Esteri

Perché ad oggi il controllo israeliano su Gaza è l’unica opzione realistica

L’esperimento Gaza ai palestinesi, durato 18 anni, è fallito. Anp inaffidabile e tutto ciò che sa fare la comunità internazionale è spingere Israele a fermarsi

IDF Gaza Esercito israeliano a Gaza

L’annuncio del governo israeliano per cui verrà mantenuto il controllo di sicurezza sulla Striscia di Gaza, a tempo indeterminato, ha sollevato il solito vespaio di polemiche contro Benjamin Netanyahu e i suoi ministri “falchi”. Ma, a ben vedere, è l’unica politica realistica.

Gaza ai palestinesi dal 2005

L’allora premier Ariel Sharon, nel 2005, aveva ritirato tutti gli ebrei, civili e militari, dal territorio meridionale, perché convinto che le colonie nella Striscia non fossero più difendibili, se non al prezzo di troppe vite umane. Ma lo fece anche fidandosi della comunità internazionale: allora l’amministrazione Bush promuoveva ancora la cosiddetta “road map” per la pace, basata sempre sull’assioma pace-contro-territori.

Sharon, concedendo unilateralmente l’indipendenza di Gaza, diede un’opportunità di autogoverno ai palestinesi. I fatti dei primissimi giorni di autogoverno, lo smentirono. Gli israeliani avevano lasciato intatti serre, attrezzature agricole, aziende e ospedali. I palestinesi distrussero subito tutto e si filmarono, orgogliosi, mentre devastavano ciò che gli ebrei avevano lasciato loro.

Hamas al potere

Gli eventi successivi furono ancora peggiori. Nel 2006 le elezioni vennero vinte da Hamas, con un programma di distruzione di Israele. Nello stesso anno, con un’incursione oltre confine, i terroristi di Hamas rapirono il caporale Gilad Shalit. Per liberarlo occorsero cinque anni di negoziati e 1.000 prigionieri palestinesi vennero scarcerati: quasi tutti tornarono al terrorismo.

Sempre nel 2006 scoppiò la guerra civile fra Hamas (che aveva la maggioranza popolare a Gaza) e Fatah (che teneva le leve del potere). Una carneficina con 600 morti che si concluse solo nel maggio del 2007 con la presa del potere da parte di Hamas. Da allora, la Striscia di Gaza è diventata un emirato islamico, la tirannia di un partito terrorista.

Ma il peggio doveva ancora venire. Perché almeno dal 2008 Gaza si è trasformata nella piattaforma da cui lanciare attacchi terroristici sempre più massicci contro Israele. Dunque, dal punto di vista israeliano, non solo era una terra perduta e maltrattata dal nuovo regime, ma un pericolo per la sicurezza dei propri cittadini. Dalla fine del 2008 Hamas iniziò a specializzarsi nel lancio di razzi contro le città israeliane.

La comunità internazionale

Forse Sharon, quando prese la decisione di abbandonare Gaza, si illudeva che la comunità internazionale, a quel punto, si sarebbe schierata nettamente dalla parte di Israele. Perché non c’era più l’alibi dell’occupazione di Gaza e ogni ulteriore aggressione palestinese sarebbe stato un attacco contro lo Stato sovrano israeliano, nei “confini del 1967”, quelli più riconosciuti a livello internazionale, anche dai Paesi più critici nei confronti di Israele.

Ma non è andata così: la comunità internazionale, dopo una tiepida protesta contro i razzi di Hamas, ha condannato sempre ogni risposta militare israeliana. Il grosso del lavoro della diplomazia internazionale, a partire da quella americana, in tutti i conflitti di Gaza (2008-9, 2012, 2014, 2021) è stato unicamente quello di spingere Israele a fermarsi, prima di infliggere troppi danni a Gaza. Permettendo così a Hamas di presentarsi sempre come vincitore, rafforzando la sua presa sulla sua popolazione.

E sulla base di quale principio, la comunità internazionale ha trattenuto Israele, la parte aggredita? Sulla base del mero principio di “proporzionalità” della risposta. Quindi, un Paese aggredito, pur avendo il diritto internazionale dalla propria, non può rispondere con tutti i suoi mezzi, per garantire la sicurezza dei suoi cittadini, se il nemico che lo sta attaccando è più debole. Può rispondere, ma solo con una mano legata dietro alla schiena.

L’attacco del 7 ottobre

Il 7 ottobre, Hamas ha compiuto un salto di qualità. Non si è limitato al lancio di razzi, ma addirittura invaso il territorio israeliano. Ha ucciso 1.400 israeliani, in gran parte civili. Ne ha rapiti altri 242. Ma di fronte a questa vera e propria invasione (chiamarla “terrorismo” è riduttivo) la comunità internazionale non ha cambiato atteggiamento.

Qual è l’obiettivo della diplomazia americana? Quello di ottenere una tregua umanitaria. E quello dei governi europei? Fermare la guerra, per evitare una “escalation”. E i Paesi arabi che hanno normalizzato i rapporti con Israele? Anche loro condannano… Israele. Quindi il governo di Gerusalemme è di nuovo da solo di fronte al terrorismo. Per difendere il confine, non può fidarsi di nessun altro.

Esperimento fallito

Dopo 18 anni è ora di ammettere che l’esperimento di Gaza è fallito. I palestinesi non sono in grado di autogovernarsi e il nuovo regime è un pericolo inaccettabile per la sicurezza di Israele. Un’occupazione è inevitabile. Se Sharon aveva ritirato le colonie e le truppe a loro protezione perché il costo umano dell’occupazione era troppo alto, il costo umano provocato dal ritiro (1400 morti solo il 7 ottobre) è ancora più elevato e insostenibile.

E deve essere Israele a occupare Gaza, nessun altro. Sarebbe un’illusione affidare il controllo della Striscia all’Autorità Palestinese: si ripeterebbe lo stesso fallimento del 2005. Già le premesse, con l’adesione de facto di Abu Mazen al jihad di Hamas (nessuna condanna ai terroristi, solo accuse a Israele), non promettono nulla di buono.

Pensare ad un’amministrazione internazionale di Gaza o almeno alla presenza di una forza multinazionale di interposizione sui confini del 1967, come è stato fatto in Libano, è possibile ma non auspicabile. Se è vero che non si è più combattuta una guerra in Libano dal 2006, è anche vero che Hezbollah ha continuato a destabilizzare lo Stato libanese. E ha potuto armarsi fino ai denti: con 120mila razzi, è attualmente il gruppo terroristico più potente del mondo. Se vogliamo ripetere lo stesso errore a Gaza…

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