Perché Trump è un prodotto della democrazia “indisciplinata” Usa

Se in Europa sono i partiti a imporre i candidati all’elettorato, in America è l’elettorato a imporli ai partiti. Una democrazia imperfetta che sa di esserlo

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Il fatto che negli Stati Uniti la nomination per il Partito Repubblicano sia ormai saldamente nella mani dell’ex presidente Donald Trump induce ad alcune considerazioni su un tema che anche se è davanti agli occhi di tutti è spesso trascurato e ahimè travisato sia nell’opinione pubblica sia nelle osservazioni dei commentatori.

Tralascerò in questo scritto (magari per ritornarci in futuro, se ne avrò l’opportunità) le riflessioni sulla figura di Trump, sulla sua attività politica, sugli errori gravi da lui commessi in occasione delle precedenti elezioni presidenziali, sulle accuse decisamente infondate di avere organizzato un colpo di stato e sul tentativo di impedirgli giuridicamente la possibilità di candidarsi.

La scelta degli elettori

Vorrei invece proporre al lettore che avrà piacere di seguirmi alcune considerazioni sul fatto in sé che un personaggio come Trump possa vincere “a mani basse” l’investitura repubblicana per elezioni presidenziali e di cosa questo ci insegni a proposito del valore e della forza della democrazia negli Stati Uniti. Possiamo affermare senza tema di essere smentiti che fatti come quello di cui stiamo parlando succedono solo in America: in nessun altro Paese democratico del mondo Trump avrebbe trovato un partito disposto a candidarlo, e si può ritenere che nemmeno lo stesso Partito Repubblicano americano lo avrebbe candidato se avesse potuto decidere.

Il bello è che in America i candidati, a differenza degli altri Paesi democratici non li scelgono i partiti, ma li sceglie l’elettorato. Una differenza fondamentale con le altre democrazie occidentali, che ci fa capire che il sistema americano ha un fondamento popolare “dal basso” che manca nei Paesi europei (con l’unica eccezione in parte della Gran Bretagna, dove c’è un forte collegamento tra deputati ed elettorato): in Italia, Germania, Francia ecc. sono i partiti che impongono i candidati all’elettorato, negli Stati uniti all’opposto è l’elettorato che li impone ai partiti. In questo si ritrova l’eccezionalismo della democrazia in America, concetto tanto spesso incompreso e a volte svilito e sul quale invece vale la pena di spendere qualche parola.

La democrazia in America

“La democrazia in America” com’è noto è il titolo di uno dei classici del pensiero liberale tradizionale (uso questo termine per distinguerlo sia dalle concezioni liberal della “nuova sinistra” sia da quelle libertarie della destra, entrambe a mio parere troppo dogmatiche), un libro nato come una sorta di meditato e illuminato  reportage di un viaggio negli Stati Uniti, compiuto negli anni 1831-32 dal nobile francese Alexis de Tocqueville (1805-1859)

Un libro destinato ad essere apprezzato più nel Paese oggetto delle descrizione cioè negli Stati Uniti, dove è considerato uno dei testi fondamentali del costituzionalismo, appena uno scalino al di sotto del “Federalista” (la raccolta di articoli scritti da Hamilton, Jay e Madison per sollecitare l’approvazione della costituzione federale) e degli scritti dei padri fondatori (Washington, Jefferson, Adams ecc.), che nel continente europeo, dove invece è considerato da molti quasi solo come la descrizione di un sistema politico “esotico” e incomprensibile.

Individualismo associativo

Una delle verità fondamentali affermate da Tocqueville a proposito delle democrazia americana è la sua derivazione dalle concezioni politiche e sociali proprie del cristianesimo riformato, impropriamente detto “calvinista”, concezioni a loro volte profondamente diverse sia da quelle cattoliche e che da quelle luterane, e che si basano su ciò che possiamo chiamare un “individualismo associativo” che rappresenta il principio base della società americana e quindi della politica.

Solo se si tiene conto che l’individualismo, come scrive Karl Popper (1902-1994) in un altro dei classici del pensiero liberale tradizionale, “La società aperta e i suoi nemici”, non è sinonimo di egoismo, ma è invece semplicemente l’opposto del collettivismo e che individualismo e altruismo (o spirito comunitario) possono benissimo coincidere, si può comprendere come tutto il sistema sociale, e per quanto ci interessa qui il sistema politico americano, partano dai singoli e che le istituzioni siano intese e funzionino ancora oggi, nonostante tutti i mutamenti avvenuti, come all’epoca di Tocqueville, soprattutto come insiemi di individui legati tra loro da regole e obiettivi comuni e non come strutture collettiviste che a questi individui impongono le loro concezioni.

L’importanza dei “costumi”

Una delle affermazioni fondamentali, valida non solo per il sistema americano, dell’opera di Tocqueville è inoltre quella che il funzionamento e i risultati di un sistema politico si possono valutare solo se si conoscono quelli che lui chiama i “costumi” sociali e politici (i moeurs) sui quali quel sistema si basa, dato che essi contano molto di più delle leggi scritte e delle istituzioni formali, il cui funzionamento e la cui applicazione sono determinati proprio dai costumi, dato che pur in presenza di leggi e istituzioni formalmente identiche un sistema può portare a situazioni opposte se i costumi sono diversi.

In effetti, le affinità e le istituzioni comuni a tutte le democrazie occidentali non danno conto della fondamentale differenza a livello di costumi che spiega perché il sistema americano sia così diverso. I costumi affondano la loro validità e la loro forza nella storia ed è a questa che dobbiamo guardare per comprendere la differenze tra la democrazia americana e quelle europee.

Paesi anglosassoni ed europei

Il potere medievale era un potere essenzialmente contrattato: prima dello stato moderno esisteva una società (societas christiana) fatta di tutta una rete di contratti impliciti o espliciti, che collegavano tra loro il sovrano, i feudatari grandi e piccoli, i signori ecclesiastici, i rappresentanti dei borghi e delle corporazioni, i lavoratori agricoli, più o meno vincolati alla terra. Molti di questi contratti avevano un contenuto più o meno “iniquo” verso una parte, ma ciò non toglie che il potere medievale si basava su una collaborazione tra livello alto e livello basso, diremmo noi tra élite e popolo, una collaborazione bilaterale.

Con la nascita degli stati moderni nel 1600, mentre nei Paesi anglosassoni rimane ferma la concezione contrattuale del potere pubblico, che con la democratizzazione verrà sempre più inteso come il frutto della collaborazione tra governanti e governati nella scelta delle regole, del funzionamento delle istituzioni e anche ovviamente nella scelta dei candidati, sul continente europeo prevale invece la concezione assolutista del potere che considera questo come il frutto di decisioni unilaterali dei governanti, ed anche le democratizzazione non modifica questa concezione, ma solo sottomette il potere calato dall’alto al consenso degli elettori.

Che i costumi siano decisivi nel funzionamento di un sistema politico è evidente anche nel fatto che quando si vuole importare in Europa qualche pezzo del sistema americano la cosa di traduce in un fallimento: si pensi alle elezioni primarie, che adottate ad esempio in Italia non per proporre i candidati all’elettorato, ma per scegliere il segretario del partito, hanno portato in genere solo alla ratifica di decisioni già prese in sostanza dalla leadership dal partito interessato, decisioni destinate ad essere modificate dalla stessa leadership quando se ne dimostri l’opportunità politica.

L’eccezionalismo Usa

Se si tiene conto di quanto detto, l’eccezionalismo americano non risulta poi così eccezionale, ma dimostra di essere il frutto della storia, di una storia che non avendo conosciuto l’assolutismo, ha mantenuto, oltre a un livello di tutela dei diritti individuali sconosciuto sul continente europeo, anche un maggiore ruolo dei singoli nella costruzione della democrazia e nella formazione delle scelte pubbliche.

Naturalmente la democrazia americana non è il mondo perfetto calato sulla terra, e la celebre definizione (ripresa dal Vangelo: v. Matteo 5,14) dell’America come “città sulla collina”, cioè come esempio per il mondo, che estende quella riferita al Massachusetts del leader puritano John Winhtrop (1588 – 1649), è da intendersi come una esortazione morale rivolta agli individui e non come una idealizzazione di un sistema politico che come tutti gli altri, è pieno di ingiustizie, ed è caratterizzato talora dai peggiori difetti umani.

Del resto, l’avere compreso la radicale imperfezione di tutti i sistemi politici è uno dei grandi pregi della cultura americana: si pensi alle famose affermazioni di James Madison (1751-1836) nel Federalista n. 51, secondo cui “se gli uomini fossero angeli non ci sarebbe bisogno del governo” e “se gli angeli governassero gli uomini, nessun controllo sul governo sarebbe necessario”. Pertanto, l’eccezionalismo americano forse consiste proprio nella coscienza della propria imperfezione e nella critica a se stessi.

Democrazia indisciplinata

Critica che oggi spesso viene esagerata, sull’onda dalla cultura woke e dell’oicofobia (cioè del disprezzo della propria civiltà), ma che nella sua autentica funzione, quella di ricerca empirica del miglioramento e della correzione degli errori rimane decisiva per l’evoluzione della democrazia statunitense. Pertanto si deve dire che la politica americana mostra apertamente i propri difetti anche perché non c’è mai stato nessuno capace di “disciplinarla” dall’alto, come avviene nei sistemi europei.

Ma questa versione “indisciplinata” della democrazia (che ovviamente fa storcere il naso agli amanti dell’ordine in politica, per non dire ai sostenitori del politicamente corretto) è proprio ciò che fa sì che il sistema americano riesca da sempre a trovare la capacità di correggere i propri errori e di venire incontro alle reali esigenze della popolazione, in maniera ovviamente imperfetta e condizionata dagli interessi personali e dei potentati, ma sempre in maniera migliore di quanto accade in Europa, dove gli errori dei governanti e il ruolo degli interessi più o meno confessabili non sono minori che in America, ma tendono a sfuggire ad un’autentica verifica dal basso, dato che sono pur sempre i diversi partiti a calare dell’alto le eventuali correzioni di rotta e le modifiche politiche, e il rapporto con l’elettorato non è un rapporto “dialogato” (spesso in maniera conflittuale) e contrattato, ma si traduce in una proposta “prendere o lasciare” da parte dei governanti (o aspiranti tali).

Proprio per il suo carattere “indisciplinato” e grazie i suoi valori basati sull’individualismo associativo la democrazia americana è inoltre meno soggetta al rischio (oggi drammaticamente reale) di degenerare in un sistema politico dove le decisioni che contano sono prese dai tecnocrati politicamente corretti e non richiedono nemmeno più l’approvazione dell’elettorato, e dove i partiti si contrappongono solo con slogan più o meno vuoti mentre nelle scelte sostanziali finiscono per riprendere in maniera più o meno passiva (magari con qualche modifica di facciata) le decisioni tecnocratiche, come purtroppo accade sempre più spesso nei Paesi europei continentali (compreso il nostro), ad esempio in relazione alle deliberazioni degli organi burocratici nazionali e soprattutto di quelli dell’Unione europea.

In questo senso la democrazia in America, indisciplinata e spesso quasi farraginosa nei suoi metodi e nelle sue procedure, meno “ordinata” di quelle europee, ci presenta non una realtà da criticare con battute superficiali e vecchi stereotipi (la “democrazia del denaro”, la “democrazia dove pochi votano” ecc.), che si riferiscono a difetti o a caratteristiche altrettanto presenti in tutti i Paesi occidentali, ma un sistema sociale e politico da esaminare con rispetto riconoscendone il valore, magari non una “città sulla collina” ideale, ma certo un sistema dal quale c’è molto da imparare, prima di tutto iniziando ad apprezzarne la diversità, la “eccezionalità” nel senso che abbiamo precisato.

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