Che farà adesso Boris Johnson? Should he stay or he should he go? Dopo la sconfitta dei Tories nelle due elezioni suppletive a Tiverton and Honiton nel Devon, a vantaggio dei LibDems, e a Wakefield, nel West Yorkshire, a vantaggio del Labour, si è ripreso a parlare del futuro del primo ministro, che sembra più in bilico che mai.
In mattinata, le dimissioni del presidente del Partito Conservatore, Oliver Dowden – uno di quelli che aveva votato per Johnson sulla mozione di sfiducia del 6 giugno – hanno aggravato la situazione. Il premier, a Kigali per il summit del Commonwealth, ha affermato che vuole andare avanti ma che dovrà ascoltare i messaggi dell’elettorato.
Per Johnson la strada sembra molto stretta e, forse, la ragione principale per cui i Tories non lo hanno ancora sostituito è perché manca al loro interno una figura che possa essere popolare nel Paese come lo era lui nel 2019. Qualcuno che la gente chiami “Boris”, con il suo nome di battesimo.
Le divisioni nel partito
I Conservatori sono in fermento da tempo: il partygate è stata la foglia di fico per fare emergere profonde divergenze nella politica economica del partito tra post-thatcheriani e governisti più inclini a sostenere l’espansione della spesa pubblica, e tra Tories neo-eletti nel post-industriale Red Wall nel 2019 e i tradizionali deputati di lungo corso, rappresentanti di Londra e del prospero sud e sud-est del Paese.
Proprio questi ultimi sono quelli maggiormente sul piede di guerra. Le amministrative del 6 maggio sono state un bagno di sangue per i councillors e tutti quegli MPs che sperano di rivedersi confermati alla prossima tornata elettorale. La sconfitta a Tiverton, dove i Tories difendevano un seggio con oltre 23 mila voti di vantaggio e si ritrovano a rincorrere per circa 5 mila voti, ha fatto nuovamente suonare il campanello d’allarme.
Il pressing dei LibDems
I LibDems di Sir Ed Davey hanno abbandonato le velleità europeiste dell’ultima campagna elettorale e stanno praticando una politica aggressiva nel giardino di casa dei Tories, il Blue Wall tradizionalmente conservatore: la vittoria nel Devon fa seguito a quella clamorosa nella suppletiva di Amersham and Chesham nel Buckinghamshire di circa un anno fa.
Davey ha affermato che i LibDems stanno “riscrivendo la storia della politica inglese nei feudi Tory”. Affermazione senz’altro esagerata, ma neppure del tutto priva di fondamento.
L’Uomo di Tiverton
Chi è dunque l’“Uomo di Tiverton” che turba i sogni dei Tories di rivedersi confermati alla guida del Paese? La scorsa settimana Sebastian Payne del Financial Times ha effettuato un lungo viaggio in quelle zone dell’Essex, del Sussex e del Devon dove gli elettori sono principalmente agiati, pensano all’ambiente e alle loro professioni e faticano a cogliere il nuovo corso di un Partito Conservatore che fatica a tenere insieme la coalizione di votanti del nord-est e delle Midlands con quelli di Londra e dell’Inghilterra dei grandi centri urbani e dei villages al di fuori di essi.
Il Times ha definito Richmond, sobborgo alto-borghese e affluent nel sud-ovest di Londra la vera capitale dell’Inghilterra liberal, il cui funerale fu celebrato solo 3 anni fa. Il disgusto per i seguiti del partygate, l’insoddisfazione per politiche governative piegate sugli interessi del Red Wall e l’abbandono dei core values anti-tasse del governo, hanno alienato i consensi per Johnson in queste zone.
I seggi dello stesso PM, del suo vice Dominic Raab, e dell’ex leader del partito, Iain Duncan Smith sono a rischio secondo Payne e altri analisti della stampa britannica.
Ricompattare l’elettorato: gli scioperi
A questo punto Johnson sta giocando la carta del ricompattamento dell’elettorato Tory. Gli inglesi sembrano abbiano poco gradito gli scioperi dei trasporti di questa settimana, e nell’elettorato Tory oltre il 70 per cento è contrario alla loro indizione da parte del sindacato RMT.
Certo, se come appare, gli scioperi proseguiranno e andranno ad aggiungersi anche quelli degli aeroportuali e sarà il caos, la sensazione è che i cittadini se la prenderanno anche con il governo.
L’accordo con il Ruanda
Allo stesso modo la scelta di portare i richiedenti asilo in Ruanda sembra avere il sostegno di gran parte degli elettori del partito e la decisione della Corte europea dei diritti umani di bloccare i voli per Kigali, alla fine fa il gioco dei Conservatori: se i migranti arrivano in Ruanda si tratta di una promessa mantenuta. Se, invece, restano bloccati per interventi esterni c’è un buon appiglio per atteggiarsi a vittime. E questo anche Johnson lo sa.
Il protocollo nordirlandese
A livello legislativo molto si giocherà in questo periodo che porterà alla pausa estiva. Il nuovo disegno di legge sull’Irlanda del Nord, volto a modificare il Protocollo Nordirlandese unilateralmente, è destinato a incontrare l’ostruzione della Camera dei Lord, così come lo UK Human Rights Bill presentato da Raab – e che ha lo scopo di porre fine alla giurisdizione della Corte Europea dei Diritti Umani in UK – e il Brexit Freedoms Bill destinato a dare attuazione alle liberalizzazioni post-Brexit.
Per entrare in vigore e trasformarsi in Acts, i disegni di legge devono essere approvati entro 18 mesi dalla seconda lettura ai Comuni. Giusto in tempo per le elezioni, a quanto pare. Ora starà a vedere se si terranno con o senza Johnson alla guida dei Tories.