La notizia non passa inosservata e, come la rossiniana “calunnia”, partendo da un sussurro, da un “venticello” si potrebbe manifestare come “un rombo di cannone”. Sembra che la Cina possa prendere in considerazione l’idea di unirsi alla “coalizione dei volenterosi”, che sta discutendo l’invio di forze di peacekeeping in Ucraina per aiutare a mediare un possibile accordo di pace tra Kyiv e Mosca, garantendo, in qualche modo, la parte più fragile, da possibili colpi di mano russi.
Come riportato dal quotidiano tedesco Die Welt, anche se ieri da Pechino si sono affrettati a smentire, i diplomatici cinesi a Bruxelles avrebbero interrogato i funzionari dell’Unione europea riguardo la possibilità che le truppe cinesi si uniscano ad una forza di peacekeeping in Ucraina.
Diversi commentatori, con non poco ottimismo, hanno salutato la partecipazione della Cina a una tale coalizione come strumento per convincere la Russia ad accettare di schierare forze di interposizione in Ucraina, visto che in precedenza Mosca aveva categoricamente respinto la proposta di schierare truppe straniere in Ucraina, anche in caso di cessate il fuoco.
Washington potrebbe sostenere la partecipazione delle truppe cinesi a una missione di peacekeeping in Ucraina? Come riportato da The Economist a febbraio, i funzionari statunitensi ritengono che il contingente di peacekeeping, bisogna vedere con quali regole di ingaggio, in Ucraina dovrebbe includere non solo Paesi europei, ma anche truppe cinesi e brasiliane.
I “volenterosi”
Gran Bretagna e Francia sono tra i Paesi che guidano la “coalizione dei volenterosi” e si aspettano che circa 30 Paesi partecipino a questa iniziativa. In definitiva, non è ancora chiaro quanti Paesi aderiranno a questa coalizione e quali compiti svolgeranno. Il governo britannico ha autorizzato l’invio dei suoi aerei da combattimento per proteggere lo spazio aereo ucraino.
Secondo The Telegraph, il presidente francese Emmanuel Macron sta in realtà studiando la possibilità di inviare in Ucraina una forza di mantenimento della pace sotto l’egida delle Nazioni Unite e avrebbe discusso la questione con il segretario generale Antonio Guterres al vertice del Consiglio d’Europa del 20 marzo. Tuttavia, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve approvare lo spiegamento di una forza di mantenimento della pace, se sotto egida Onu, ma nulla potrebbe contro dei “volenterosi” autonomi.
Nelle ultime settimane, funzionari britannici e francesi hanno tenuto diversi incontri sulla questione dell’invio di forze di mantenimento della pace in Ucraina. Il presidente francese Macron ha detto che il prossimo summit della “coalizione dei volenterosi” si terrà a Parigi il 27 marzo. Si prevede che vi partecipi anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
La partecipazione cinese
La questione dell’adesione della Cina alla forza di mantenimento della pace in Ucraina è oggetto di seria discussione. Ciò potrebbe influenzare i colloqui di pace. Gran Bretagna e Francia sostengono questa iniziativa, forse anche gli Stati Uniti, che stanno giocando su differenti tavoli con Mosca. Allo stato attuale, nonostante la sbandata filo russa della nuova amministrazione americana, non è escluso – vista l’imprevedibilità degli attori – che Russia e Stati Uniti possano avere posizioni diverse su questo tema alla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Si prevede che importanti decisioni su questo tema saranno prese al summit di Parigi del 27 marzo.
Quasi tutte le agenzie del mondo si sono espresse con queste parole e ogni opzione sul tavolo resta aperta. In questo momento di limbo diplomatico, la domanda più urgente che si affaccia alla mente degli osservatori è: perché Pechino sarebbe interessata a partecipare alla “coalizione dei volenterosi” a guida franco-britannica?
Nella sua storia la Cina ben raramente e solo in condizione di bassa intensità ha impiegato forze militare in teatri remoti del mondo. L’impero di mezzo bastava a se stesso. Nel XX secolo non si ricordano interventi militari di rilievo se non la partecipazione alla Guerra di Corea e alla Terza Guerra d’Indocina del 1979 (ricordata in Vietnam come “guerra contro l’espansionismo cinese” ed a Pechino come “contrattacco difensivo contro il Vietnam”).
Appetito di materie prime
Il vorace appetito cinese di “materie prime” si è tradotto in una espansione dell’influenza di Pechino in Africa, senza che questa si sia tradotta in una strategia militare di alto profilo, se si esclude la presenza di una base dell’Esercito Popolare di Liberazione a Gibuti. Se è ben vero che la Cina ha inviato quasi 50 mila unità in venti Paesi e regioni del mondo sotto l’egida delle Nazioni Unite, va detto che questo sforzo era indirizzato a missioni di pace di bassa intensità, all’antipirateria marittima, ai soccorsi internazionali e agli aiuti umanitari: bagatelle per una potenza dell’importanza della Repubblica Popolare.
Proprio per questo appare come un apax assoluto l’affermata (ben lungi dall’essere confermata) volontà di Pechino di entrare nel teatro ucraino.
Ambiguità sulla guerra ucraina
Fino ad oggi la Cina ha tenuto un atteggiamento quanto meno ambiguo nei confronti di questo conflitto. Da un lato, insieme all’India (partner economico e competitor strategico), ha aiutato Mosca ad uscire dall’isolamento delle sanzioni euro-americane, acquistando materie prime a prezzo di realizzo; dall’altro, per quanto sia noto, non ha fornito il minimo supporto militare. Nel contempo ha continuato a commerciare con Kyiv.
Politica di basso costo ed alta resa, visto che sempre più Mosca sia sta vassalizzando nei confronti di Pechino, cosa che crea non poca irritazione in Russia, storicamente memore del “giogo mongolo”.
Un nuovo “grande gioco”
I reciproci razzismi e diffidenze, temprati da secoli di ostile vicinanza, sono alla base dei rapporti delle due potenze asiatiche. Parimenti Pechino sta alzando l’asticella del confronto con gli Stati Uniti, sia sul piano economico, sia sul piano geopolitico, insidiando il primato strategico americano sul teatro del Pacifico e del Mar cinese settentrionale ed orientale.
Non è un caso che la US Navy da anni effettui esercitazioni congiunte con Filippine e Vietnam (oltre ad altri partner più stabili) e che esercitazioni vi siano anche con l’India, che – a sua volta – le attua anche con la Russia. Si è di fronte ad un nuovo “grande Gioco” in versione 2.0, di dimensione ben più ampia dell’originale del XIX secolo.
Il disgelo Usa-Russia
Da quando è iniziata l’asimmetrica liaison fra Trump e Putin, si sono aperti differenti scenari. Il presidente americano, che vuole passare alla storia come pacificatore, prima spinge l’Ucraina ad un iniquo “indennizzo” di guerra in terre rare a prezzo stracciato, per poi avvicinarsi a Mosca dietro egual (e forse più vantaggiosa) offerta sui minerali del Donbass occupato.
L’avvicinamento tra le due potenze, viene visto, sulle rive della Moscova, anche come un modo di sfuggire all’abbraccio del Dragone, mentre l’autocrate di Pyongyang continua, anche in questi giorni, a dichiarare fedeltà a Putin, smarcandosi da Xi Jinping – antico protettore del despotato comunista coreano.
L’Europa occidentale, politicamente e militarmente in balia delle bizze del Tycoon, cerca una sua nuova dimensione, politica e militare, confidando nelle due piccole potenze nucleari e nella locomotiva tedesca.
Il ruolo di Pechino
E la Cina? Memore di come l’apertura di Washington nel 1972 a Pechino fu lo strumento che provocò il collasso delle relazioni sovietico-cinesi e che il pencolare tra Mosca e la Grande Muraglia sia un leitmotiv della politica americana, ecco che prima di restare con un cerino in mano, sfida sia la Russia, sia gli Usa proponendosi come parte dei “volenterosi”, contando sui buoni rapporti con l’Ucraina, che potrebbe essere un importante granaio per il gigante asiatico in perenne ricerca di cibo.
Non si può non notare come la presenza cinese in Ucraina sarebbe un invalicabile ostacolo verso ogni possibile colpo di mano russo, anche solo involontario. Anche la minima azione offensiva russa (o di altri alleati) verso uomini dell’Esercito di Liberazione Popolare avrebbe conseguenze devastanti sull’indifeso confine asiatico per la Russia. Oltre a ciò, la volontà di essere forza peacekeeping si configura come una piccata ammonizione ai colpi di testa di Kim Jong-un.
Così facendo si avvicina a Francia e Gran Bretagna? Perché no! Esse sono potenze nucleari di pari livello, ma ormai, fuori dalle rotte strategiche dell’Asia. La Cina, al massimo, e solo in minima parte, è in competizione con la Francia in Africa. Questa partita a Risiko si fa sempre più appassionante. Ciò che appare evidente, una costante delle relazioni internazionali ad egoistica regia nazionale, è che passare da partner a competitor è come un battito d’ali di una farfalla. Un nulla!