Il risultato delle ultime elezioni politiche giapponesi preoccupa molto gli alleati occidentali. Il 67enne Shigeru Ishiba, in carica come premier dal primo ottobre dell’anno in corso, aveva anticipato la tornata elettorale con l’intento di rafforzare il Partito Liberal Democratico, che governa il Paese del Sol Levate da decenni (con alcune, brevissime, interruzioni). Il risultato tuttavia, è stato a dir poco disastroso. I Liberal Democratici sono infatti passati da 279 seggi a 215.
Situazione frammentata
Al contempo è stato sconfitto anche il suo tradizionale alleato Komeito, partito conservatore di ispirazione buddista, che è passato da 32 a 24 seggi. Ciò significa che il centrodestra nipponico non dispone più della maggioranza nella Camera bassa della Dieta, il Parlamento di Tokyo. Ishiba, nel riconoscere la grave sconfitta, ha tuttavia manifestato l’intenzione di non dimettersi, ripromettendosi di cercare nuovi alleati per formare un governo stabile.
Compito assai difficile, poiché in Giappone sono da sempre presenti forze politiche di sinistra e di tendenza neutralista, che ovviamente hanno guadagnato seggi a scapito dei partiti di governo tradizionali. Ha approfittato della situazione soprattutto il Partito Costituzionale democratico dell’ex premier Yoshiniko Noda, che è passato da 98 a 148 seggi.
Da notare che nessuno dei due partiti maggiori ha le forze per governare da solo. Entrambi devono cercare alleati in un quadro politico che, a differenza del recente passato, è molto frammentato. Situazione inedita per un Paese che è tuttora la quarta economia del mondo, nonché attore di estrema importanza nel delicato scacchiere dell’Indo-Pacifico.
Il sostegno a Taiwan
Sono in molti, all’estero, ad osservare con attenzione gli sviluppi della crisi politica nipponica. Innanzitutto la Cina comunista di Xi Jinping, che ha sempre criticato con veemenza i forti legami di alleanza con l’Occidente. E poi gli Stati Uniti che, con un presidente come Joe Biden, dimezzato ma ancora in carica, si augurano ovviamente che Tokyo mantenga l’impegno sul fronte occidentale continuando a contrastare le mire espansionistiche di Pechino e della Russia di Putin.
C’è tuttavia un altro fatto rilevante da tenere in considerazione. Il Giappone ha – finora – sempre mantenuto il suo appoggio a Taiwan, spesso facendo capire di essere disposto a difendere l’isola anche sul piano militare (qualora fosse necessario). Non a caso, lo stesso Ishiba aveva guidato lo scorso agosto una delegazione ufficiale giapponese in visita a Taipei. E, come al solito, la reazione di Xi Jinping è stata furiosa, anche perché Ishiba ha incontrato personalmente il presidente indipendentista di Taiwan Lai Ching-te (conosciuto in Occidente con il nome di William Lai).
Vista la situazione, tuttavia, la politica estera nipponica potrebbe anche cambiare, per esempio cercando di migliorare le relazioni con la Repubblica Popolare di Xi. Non solo. Si deve anche tener conto del fatto che, nella stessa Taiwan, vi sono forze favorevoli al dialogo con Pechino e che auspicano un maggiore distacco dall’Occidente. È il caso, per esempio, del Kuomintang, il partito che fu del generalissimo Chiang Kai-shek. Per molti anni su posizioni anti-comuniste, recentemente è diventato fautore di relazioni più distese con Pechino.
Si comprende quindi la preoccupazione dei governanti e di molti osservatori taiwanesi. Se il Giappone allentasse il suo tradizionale appoggio, e se le elezioni Usa portassero al potere un candidato poco impegnato nella difesa dell’isola, Taiwan rischierebbe di diventare preda della Cina comunista, che continua a intermittenza la politica dei blocchi navali e aerei della piccola isola.