposizione al governo con la narrazione di una Italia isolata e derisa. Non c’è il minimo appiglio per strumentalizzazioni di questo genere, la premier Meloni sta portando avanti la sua visione e le sue politiche, naturalmente per quanto possibile in un contesto ostile, al tempo stesso riuscendo ad acquisire una certa centralità.

Passo falso

La recente virata del governo sulla guerra tra Hamas e Israele rappresenta però un primo pericoloso passo falso, un campanello d’allarme. Già alcuni giorni fa avevamo sottolineato le parole del ministro degli esteri Antonio Tajani, caduto nella retorica onusiana e filo-palestinese della “reazione sproporzionata” di Israele.

Giovedì sera, intervenendo a Porta a Porta, Meloni ha certificato il cambio di linea: dal sostegno a Israele alla richiesta di cessate il fuoco a Gaza, che equivale a sostenere Hamas, garantendo la sopravvivenza di ciò che resta dell’organizzazione terroristica che si è macchiata dell’attacco genocidiario del 7 ottobre.

Questa escalation non aiuta nessuno, non aiuta neanche Israele. Penso che oggi serva un cessate il fuoco umanitario, iniziative di de-escalation sono necessarie. Penso che la soluzione strutturale del problema palestinese serva anche a Israele.

Sembra di sentire Elly Schlein. Perché questa strambata? Il governo italiano sta purtroppo aderendo al clima di pressione su Israele che viene sempre più alimentato da Washington. Ma in questo caso accodarsi a Biden non è una buona idea. Può pagare oggi, nell’imminenza della visita di Meloni alla Casa Bianca il prossimo 1° marzo, e in generale come “copertura” sotto l’ala del nostro principale alleato, ma è un pessimo investimento politico per il futuro.

Motivi inconfessabili

Primo, bisognerebbe capire che la posizione dell’amministrazione Biden ha le gambe cortissime, è motivata principalmente da una esigenza di politica interna. Nel patetico tentativo di recuperare i consensi della base radicale, anti-israeliana e persino pro-Hamas del suo partito, Biden sta sciaguratamente premendo su Israele perché si fermi, nonostante non sia ancora raggiunto l’obiettivo della distruzione di Hamas, aumentando l’intensità e la frequenza delle sue critiche e dei suoi appelli al governo Netanyahu.

Mentre Israele sta combattendo per la sua stessa esistenza, per debellare un’organizzazione terroristica genocidaria, l’amministrazione Biden è mossa unicamente dalla preoccupazione di aumentare le chance di rielezione del presidente. L’Italia e il governo italiano non hanno nulla a che spartire con questi motivi inconfessabili, ignobili, dai quali dovremmo tenerci a debita distanza.

La comfort zone

Secondo, se bisogna dare una speranza alla pace, questa passa per la distruzione di Hamas senza se e senza ma. Permettergli di far leva sugli ostaggi o sulla causa palestinese per salvarsi, non avvicina ma allontana una “soluzione strutturale”. Bisogna uscire dalla comfort zone della cosiddetta “soluzione a due stati”. Inutile, controproducente ripeterla come un disco rotto, oggi che appare impraticabile per evidenti motivi.

Timidezza strategica

Terzo, come spiega Stefano Magni nell’articolo di oggi, queste posizioni sono figlie della timidezza strategica Usa-Ue, dell’incapacità di americani ed europei di concepire una vittoria militare, per sé e per gli altri. Incapacità che riflettono anche su Israele.

Lo dimostrano l’errata previsione di perdite catastrofiche a Gaza, che non si sono verificate, i suggerimenti a “non esagerare” e ora addirittura a fermare del tutto l’offensiva, prima di conseguire l’obiettivo della distruzione di Hamas, a parole condiviso. Il tutto in forza di “lezioni da noi apprese” e di “errori da non ripetere”, con cui il presidente Biden allude alle esperienze in Iraq e in Afghanistan.

Lezioni, appunto, da non ripetere e che Israele, cercando una vittoria piena a Gaza, non ha alcuna intenzione di ripetere.

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