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Politicamente corretto applicato anche ai nomi dei virus: ecco le priorità dell’Oms

Il nome “vaiolo delle scimmie” sarebbe razzista, lanciato un appello per cambiarlo. E l’Oms schiera una quantità impressionante di tempo e risorse per rinominare il virus

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Ci sono malattie che prendono il nome del ricercatore che le ha scoperte o del luogo in cui sono state individuate per la prima volta. Nessuno ha pensato mai che ci fosse qualcosa di male. La malattia di Lyme, ad esempio, è causata da un batterio chiamato Borrelia Burgdorferi in onore del suo scopritore, il batteriologo Willy Burgdorfer, e si chiama così dal nome della città del Connecticut, negli Stati Uniti, in cui furono segnalati i primi casi nel 1975.

Invece, nel 2015 l’Organizzazione mondiale della sanità, preoccupata di evitare che si rechi “offesa a qualche gruppo culturale, sociale, nazionale, regionale, professionale o etnico”, ha stabilito che per i nuovi virus, batteri e malattie non si possono più usare nomi di persona, luogo e animale.

Cambiare nome al virus

Il problema delle malattie scoperte prima del 2015 – febbre di Lassa, febbre della Rift Valley, Ebola… – non è stato sollevato finché lo scorso maggio casi sempre più numerosi di vaiolo delle scimmie, per decenni endemico solo in Africa occidentale e centrale, sono stati registrati in altri continenti, tanto che a luglio l’Oms ha dichiarato la malattia emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale.

Qualcuno allora ha incominciato a dire che il nome della malattia aveva “sfumature razziste”, che evocava stereotipi razzisti sui neri e sull’Africa. All’inizio di giugno 29 studiosi quasi tutti europei e americani hanno pubblicato un appello a cambiare il nome al virus e alla malattia “che getta stigma sull’Africa”. Altre persone si sono unite al loro appello.

“Il vaiolo delle scimmie deve cambiare nome – così è intervenuto il dottor Ifeanyi Nsofor, dell’Aspen Institute – è radicato l’uso di chiamare i neri scimmie e quindi il nome è razzista e stigmatizza i neri. Inoltre fa pensare che il virus sia trasmesso solo dalle scimmie e non è vero”.

L’Oms si è affrettata a rispondere che avrebbe provveduto. Il 14 giugno il direttore dell’agenzia Onu Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato che l’Oms era già al lavoro con i suoi partner e con esperti da tutto il mondo per cambiare nome al virus, alle sue varianti e alla malattia. “Annunceremo il nuovo nome il più presto possibile” ha assicurato.

Ma cambiare il nome di un virus comporta dei problemi, primo fra tutti e non da poco quello della discontinuità nella letteratura scientifica.

Le settimane sono passate senza notizie. Il 26 luglio la città di New York, la più colpita dalla malattia negli Usa, ha scritto una lettera al direttore dell’Oms per esprimere crescente preoccupazione “per gli effetti potenzialmente devastanti e stigmatizzanti che i messaggi sul virus del vaiolo delle scimmie possono avere su una comunità già vulnerabile. Continuare a usare il termine ‘vaiolo delle scimmie’ può riaccendere questi sentimenti razzisti, specialmente contro i neri e altre persone di colore, così come contro i membri delle comunità Lgbtqia+”.

Rinominate le varianti

Finalmente il 12 agosto l’Oms ha annunciato di essere almeno riuscita a rinominare le due varianti del virus. Quella nota come “variante del bacino del Congo” adesso si chiama Clade I e quella nota come “variante dell’Africa occidentale” si chiama Clade II.

“Siamo molto felici che adesso possiamo chiamarle così piuttosto che fare riferimento a queste varianti usando le regioni africane – ha commentato Ahmed Ogwell, direttore ad interim degli Africa Centers for Disease Control and Prevention e tra i firmatari dell’appello degli studiosi a giugno – siamo davvero soddisfatti di questo cambiamento nella denominazione che rimuoverà lo stigma dalle varianti”.

Anche la portavoce dell’Oms Fadela Chaib si è rallegrata: “Al vaiolo delle scimmie umano era stato dato il nome prima delle attuali, migliori pratiche nella denominazione delle malattie. Vogliamo davvero trovare un nome che non sia stigmatizzante”. Inoltre ha garantito che l’Oms si assume la responsabilità di rinominare tutte le malattie che risultino stigmatizzanti: “ma per il momento – ha detto – il piano è rinominare il vaiolo delle scimmie”.

Le priorità dell’Oms

L’intenzione dichiarata di questa campagna per cambiare nome al vaiolo delle scimmie dunque è tutelare la dignità di alcune categorie sociali (e anche assolvere le scimmie dall’ingiusta accusa di essere le sole a diffondere la malattia!). Molti però ritengono che sia una motivazione del tutto pretestuosa, che il rischio di fomentare stigma e razzismo mantenendo l’attuale nome sia inconsistente.

Di certo un risultato è stato raggiunto: quello di ribadire che africani, neri, gente di colore sono oggetto di pregiudizi e atteggiamenti offensivi. Da parte di chi? Per esclusione, è evidente che la colpa è dell’unica categoria residua, i bianchi.

Questo suscita a maggior ragione perplessità in merito alle priorità dell’Oms e degli organismi suoi partner. Cambiare nome a una malattia, a un virus o alle sue varianti richiede infatti, anche quando fosse davvero indispensabile, una quantità impressionante di tempo e risorse, sottratte alla loro finalità primaria di prevenire e curare le malattie, possibilmente estirparle, qualunque nome abbiano.

Allo studio dei nuovi nomi delle varianti del vaiolo delle scimmie ha lavorato un gruppo internazionale di esperti. L’Oms ha convocato virologi, studiosi di biologia evolutiva, rappresentanti di istituti di ricerca da tutto il pianeta i quali hanno riesaminato la filogenesi e la denominazione delle varianti del virus, ne hanno discusso caratteristiche ed evoluzione, differenze filogenetiche e cliniche, potenziali conseguenze sulla salute pubblica e sulla futura ricerca virologica ed evolutiva.

Gli esperti si sono quindi detti concordi sull’adozione dei nuovi nomi che, in linea con le attuali pratiche di denominazione “politicamente corrette”, le identificano con numeri romani. Hanno inoltre convenuto che si utilizzino lettere dell’alfabeto latino minuscole per le eventuali sottovarianti. L’attività degli studiosi è stata seguita da un sottocomitato ad hoc dell’International Committee on the Taxonomy of Viruses, organo incaricato di scegliere i nomi dei virus.

Presso questo comitato, assicura l’Oms, è già in corso il processo per stabilire come chiamare il virus. Modificare il nome delle malattie invece è compito diretto dell’Oms, che lo affida allo WHO-FIC, acronimo di International Classification of Diseases and the Who Family of International Health Related Classifications. Nel caso del vaiolo delle scimmie, l’Oms ha anche aperto una consultazione pubblica: chiunque lo desideri può proporre dei nuovi termini collegandosi in rete con la Proposal Platform messa a disposizione dall’agenzia.

L’importante è incolpare l’Occidente

Che l’Oms abbia deciso di soddisfare le richieste dei difensori delle categorie a loro dire offese dal nome dato al virus del vaiolo delle scimmie non stupisce. Le Nazioni Unite da decenni assecondano ogni iniziativa volta ad accusare di qualche misfatto i bianchi, l’Occidente, i Paesi industrializzati.

Di recente il presidente dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus si è lamentato più volte del fatto che i donatori internazionali – e quelli più generosi, e spesso gli unici, sono Stati Uniti, Unione europea e Paesi occidentali – siano solerti nel finanziare aiuti alla popolazione ucraina più che alle vittime della carestia che ha colpito i Paesi del Corno d’Africa, in particolare la Somalia e l’Etiopia.

Ad aprile, nel corso di una riunione si era retoricamente domandato se “le vite nere e bianche” abbiano lo stesso valore quando si verifica una emergenza umanitaria. “Forse il motivo del minore interesse per le popolazioni africane alla fame è il colore della pelle”, ha ribadito durante una conferenza stampa lo scorso 17 agosto. Nella stessa occasione il direttore dell’Oms per le emergenze Mike Ryan ha aggiunto: “sembra che tutti se ne freghino di quel che sta succedendo nel Corno d’Africa”.

Parlano a torto Ghebreyesus e Ryan, e lo sanno, almeno per quel che riguarda l’Unione europea e i suoi Paesi membri che assistono costantemente le popolazioni del Corno d’Africa in difficoltà. Dal 6 luglio è iniziato un ponte aereo organizzato e finanziato dall’Ue per portare generi di prima necessità in Somalia.

L’Etiopia dal 2021 riceve aiuti alimentari e sanitari dall’Ue per decine di milioni di euro. Il problema è piuttosto riuscire a far arrivare gli aiuti a destinazione, soprattutto in Etiopia dove ancora si combatte.

Tornando alle malattie, all’Oms ci sarà molto da lavorare se davvero intendono cambiare tutti i nomi di virus e malattie “offensivi”. Il solo Ebola, chiamato così dal nome di un fiume della Repubblica democratica del Congo, ha sei varianti note, tutte da rinominare.

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