Esteri

Per stanchezza ed errori rischiamo una “pace” premessa della prossima guerra

Triplice errore: credere che l’inflazione sia colpa della guerra (e delle sanzioni); che la sconfitta di Kiev sia inevitabile; che Putin si fermerà al Donbass

Esteri

A prescindere da quel che Draghi, Macron e Scholz abbiano promesso al governo di Kiev, i tre leader dell’Europa occidentale si presentano agli ucraini rappresentando opinioni pubbliche stanche di una guerra che non stanno combattendo.

Cosa pensano le opinioni pubbliche

Un sondaggio Datapraxis/Yougov che fotografa la situazione di maggio, rivela due dati particolarmente interessanti sull’opinione pubblica dei tre Paesi europei. In Francia il 18 per cento della popolazione ritiene che la responsabilità principale per lo scoppio della guerra sia degli Usa, dell’Ue o dell’Ucraina stessa.

Percentuale che sale al 20 per cento in Germania e addirittura al 27 per cento (dato più alto in Ue) in Italia, dove, per altro, solo il 56 per cento (dato più basso in Ue) ritiene che la Russia sia la principale responsabile del conflitto. E stiamo parlando di una guerra iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina, senza altre cause apparenti.

Alla domande su quale sia il Paese che costituisce il maggior ostacolo alla pace, dopo più di tre mesi di guerra, in Francia solo il 53 per cento risponde “Russia” e il 23 per cento ritiene che le democrazie occidentali, o l’Ucraina stessa siano attualmente il maggior ostacolo alla pace. In Germania, il 63 per cento ritiene che sia ancora la Russia ad ostacolare la pace, ma il 19 per cento pensa che siano l’Occidente o l’Ucraina a voler continuare la guerra.

Infine (tenetevi forte) in Italia l’opinione pubblica è equamente divisa: il 39 per cento ritiene che la Russia sia il maggior ostacolo alla pace, ma il 35 per cento ritiene che a non voler dialogare siano soprattutto Usa, Ue e Ucraina (gli altri, tantissimi, non sanno o non rispondono). Dunque, nel nostro Paese, più di un italiano su tre, alla pari con chi ritiene la Russia responsabile della prosecuzione del conflitto, pensa che a voler continuare la guerra siano soprattutto gli aggrediti e quei Paesi che provano ad aiutarli.

Un terzo quesito riguarda la scelta fra giustizia e pace per la conclusione del conflitto. Chi sceglie “pace” vuole che la guerra si concluda il prima possibile, anche con “concessioni” da parte dell’Ucraina (eufemismo per: con una sconfitta dell’Ucraina). La risposta “giustizia” si focalizza invece sulla necessità di sconfiggere la Russia.

Ebbene, in quasi tutta Europa prevale la risposta “pace”, tranne che in Polonia, dove prevale il partito della “giustizia” 41 per cento contro 16 per cento. In Italia siamo ovviamente primi fra i “pacifisti”: il 52 per cento vuole la pace subito contro appena il 16 per cento che chiede giustizia, risultato opposto rispetto a quello della Polonia. In Francia il partito della “pace” vince per 41 a 20. In Germania per 49 a 19.

Gli europei si sono già stancati

Queste tendenze, soprattutto quelle che riguardano la nostra opinione pubblica, significano solo due cose: che la disinformazione russa ha lavorato molto bene e che consideriamo (propaganda russa o meno) gli ucraini come dei grandi seccatori. Che se la guerra continua, lo si deve alla loro insistenza a resistere e a rimanere vivi e liberi. Che se qualcuno prova ad aiutarli, è lui il responsabile della prosecuzione del conflitto e di tutte le crisi che ne seguono (energetica, alimentare, ecc…).

Al di là della preoccupazione per la disinformazione russa e per la sua penetrazione capillare nelle nostre coscienze (cosa che ci ha sempre reso un Paese in bilico anche durante tutta la precedente Guerra Fredda), abbiamo la prova che l’opinione pubblica delle principali potenze europee occidentali si stanca in fretta, anche di un conflitto che non sta combattendo.

Anche gli americani si stanno stancando

Non stiamo mandando uomini, non esponiamo le nostre popolazioni al rischio di rappresaglie, stiamo al massimo mandando vecchie armi. Ma l’impatto di questo non-intervento sull’opinione pubblica sta diventando come quello del Vietnam. E a proposito di Vietnam: anche gli americani stanno stancandosi.

Lo si vede dal mutato atteggiamento di Biden, che sta rallentando l’invio di armi, e dall’esito delle elezioni primarie.

Queste ultime, nel Partito Repubblicano (che molto probabilmente riconquisterà a novembre la maggioranza in Congresso) vengono vinte con matematica sistematicità dai candidati isolazionisti. Ad esempio lo scrittore J.D. Vance (autore di “Elegia Americana”), che correrà per un seggio in Senato in Ohio, è uno che dell’Ucraina ha dichiarato, prima che la guerra scoppiasse: “Sarò onesto con voi, non mi interessa nulla di quel che avverrà in Ucraina, in un modo o nell’altro”. E dopo che la guerra era scoppiata da poco: “Stiamo spendendo 6 miliardi di dollari per aiutare un esercito ucraino fallito”.

Compromesso al ribasso

Insomma solo i Paesi più vicini al conflitto, come la Finlandia, la Polonia e i Paesi Baltici, sono determinati a sostenere la resistenza all’invasore russo. Mentre da noi lo shock iniziale è già scomparso, diluito in fiumi di chiacchiere da talk show, teoremi e teorie geopolitiche e/o cospirative. La guerra è scivolata indietro nell’audience televisivo e nelle pagine dei giornali. Manca poco che verrà espulsa dalle prime pagine.

I governi europei ne tengono conto, abbasseranno le pretese e i toni, saranno sempre più disponibili ad un compromesso al ribasso, in caso di negoziati con la Russia. Saranno incoraggiati a farlo anche dalla convinzione che il costo delle sanzioni sarà troppo alto per essere accettato dai cittadini/elettori e che occorre tornare quanto prima alla normalità.

Oltre che dalla certezza, tipica degli esperti “geopolitici”, che l’Ucraina non può vincere la guerra. E dunque, al di là della risposta militare per “difendere i nostri principii” prolungare la guerra è solo un’inutile sofferenza economica per noi e umanitaria per gli ucraini.

Il triplice errore

Se questa tendenza prevarrà, si fonderà su un triplice errore. Primo: noi non conosciamo l’impatto delle sanzioni sulla Russia, perché le autorità di Mosca stanno sistematicamente censurando i dati economici. Però stiamo, al tempo stesso, ingigantendo l’effetto delle sanzioni sulle nostre economie, a causa della solita maldestra propaganda delle sinistre.

Negli Usa come in Italia, infatti, le sinistre di governo stanno attribuendo alla guerra in Ucraina la causa dell’inflazione e della “supply chain disruption”, per cui, per liberarsi delle loro stesse responsabilità (politiche monetarie espansive, lockdown prolungati e chiusura delle frontiere negli anni del Covid) hanno la risposta pronta: “colpa della guerra”, colpa di Putin.

Quindi l’opinione pubblica ha imparato ad associare tutte le sue disgrazie recenti alla guerra… e alle sanzioni. Quando in realtà, soprattutto le sanzioni, hanno un impatto ancora minimo sulle nostre tasche.

Secondo errore: la sconfitta dell’Ucraina non è affatto inevitabile. Gli ucraini vogliono ancora vincere la guerra. Se debitamente armati, possono vincerla. Un precedente storico, non troppo lontano, lo abbiamo sotto gli occhi: Israele nel 1948 pareva condannato all’estinzione, nel 1949 aveva sconfitto tutti gli eserciti arabi che lo avevano invaso e salvato la sua indipendenza. Israele è sopravvissuto, oltre che per la determinazione dei suoi difensori (spesso anche scampati alla Shoah), anche grazie agli aiuti ricevuti da Usa e Urss.

Terzo: non è detto che la Russia accetti il compromesso. Infatti, dal 24 febbraio, il Cremlino sta facendo capire in tutti i modi a tutto il mondo che non si fermerà fino alla resa dell’Ucraina. “Denazificazione” e “disarmo” vogliono dire solo questo: resa.

Non è solo il Donbass, ma l’Ucraina nel suo insieme. E non è solo l’Ucraina l’obiettivo strategico finale di Putin, ma la sconfitta della Nato, il disarmo del suo fianco orientale, quello ammesso nell’Alleanza dopo il 1997. La “pace” che l’Occidente vuole non sarà affatto pacifica. Sarà, semmai, la premessa della prossima guerra. E costerà decisamente di più delle sanzioni.