Hamas chiama alla resistenza. In pratica, il terrore ovunque nel mondo. Mentre un auto-proclamato criminale dell’ISIS semina il terrore a Bruxelles imbracciando un kalashnikov. Altro che le pietre e la kefiah dell’Intifada. Il tutto mentre deve ancora partire l’azione di terra dell’esercito israeliano dentro la Striscia di Gaza per debellare le postazioni di Hamas. Ammesso e non concesso che questo sia un obiettivo raggiungibile. E su questo l’attenzione è legittima.
Ma già sappiamo che tutti gli occhi del mondo saranno puntati su Tel Aviv. Un mezzo passo falso e sarà un processo senza fine ad Israele. Ci sono in ballo civili inermi usati come scudi umani da Hamas. La politica sta zitta. Che lo faccia il governo è doveroso. Da questo ci si attendono fatti, non opinioni. Stupisce che piuttosto siano i partiti a fare il cosiddetto “pesce nel barile”. Stupisce, ma non troppo, a dire il vero. Ci pensano i mezzi di informazione ed i social ad alimentare il dibattito.
Chi vi scrive collabora con un giornale, La Verità, accusato di avere tradito non si sa bene chi e neppure bene cosa. Questo per aver fin dall’inizio sostenuto che Israele ha il naturale diritto di difendersi. E qui si arriva dritti al punto. Perché sostenere che Israele abbia questo diritto è una posizione tossica e quasi radioattiva? Tale da scatenare quasi l’indignazione generale? È una cosa che la politica, a quanto pare, sa bene. Per questo se ne sta alla larga.
L’antisemitismo
Ho attentamente riflettuto sulle tante critiche che mi sono piovute in questa settimana sui social. Facendo parte dello schieramento dei cosiddetti traditori. Ripeto: non si sa di chi né di cosa. Le motivazioni che stanno dietro alle contestazioni sono sostanzialmente riconducibili a tre scuole di pensiero, spesso sovrapposte fra loro.
La prima – minoritaria – è quella dell’antisemitismo vero e proprio riassumibile con un brutale: “ti sei venduto ai Rothschild ed i nasoni ti hanno fatto il bonifico”. Una corrente, grazie a Dio, minoritaria anche se non troppo. Far finta che non esista sarebbe ipocrita e controproducente. Non enfatizziamone la dimensione; non neghiamone l’esistenza. L’antisemitismo scorre potente in una parte minoritaria dell’opinione pubblica mondiale.
Le tre guerre
Vi è poi una seconda corrente di pensiero che punta il dito contro la sostanziale illegittimità dello Stato di Israele. Qui i ragionamenti sono invero più articolati e meritevoli di attenzione. Andrebbe detto che Israele sta lì perché ha vinto tre guerre che la comunità araba gli ha praticamente sempre mosso contro. Soprattutto la prima e la terza. La conseguenza di questi tre conflitti è stata che Israele occupa oggi territori che non gli erano stati riconosciuti al momento della dichiarazione della sua indipendenza nel 1948.
Ma questo è appunto l’esito di guerre subite e non volute da Israele. Perché mai Israele dovrebbe restituire quei territori a chi l’ha attaccata per decenni? E se sì, in cambio di cosa? In tal senso non è logico accusare Israele di illegittimità per il mancato rispetto della risoluzione 242 dell’Onu, che imponeva appunto la restituzione dei territori occupati.
Chi perde una guerra deve pagare necessariamente pegno. Se passasse il principio opposto, l’incentivo ad aggredire il vicino sarebbe la normalità. Tanto la comunità internazionale sarebbe sempre pronta a certificare che tutto debba tornare come prima. Chi perde non pagherebbe mai. Più guerra per tutti.
La storia è un susseguirsi di conflitti, non risoluzioni. Come si vede, Israele è molto meno potente di quanto si creda. La sua posizione è solitaria. Ed il non detto di queste critiche, comunque articolate e non becere, rimanda però in finale alla stessa implicita conclusione: “diciamoci la verità: Israele se l’è un po’ cercata. È essa stessa elemento di instabilità in quell’area. Cosa pretende?”.
Tutto questo senza trascurare il fatto che il principio “due popoli due stati” è stato fin dall’inizio accettato da Israele ma non dalla comunità araba circostante. Quest’ultima sempre pronta a soffiare a pieni polmoni sulle vele della nave palestinese coi marinai illusi da così grande e soverchiante potenza, almeno sulla carta.
Ma una volta perse quelle guerre, gli alleati arabi hanno obtorto collo accettato la presenza di Israele. Gli unici con un pugno di mosche in mano sono rimasti i poveri palestinesi. Che da par loro, giova ricordarlo, non devono che maledire sé stessi visto che hanno deliberatamente scelto di non chiudere al momento giusto un vantaggiosissimo accordo che gli avrebbe di fatto riassegnato la quasi totalità dei territori contesi.
I complottisti
Rimane infine da parlare della terza scuola del pensiero anti-israeliano. Forse la corrente più numerosa e le cui osservazioni sono senz’altro meritevoli di attenzione e di approfondimento. Come è possibile che la nazione più militarizzata al mondo e con sistemi di difesa e di intelligence insuperabili si sia fatta trovare così impreparata? Non è che questo sia il frutto del dolo più che della colpa? Il tutto magari per avere definitivamente mano libera sulla Striscia di Gaza?
L’interrogativo non è affatto peregrino visto che Benjamin Netanyahu in questo momento si ritrova tutto il Paese dalla sua parte dopo quasi un anno di proteste e manifestazioni che avevano invece profondamente lacerato la comunità. Ma è proprio in questa scelta del popolo israeliano che sta forse la giusta risposta. Arriverà il giorno del giudizio per Netanyahu. Speriamo prima possibile. Ma quel giorno non è oggi. E quando arriverà toccherà agli elettori israeliani – e non a noi – esprimersi.
Noi non possiamo che prendere atto che Israele seguirà un suo piano perché ha diritto di difendersi. Ed il dovere di non uccidere persone innocenti, sia chiaro. La comunità internazionale a sua volta deve assicurarsi che il conflitto non divampi più di quanto non stia già facendo in giro per il mondo.
Élite e popolo
Frattanto, una conclusione mi pare evidente ed a tratti stupefacente. La “gente che piace” – non solo in Italia ma in tutto nel mondo, basti vedere ciò che accade nelle prestigiose università americane – non sta dalla parte dei potentissimi israeliani. Che evidentemente tali non sono.
E neppure l’opinione pubblica sta dalla parte di Israele. Questa, invece, sorprendentemente sta dalla parte del conformismo e del politicamente corretto. Una saldatura invero stupefacente, questa fra popolo ed élites. E su tutto un’immagine iconica che vale un editoriale. Il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, profondamente legato alla causa di Israele, che stringe la mano a Patrick Zaki sul palco alla presentazione del suo libro. Il tema è: bisogna “comprendere le ragioni del terrorismo”.
Mai come oggi, politicamente corretto e opinione pubblica, almeno sui social, stanno dalla stessa parte. E quella parte non è Israele.