C’è la conduttrice di Tagadà, l’esuberante Tiziana Panella, che con una qual certa insistenza ossessiva ripropone pomeriggio dopo pomeriggio su La7 la stessa domanda ai suoi ospiti, con una intonazione assertiva che sembra dar per scontata la risposta: perché mai trattare differentemente l’invasione russa dell’Ucraina e l’invasione israelita del Libano. Eppure dovrebbe essere del tutto evidente come le due vicende non siano non dico uguali ma neppure lontanamente comparabili, perché nell’una e non nell’altra c’è stata una invasione non preceduta da una aggressione dello stato invaso.
Le differenze
Qui bisogna intendersi sui termini, perché oggi una aggressione può essere effettuata sia attraverso truppe di terra, invasione in senso stretto, sia attraverso colpi di artiglieria da oltre confine, bombardamenti aerei, droni e missili. Ora, nulla di questo si è dato da parte dell’Ucraina, che potesse giustificare l’invasione russa, mentre un continuo lancio di droni e missili vi è stato da parte di Hezbollah dislocata nel sud del Libano, sì da obbligare 70 mila israeliti ad abbandonare i loro villaggi nel nord del loro Paese.
Comunque lo si qualifichi, tale lancio continuo, pare di per sé legittimare una invasione che metta a tacere le basi di lancio, almeno quelle dislocate ad una certa distanza dal confine libanese, senza, peraltro, nessuna intenzione di una occupazione permanente o addirittura di una integrazione territoriale.
Si obbietta che non è lo Stato Libano autore dell’aggressione, ma una componente armata stazionata nel suo territorio, ma questo non cambia affatto la situazione, perché uno Stato è responsabile non solo di quello che fa di persona, ma anche di quello che permette sia fatto a partire dal suo territorio. D’altronde, a prescindere da ogni formalismo, la forza di Hezbollah è del tutto predominante nella vita politica del Paese, fino a costituire uno Stato dentro lo Stato.
Quanto poi all’argomento per cui l’invasione israeliana sarebbe stata attuata in via preventiva, avendosi parlato di impedire una offensiva di Hezbollah nel nord del Paese, questo può ben essere stato detto nelle giustificazioni offerte dell’operazione, ma non toglie affatto che la preoccupazione di una ulteriore escalation fosse fondata su una continua pioggia di fuoco da oltre confine.
La posizione di Israele
Per capire a fondo la posizione di Israele, come mi illudo di aver capito, bisogna tener presente due convinzioni fondative del suo comportamento, quali emergono dalla sua storia dalla sua fondazione a tutt’oggi. La prima è che è circondato da un ambiente ostile che lo considera un usurpatore illegittimo, che dovrebbe essere cancellato dalla carta geografica, come in effetti lo è nei testi istitutivi di Hamas e di Hezbollah; la seconda è che nell’assicurare la sua sopravvivenza può contare principalmente se non esclusivamente su se stesso, cioè sul suo esercito.
Non crede in una soluzione buona una volta per tutte, come sostiene ad una voce l’opinione mondiale sdraiata sulla formula sacrale dei due popoli due Stati, perché non appare tale da soddisfare il sentimento di espropriazione che anima i palestinesi, che continuerà ad alimentare movimenti radicali, anche se fosse possibile estirpare Hamas e Hezbollah. La partita della porta sempre aperta, dovuta all’anomalia della sua stessa nascita, una scheggia dell’Occidente democratico e moderno in un Medio Oriente attardato da un passato che lo vede ancora più che diviso, contrapposto fra sciiti e sunniti.
L’eccesso di autodifesa
Se pur sempre si può parlare di una autodifesa da parte di Israele, questa viene considerata anche dai Paesi favorevoli come eccessiva, contraria al diritto internazionale di guerra. Ora, se c’è qualcosa che la Seconda Guerra Mondiale ci ha lasciato in eredità è la illegittimità dei bombardamenti di pura deterrenza, effettuati su intere città, con lo scopo di far crollare il morale della popolazione civile, ritenuta comunque corresponsabile dei regimi sotto attacco.
Da questo punto di vista la distruzione di Dresda con le bombe al fosforo e di Hiroshima e Nagasaki con le testate atomiche sono entrambe considerate non più praticabili. Diverso è il caso di c.d. danni collaterali, quando l’obiettivo colpito è militare, ma coinvolge anche civili, qui evidentemente è questione di proporzione, non senza tener presente che è normale per le organizzazioni terroristiche occultarsi fra la popolazione, addirittura nel sottosuolo di chiese, ospedali, scuole.
Ora si può convenire che nella guerra di Gaza ci sia stata una politica di bombardamenti finalizzata prevalentemente ad aprire la via alle forze di terra, cioè una sorta di autostrada protetta fra le rovine degli edifici posti ai lati, come tale essa va condannata, ma senza farla assurgere ad un genocidio, volendo così trasformare gli ebrei, gli ebrei non gli israeliti, da vittime della Shoah a carnefici dei palestinesi.