Riusciranno gli Stati Uniti a dissuadere l’Iran – e le milizie che finanzia, arma e addestra – da una escalation che rischia di trasformare la guerra tra Hamas e Israele in un conflitto regionale? Se lo chiede anche il Washington Post nella newsletter The Daily 202.
Evitare l’escalation
Noi ce lo chiediamo praticamente dal 7 ottobre scorso, giorno della mattanza di Hamas, e la risposta definitiva la avremo solo quando Teheran sarà inequivocabilmente posta davanti alla concreta prospettiva della completa distruzione di Hamas, quindi dopo l’ingresso delle forze di terra israeliane nella Striscia, se e quando avverrà. Perché è in quel momento che dovrà decidere se aprire altri fronti per provare a salvare il suo proxy, esponendosi alle conseguenze, o accettare il suo sacrificio accontentandosi degli obiettivi già raggiunti – colpo micidiale alla fiducia di Israele e sabotaggio degli Accordi di Abramo.
C’è però un altro modo per evitare l’escalation, che però a nostro avviso sarebbe esiziale, ma che Usa e Ue sono tentati di perseguire, ovvero frenare e limitare la risposta di Israele, dissuaderlo dal portare a compimento l’eliminazione di Hamas, al prezzo però di erodere oltre i livelli di guardia la deterrenza israeliana e americana, non solo in Medio Oriente ma in tutto il mondo.
Impronte iraniane ovunque
Dopo avere per giorni evitato persino di nominare l’Iran, sorvolando sulle sue evidenti responsabilità nell’attacco di Hamas, e mancato di rispondere ai numerosi attacchi contro le basi Usa in Siria e Iraq, nelle ultime ore i toni di Washington nei confronti di Teheran si sono induriti. Ha avvertito che riterrà Teheran responsabile per questi attacchi, anche se “non abbiamo visto un ordine diretto della Guida Suprema Ali Khamenei“, ha detto un portavoce del Pentagono, come se ci fosse bisogno di un suo ordine esplicito per avere prova delle responsabilità iraniane.
Un funzionario del Pentagono è stato ancora più esplicito in un briefing con la stampa: “Penso che sia giusto dire che quando si vede questo aumento dell’attività negli attacchi da parte di molti di questi gruppi, ci sono impronte iraniane ovunque“. E ha aggiunto: negli ultimi giorni abbiamo visto “gli sforzi dell’Iran e delle forze iraniane per cercare l’escalation”.
Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby ha detto ai giornalisti che l’Iran “sta facilitando attivamente questi attacchi e spronando altri che potrebbero voler sfruttare il conflitto per proprio tornaconto o per quello dell’Iran”. “Sappiamo”, ha aggiunto, che Teheran usa i suoi proxies per “mantenere un certo livello di negabilità” delle sue responsabilità, ma “non permetteremo loro di farlo”, ha avvertito. Anche se finora è esattamente quello che hanno fatto: lo hanno permesso.
Forze Usa sotto attacco
Dunque, ci sono segnali di inasprimento verbale dell’amministrazione Usa verso Teheran, ma ancora non ai massimi livelli. “Se l’Iran o i suoi proxies attaccano il personale americano ovunque, credetemi: difenderemo la nostra gente. Difenderemo la nostra sicurezza in modo rapido e deciso”, ha detto ieri il segretario di Stato Antony Blinken.
Peccato che il personale americano sia già sotto attacco delle milizie filo-iraniane da una settimana: ben 10 attacchi in Iraq e 3 in Siria, 24 feriti di cui il Pentagono ha dato notizia solo ieri sera. Ma ancora nessuna risposta militare Usa. E cosa sta dicendo davvero Blinken? Li difenderemo. Ma intercettare razzi e droni non è deterrenza.
L’ultima volta che le basi Usa in Iraq erano finite sotto il tiro dei razzi delle milizie iraniane, l’allora presidente Donald Trump ordinò l’uccisione del comandante della Forza Quds iraniana Qasem Soleimani, il regista delle varie milizie.
La natura del conflitto
“L’amministrazione Biden fondamentalmente non comprende la natura del conflitto“, ha commentato l’ex ambasciatore all’Onu John Bolton. “Gli ayatollah iraniani sono responsabili degli attacchi contro Israele e la debolezza o l’indecisione americana non fanno altro che peggiorare la situazione. Il mondo si aspetta che l’America sia alla guida e Biden dorme al volante”.
“Il mosaico è regionale”, ha avvertito Hal Brands su Bloomberg. Un’escalation è comprensibilmente “l’ultima cosa che gli Stati Uniti vogliono, perché un tracollo in Medio Oriente consumerebbe risorse americane di cui c’è disperatamente bisogno altrove”. Biden ha inviato potenti forze militari, tra cui due gruppi d’attacco di portaerei, come deterrente a Hezbollah e all’Iran.
I primi dovrebbero ricordare la sconfitta del 2006 e il secondo la già ricordata uccisione di Soleimani. Possono colpire molto duramente Israele e Usa, ma questi hanno la potenza per colpirli in modo ancora più devastante. L’Iran, osserva Brands, “potrebbe non volere la guerra con Israele, ma potrebbe anche non voler vedere distrutto uno dei suoi principali alleati, Hamas“.
Israele ha bisogno di distruggere molti dei 150.000 razzi di Hezbollah prima che possano essere lanciati, perché altrimenti le sue difese non riuscirebbero a intercettare lanci massivi, mentre Hezbollah ha tutto l’interesse a lanciarli prima che vengano distrutti. Insomma, la guerra sotterranea tra Israele e Iran potrebbe salire in superficie.
Risposte sproporzionate
In primo luogo, secondo Brands, gli Stati Uniti dovrebbero “rafforzare i disincentivi dell’Iran a intensificare l’escalation abbandonando uno schema dannoso”. In genere, quando i proxies iraniani colpiscono le forze Usa, Washington risponde in modo proporzionato su di essi. Ma questo, fa notare, consente a Teheran di “proteggersi dalle ritorsioni per gli attacchi dei suoi proxies“. Ecco, gli Usa non possono più permettere al regime iraniano di lanciare il sasso e nascondere la mano.
Oggi la posta in gioco è molto più alta e per evitare una escalation l’amministrazione Biden deve far capire in modo inequivocabile a Teheran che gli attacchi contro le forze Usa “incontreranno risposte sproporzionate” contro le stesse forze iraniane. La potenza della sua deterrenza “ha valore solo se l’America è disposta a usarla”. E purtroppo il Team Biden non ha ancora messo in campo nulla del genere.
In secondo luogo, spiega Brands, il 7 ottobre è stato un “terremoto geopolitico”, “l’attuale conflitto è solo l’inizio di uno sforzo prolungato per gestire un Medio Oriente violento e disordinato”. Anche evitando l’escalation più temuta, le tensioni resteranno e andranno gestite. Il ritorno allo status quo ante è impensabile, la politica di appeasement nei confronti di Teheran va abbandonata per sempre.