Che sta succedendo nei cieli americani? Dopo la scoperta e l’abbattimento di un pallone-spia cinese che aveva sorvolato, tra l’altro, una base di missili nucleari nel Montana, l’opinione pubblica Usa si sta chiedendo se la Cina comunista stia compiendo un esperimento a largo raggio per sondare capacità ed efficienza dei sistemi di difesa statunitensi.
Non si tratta di un’ipotesi fantasiosa. Soprattutto per chi non si fida dei comunisti cinesi, del resto abituati a mentire quando sono in gioco i loro interessi, favoriti anche dalla mancanza di qualsiasi opposizione politica e di un’opinione pubblica in grado di controllare il potere.
È un dato di fatto, comunque, che il pallone aerostatico abbattuto è solo la punta di un iceberg. Recentemente si è appreso che altri oggetti volanti non identificati (i famosi Ufo) sono stati scoperti nei cieli Usa, dell’America Latina e del Giappone, senza che sia stata fornita alcuna spiegazione plausibile della loro presenza.
Al contrario, il governo di Pechino si è addirittura offeso per l’abbattimento del pallone al largo della costa atlantica. Stava compiendo – questa la spiegazione ufficiale – rilevazioni meteorologiche, ed era quindi in “missione scientifica”. Peccato che allo Stato sorvolato non fosse stato chiesto alcun permesso preventivo.
L’ipotesi del “sondaggio strategico”
Del resto, l’ipotesi dianzi menzionata di un “sondaggio strategico” cinese è suffragata da alcune frasi apparse sul Global Times, il quotidiano in lingua inglese del Partito comunista cinese: “Il pallone, anche se civile, è un bersaglio grosso come tre autobus. Se è potuto entrare senza difficoltà nel cielo americano prova che la difesa aerea degli Stati Uniti è un sistema puramente decorativo e non affidabile”.
Commento beffardo e molto significativo. Nonostante le smentite di Pechino, lascia intendere che la Repubblica Popolare vuole davvero sondare l’efficienza della difesa antiaerea Usa. Hanno giù i satelliti e una rete di spionaggio che spesso si basa su studenti e ricercatori cinesi che vivono negli Stati Uniti. Ma, per motivi non ancora chiari, i palloni sono ritenuti utili vista la loro manovrabilità e la quantità di strumentazione che possono trasportare.
In questa sede, però, più che i dettagli tecnici, interessa il significato politico e strategico dell’operazione cinese. Si noti innanzitutto che il NORAD (North American Air Defense Command), la struttura di sorveglianza aerea gestita congiuntamente da Usa e Canada), ha onestamente ammesso di aver identificato il pallone assai tardi, quando era già penetrato da un pezzo nello spazio aereo nordamericano.
E questo, forse, è uno dei motivi che inducono la Repubblica Popolare a utilizzare i palloni. Hanno un aspetto innocuo e nessuno, di questi tempi, li prende troppo sul serio. Fanno venire in mente le vecchie mongolfiere, mentre gli odierni sistemi di difesa anti-aerea sono abituati a identificare missili e jet superveloci. Fosse così, saremmo in presenza di un esempio della vecchia saggezza orientale: “non allarmare il nemico, ma tranquillizzalo usando strumenti poco sofisticati”.
La sfida cinese
Comunque c’è poco da scherzare. Lo storico e politologo americano Robert Kagan ha notato che, come la Germania nazista e il Giappone imperiale, la Repubblica Popolare è una potenza emergente determinata a dominare in modo completo l’area strategica che giudica di sua competenza. Ed è altresì convinta che la forza militare americana sia in fase di declino. Proprio per questo sta cercando di appurare fino a qual punto tale declino sia giunto (e anche i palloni aerostatici, quindi, possono servire).
Altrettanto importante, probabilmente, è la consapevolezza cinese che quella Usa è una società molto divisa e, pertanto, assai fragile. I fenomeni del politically correct e della cancel culture l’hanno profondamente minata dall’interno, al punto che è ormai arduo parlare di una visione del mondo “condivisa” negli Stati Uniti.
Naturalmente con il Partito unico e il controllo ossessivo esercitato sui cittadini, a Pechino non devono preoccuparsi di simili fenomeni. Per loro è sufficiente stringere le maglie della censura e distruggere i gruppi che osano opporsi (com’è accaduto a Hong Kong).
La Cina comunista, insomma, starebbe facendo i passi necessari per appurare quando potrà sfidare direttamente gli Stati Uniti e realizzare il sogno di Xi Jinping, prendere finalmente il controllo di Taiwan e procedere nella conquista definitiva del Mar Cinese Meridionale (progetto, questo, che risale addirittura ai tempi del Celeste Impero).
Industria militare in declino
In un saggio pubblicato su Bloomberg, lo storico Niall Ferguson sottolinea che la potenza bellica americana non è più quella di un tempo. Può ancora contare su una certa superiorità tecnologica, ma rischia di soccombere qualora gli Usa dovessero affrontare nello stesso tempo Repubblica Popolare Cinese e Federazione Russa. Il problema non è tanto dato dal fatto che, forse, gli americani si rifiuterebbero di “morire per Taipei”.
In realtà è la stessa industria della difesa Usa ad essersi indebolita negli ultimi decenni. Se il conflitto ucraino dovesse protrarsi a lungo, gli Usa non sarebbero in grado di garantire a Kiev la quantità di armi e munizioni necessarie perché la sua industria militare è, per l’appunto, in declino.
E, avverte Ferguson, “se scoppia un conflitto importante con la Cina, la base industriale della difesa Usa, un tempo decantata, si scoprirà come un vecchio comatoso, non un gigante addormentato”.
Il conto della globalizzazione cinese
Come molti altri Paesi occidentali, gli Stati Uniti hanno smantellato buona parte del loro settore manifatturiero puntando solo sui servizi. Per abbassare il costo del lavoro, hanno aderito in pieno a una globalizzazione che, invece di essere americana, era cinese.
E hanno trasferito all’estero anche gran parte della loro produzione ad alta tecnologia. I fruitori degli iphone sono giustamente preoccupati poiché vengono prodotti in Cina e l’ultima versione, l’iphone 14, è difficilmente reperibile.
Usa e Occidente stanno insomma pagando il prezzo della globalizzazione cinese. Si spera che le nazioni occidentali (e l’Italia in primis) accolgano ora con maggiore attenzione le proposte cinesi legate alla “Via della Seta”. Ma potrebbe anche essere troppo tardi. In una battaglia finale tra democrazie liberali e autocrazie, non è detto che saranno le seconde a soccombere.