Cina-Taiwan

Pelosi a Taiwan: non disturbare il “Grande Timoniere” non aiuterà la pace

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Non si sa ancora se l’aereo di Nancy Pelosi atterrerà davvero a Taiwan. La Speaker democratica della Camera Usa sarebbe intenzionata a procedere con la visita ma, com’è noto, le reazioni assai tiepide (o addirittura sfavorevoli) di Joe Biden e del Pentagono fanno nutrire ancora dubbi al riguardo.

Il suo tour asiatico comprende Singapore, Malaysia, Corea del Sud e Giappone, tutti Paesi alleati degli Stato Uniti. Inizialmente era inclusa pure Taiwan, ma l’immediata e violenta reazione di Pechino ha indotto la Pelosi a muoversi, per così dire, sottotraccia. Il Global Times, organo in lingua inglese del Partito comunista, parla di uno “scalo tecnico” a Taipei il 4 agosto per un rifornimento di carburante. Tuttavia, conoscendo i cinesi, potrebbe trattarsi di una classica fake news.

L’antiamericanismo dei media italiani

Stupiscono però i commenti di parecchi organi di stampa e mass media italiani. Quella della Pelosi sarebbe soltanto una mossa elettorale, volta a risollevare le sorti del Partito democratico, ora in grave difficoltà nei sondaggi.

Anzi, si tratterebbe addirittura di una mera “provocazione” che punta soltanto, secondo i suddetti commentatori, a far irritare Xi Jinping. Il quale, invece, deve essere lasciato in pace, visto che il prossimo congresso del partito in novembre sarà chiamato a conferirgli un inedito terzo mandato. L’ovvia conclusione è che gli Usa non devono turbare i piani di colui che viene spesso definito l’erede del “Grande Timoniere”, vale a dire Mao Zedong.

Seconda conclusione altrettanto ovvia. Sempre secondo i suddetti commentatori, circa Taiwan la Repubblica Popolare ha pienamente ragione. L’isola, lungi dall’essere una nazione indipendente, fa parte della Cina comunista, e in quanto tale spetta a Pechino deciderne la sorte. I cinesi hanno fatto prevalere la loro tesi in tutti gli organismi internazionali, dall’Onu all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

La smettano dunque gli americani e i loro più stretti alleati, come Giappone e Regno Unito, di pensare che l’accesso all’isola sia libero e senza pericoli. I politici occidentali che decidono di visitarla lo fanno a loro rischio. E infatti Xi e il suo gruppo dirigente hanno detto di poter colpire le partaerei Usa con i missili ipersonici (il che è probabilmente vero).

Non solo. Qualora l’aereo di Nancy Pelosi, anche se scortato da caccia Usa, si dirigesse sull’isola, entrerebbe subito in azione l’aviazione di Pechino, del resto già abituata a violare impunemente lo spazio aereo di Taipei. Due le possibilità. Gli aerei cinesi si opporrebbero all’atterraggio e, se non ci riuscissero, lo abbatterebbero anche se trasporta la terza carica istituzionale degli Stati Uniti d’America.

La volontà dei taiwanesi

A questo punto, dunque, siamo giunti. Non conta che nelle ultime elezioni taiwanesi la presidente inipendentista Tsai Ing-wen abbia ottenuto una schiacciante maggioranza che le consente di controllare il Parlamento. Pechino giudica tali elezioni illegittime poiché, essendo l’isola parte della Repubblica Popolare, solo quest’ultima ha diritto di indirle. Né conta che la stragrande maggioranza dei cittadini taiwanesi non voglia saperne di un governo controllato dal Partito comunista.

Eppure, da noi, molti giudicano il possibile viaggio di Nancy Pelosi a Taiwan un grave atto di “provocazione” e di “irresponsabilità”, tale da pregiudicare la pace mondiale. Pace, vien fatto di dire, che può essere garantita soltanto dalla politica espansionistica della Repubblica Popolare.

L’appeasement con i dittatori non paga

Sulle posizioni politiche della Pelosi, che appartiene all’ala radicale del Partito democratico Usa, chi scrive nutre parecchi dubbi. Non tali, però, da impedirgli di riconoscere che in questo caso il suo è un atto di coraggio. La storia ha più volte dimostrato che l’acquiescenza nei confronti dei dittatori non conduce alla pace, bensì all’aumento delle pretese di superiorità. Ciò vale, di questi tempi, sia per Vladimir Putin che per Xi Jinping, non a caso alleati.

L’antiamericanismo ancora così diffuso in Italia lascia stupiti, e fa capire che l’amore per le autocrazie pervade gran parte del nostro mondo politico. Tanto a sinistra quanto a destra. L’unica speranza è che le democrazie liberali non si facciano intimorire, e che gli Stati Uniti non abbandonino il Pacifico, come Pechino li ha più volte invitati a fare.

Come abbiamo spiegato in un precedente articolo, rinunciare alla visita per timore delle minacce di Pechino sarebbe un segnale di debolezza senza precedenti. Nel 1997 un altro Speaker della Camera, il Repubblicano Newt Gingrich, aveva visitato l’isola.

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