Scoppiato l’ennesimo conflitto arabo-israeliano, non potevano mancare occasioni di sinistro intrattenimento, anche se era difficile immaginare che al circo mediatico si potesse aggiungere un circo giuridico allestito da pagliacci venuti dal Sudafrica, cui manca solo il naso rosso per passare per buffoni professionisti.
Come sempre, quando si tratta di Israele si fa un uso volutamente distorto delle parole. Sembra quasi di avere per le mani un mostruoso dizionario che inverta sinonimi e contrari, con quell’accusa, genocidio, ripetuta in modo ossessivo non solo nelle stanze del tribunale dell’Aja, ma nelle strade, nelle piazze, nei social media.
“Stop Genocide” è ormai in ogni cartello, in ogni protesta. Un modo di sbandierare al mondo le proprie virtù, che fanno indignare a comando solo per certe cause, meglio se con hashtag di tendenza su X, per mostrare la propria vicinanza ai piccoli di Gaza (unita al compiaciuto menefreghismo per le migliaia di bambini morti in Yemen a causa della guerra civile scatenata dagli Houthi). Il tutto naturalmente stando comodi comodi in Occidente, protetti dal diritto di sparare stronzate con cannoni caricati a malafede.
Il significato delle parole
Proviamoci allora a smontare la retorica antisemita, definendo in modo esatto il significato delle parole, per non attribuirlo in base alla convenienza politica di turno, o semplicemente per non parlare di metri e capire poi miglia. Cerchiamo di comprendere se sia veramente in corso un genocidio ai danni dei palestinesi, prima di tutto mettendoci d’accordo sul significato delle parole in questione: genocidio e palestinesi.
Il termine genocidio è stato coniato dal giurista polacco Raphael Lemkin [1] per definire atti compiuti con “l’intento di distruggere, totalmente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale”. Il povero Lemkin, nato da famiglia ebrea, mai avrebbe immaginato vedere rivolta l’accusa di genocidio contro il suo stesso popolo, che di genocidio fu vittima durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ora, stabilito il significato della parola genocidio, possiamo cercare di capire se c’è mai stato (come viene ripetuto da tempo) o è in corso un genocidio contro i palestinesi. E qui si arriva alla seconda parola da definire: palestinesi.
Abbiamo già avuto modo di dire che non esiste uno specifico popolo od una etnia palestinese [2], come d’altra parte ammesso anche da loro esponenti [3, 4].
Se per palestinesi vogliamo intendere i discendenti degli arabi del Mandato di Palestina sotto amministrazione britannica, allora stiamo parlando di oltre 14 milioni di persone (di cui circa 2 milioni cittadini israeliani). Considerato che allo scoppiare della prima guerra arabo-israeliana nel 1948 c’erano circa 1 milione 200 mila arabi nel Mandato di Palestina [5] ed oggi per l’appunto più di 14 milioni, ci troviamo di fronte ad una vera e propria moltiplicazione dei pani e dei pesci demografica: nessun tentativo da parte di Israele di sterminare i palestinesi, ma un aumento della popolazione palestinese di 12 volte in 75 anni. Un vero e proprio genocidio al contrario.
È una considerazione importante da fare, visto che l’accusa rivolta ad Israele di voler eliminare i palestinesi è costante e ripetuta nel tempo.
Le vittime a Gaza
Veniamo nello specifico alla Striscia di Gaza, e partiamo dalla constatazione che non è possibile avere dati accurati. Gli unici dati, ripresi poi da tutte le altre fonti di informazione, vengono rilasciati dal Ministero della sanità di Gaza, diretta emanazione di Hamas, che non distingue tra civili e combattenti uccisi.
Se prendiamo per buona la cifra di 23 mila morti che, lo ripetiamo, è un dato di Hamas, e consideriamo che la popolazione complessiva della Striscia di Gaza è di oltre 2 milioni 300 mila abitanti [6], allora ne consegue che circa l’1 per cento della popolazione è morto in 3 mesi di guerra. Tragico? Orribile? Certamente, come tutte le guerre d’altra parte. Se consideriamo che quasi la metà degli abitanti di Gaza ha meno di 14 anni, non è poi difficile credere ci siano molti bambini tra le vittime.
Tutto ciò però non autorizza in alcun modo ad accusare a vanvera di genocidio i soldati israeliani, soprattutto considerando che sicuramente un buon numero di questi morti (non è dato sapere quanti esattamente) sono combattenti di Hamas.
Quella che è in corso è una guerra, cominciata ancora una volta dagli arabi con la brutale aggressione del 7 ottobre 2023, così come 50 anni prima la guerra dello Yom Kippur, così come la guerra cominciata sempre dagli arabi nel 1948.
C’è una tragica situazione con migliaia di morti a seguito di un intervento militare (e, lo ripetiamo, tra questi certamente migliaia di terroristi armati), non il tentativo cosciente e deliberato, progettato a tavolino dagli israeliani, di procedere all’eliminazione scientifica degli abitanti di Gaza. Né tantomeno alla pulizia etnica, dal momento che gli abitanti di Gaza sono ancora tutti a Gaza.
D’altra parte, se Israele avesse voluto effettivamente compiere un genocidio, avrebbe semplicemente effettuato un bombardamento a tappeto in pochi giorni con armi ad alto potenziale, anziché rischiare la vita dei propri soldati (ne sono già morti quasi 200) in operazioni terrestri.
L’esercito inoltre si sarebbe ben guardato dall’indicare ai civili della parte nemica vie di fuga e zone sicure per evitare i bombardamenti. Pensare che possa trattarsi di genocidio è come credere che un ladro sia così gentile da telefonarti per dirti giorno ed ora in cui si presenterà a casa tua per svaligiarla. Oppure è voler scadere nel ridicolo a tutti i costi come i russi, secondo i quali persino allagare i tunnel costruiti da Hamas sarebbe qualificabile come genocidio. [7]
Sudafrica braccio legale di Hamas
Opportuno a questo punto spendere qualche parola sull’accusatore. Noi di Atlantico Quotidiano abbiamo già parlato dei motivi legati alla politica interna sudafricana, che vede in Israele un modo per incanalare la rabbia per lo sfascio economico-sociale del Paese africano verso un capro espiatorio lontano, che possa distrarre momentaneamente l’opinione pubblica.
C’è però qualcosa di più: una vera e propria infezione antisemita che sembra aver attecchito in un paese che in passato ha sperimentato il dramma del razzismo: l’apartheid, quello vero, non quello inventato che i propagandisti pro-pal attribuiscono in modo fantasioso ad Israele.
Non sono tanto notizie, comunque brutte, come l’esclusione di un giovane ebreo dal ruolo di capitano della nazionale under-19 di cricket a gettare un’ombra sinistra sul Paese [9], ma la scoperta che Hamas ha un vero e proprio ufficio di rappresentanza in Sudafrica, dove evidentemente credono si tratti di una sorta di ente caritatevole qualunque. [10, 11]
Come riportato dai rappresentanti di Israele alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja e reso noto dal giornale online L’Informale, Hamas ha da tempo rapporti col Sudafrica e ha addirittura inviato una propria delegazione in visita nel Paese, dopo il pogrom del 7 ottobre. [11]
Non appare dunque così assurda l’accusa che Israele ha a sua volta mosso al Sudafrica, ossia di agire in sostanza come il braccio legale di Hamas. Le ragioni del Sudafrica sembrano dunque più quelle di portare sul banco degli imputati non il comportamento specifico dell’IDF nella guerra in corso o del governo Netanyahu, ma Israele stesso in quanto Stato ebraico.
Solo un pretesto
Quello del finto genocidio è dunque un semplice pretesto. Lo provano le richieste a senso unico: è Israele che deve fermare le operazioni militari, non Hamas a doversi arrendere dopo aver commesso un atto di guerra contro lo Stato ebraico.
A farle, nelle aule del tribunale a L’Aja così come nelle manifestazioni in giro per il mondo, coloro che mostrano così tanta empatia per i civili di Gaza, e nessuna considerazione per i civili uccisi da Bashar al Assad (figlio di cotanto padre, vedere alla voce Massacro di Hama [12]) durante la guerra civile siriana, o per le già menzionate vittime del conflitto in Yemen [13].
In sostanza, Hamas avrebbe il diritto di realizzare un pogrom ai danni degli israeliani come fatto il 7 ottobre, ma Israele non ha il diritto di reagire ed eliminare Hamas, perché per farlo metterebbe a rischio la vita di civili (come in tutte le guerre d’altra parte), utilizzati spesso come scudi umani da Hamas stessa.
Accusare Israele di genocidio e chiedere il cessate il fuoco, significa chiedere ad Israele di non distruggere un’organizzazione che ha intenti omicidi nei confronti degli ebrei, come si è visto tante volte anche prima del 7 ottobre 2023, con l’interminabile lista di attentati, attacchi suicidi e lanci di razzi, aventi come obiettivi ben precisi non militari di una forza di occupazione, ma civili.
Simpatizzanti di Hamas
Non sarebbe a questo punto irragionevole sostenere che l’accusa di genocidio mossa dal Sudafrica sia a sua volta antisemita, dal momento che imporrebbe agli ebrei, e solo a loro, di non reagire di fronte ad una minaccia esistenziale posta da un gruppo terrorista che ha promesso altri massacri in stile 7 ottobre [14, 15].
Lo sanno probabilmente bene i manifestanti che riempiono di odio le strade delle città occidentali, e non fanno che ripetere di fermare il genocidio, senza mai considerare le responsabilità di Hamas nell’inizio del conflitto, le ruberie di aiuti umanitari da parte dei suoi sgherri, l’uso disinvolto di strutture civili come depositi di armi ed ingressi ai tunnel. Senza, come già detto, mai nemmeno una volta chiedere ad Hamas di deporre le armi e liberare gli ostaggi per far cessare le operazioni militari israeliane.
Tutto ciò li qualifica per ciò che essi sono realmente: non attivisti in difesa dei palestinesi, ma veri e propri simpatizzanti di Hamas e dei suoi intenti stragisti contro gli israeliani. Simpatia che non provano nemmeno a nascondere, sprizzando letteralmente odio antisemita in tutte le occasioni, con lo slogan velenoso “Dal fiume al mare” a rimarcare il desiderio di vedere non la fine della guerra, ma la distruzione di Israele in quanto tale. Di tutto Israele, senza eccezione.