La prima cosa che balza agli occhi studiando la composizione della nuova Commissione europea annunciata ieri mattina dalla presidente Ursula Von der Leyen è che i molti che in questi due mesi hanno scommesso sull’isolamento dell’Italia sono stati smentiti e oggi dovrebbero abbassare la cresta, ammettendo che la premier italiana ha centrato un buon risultato nonostante una mano sfavorevole.
Una quantità considerevole di editoriali e post di illustri commentatori che pontificavano sul “passo falso”, sul “disastro” di Giorgia Meloni per il voto di Fratelli d’Italia contro Ursula al Parlamento europeo, sono invecchiati non benissimo – anzi proprio male. Stamattina su Libero trovate una esaustiva rassegna. La posizione dell’Italia era a tal punto compromessa, ci spiegava qualcuno, che sarebbe stato meglio prendere confidenza con l’idea del ministro Lollobrigida commissario alla pesca.
E invece, come anticipato da ormai diversi giorni, l’Italia ottiene una vicepresidenza esecutiva e il governo Meloni manda a Bruxelles uno dei suoi ministri di punta, Raffaele Fitto, con le deleghe alla coesione e alle riforme, ovvero la spesa miliardaria annuale per le regioni europee.
Il metodo Ursula
Von der Leyen ha voluto accontentare sia Emmanuel Macron, con vicepresidenza esecutiva e super-portafoglio economico (“per la prosperità e la strategia industriale”) al suo pupillo Stéphane Séjourné, che Giorgia Meloni, non umiliare i Socialisti e liberarsi di figure divenute ormai ingombranti, facendo il vuoto intorno a sé e dietro di sé. Sembra proprio che ci sia riuscita. Nessuna conventio ad excludendum nei confronti dei Conservatori, che ottengono una vicepresidenza con il già citato Fitto.
Tra i nuovi commissari per lo più politici nazionali sconosciuti o semi-sconosciuti, nessuno in grado di farle ombra. Denominazioni sempre più fantasiose, che sembrano studiate apposta per ingenerare confusione e lasciare l’ultima parola alla Baronessa.
Molte sovrapposizioni e ridondanze, deleghe che si accavallano, portafogli ibridi, in cui convivono temi diversi, ma anche spacchettamenti. Per esempio, di clima, energia e ambiente si occuperanno tre diversi commissari e una vicepresidente. La spagnola Teresa Ribera (socialista) avrà la delega “per una transizione pulita, giusta e competitiva”, ma il commissario “per il clima, zero emissioni e crescita pulita” (il portafoglio che fu di Timmermans) sarà l’olandese Wopke Hoekstra (cristiano-democratico). L’immagine perfetta del cerchiobottismo e della complicazione burocratica che è l’Ue.
I portafogli di peso
Come ha notato anche il Financial Times, i portafogli di maggior peso, legati alla crescita economica (industria, fondi europei e competitività) sono andati come previsto ai tre Paesi maggiori – Francia, Italia e Spagna (escludendo la Germania rappresentata dalla presidente stessa). Paesi che il FT definisce “interventisti”, non a caso infatti quelli che “hanno chiesto più spesa comune, regole più flessibili sul deficit di bilancio e un ruolo maggiore per la politica industriale”.
Dunque, “i commissari nominati da Parigi, Madrid e Roma (Séjourné, Ribera e Fitto, ndr) supervisioneranno le aree critiche della regolamentazione antitrust, della politica sugli aiuti di Stato, della spesa Ue e della strategia industriale per il mercato unico”.
Un super-governo
No, decisamente l’Italia non ne esce ridimensionata come qualcuno temeva o, forse, sperava. Se nella narrazione mediatica, anche a causa di strappi come quelli di Macron e Scholz, la Commissione viene presentata ormai come super-governo europeo politico, le regole dei Trattati prevedono altro e sono dure a morire.
Non solo non c’è da sorprendersi, ma è fisiologico vedere un conservatore come Fitto tra i vicepresidenti esecutivi nonostante il suo gruppo politico al Parlamento europeo abbia votato contro l’Ursula-bis. Semmai, sarebbe una forzatura una Commissione a immagine e somiglianza di una maggioranza politica.