L'intervista

Price cap inapplicabile, la sciagura è l’integralismo green: intervista a Torlizzi

Gianclaudio Torlizzi ad Atlantico Quotidiano: stimoli e green dietro l’aumento dei prezzi. De-globalizzazione da percorrere. Alternativa russo-cinese al dollaro? Folklore

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Inflazione, rischi geopolitici presenti e futuri sul mercato globale delle materie prime, dipendenza da Russia e Cina, clamorosi autogol con le politiche green. Ne abbiamo parlato con Gianclaudio Torlizzi, esperto di materie prime, fondatore di T-Commodity ed autore di “Materia rara. Come la pandemia e il green deal hanno stravolto il mercato delle materie prime” (Guerini e Associati).

Stimoli e politiche green alla base dei rincari

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: L’aumento dei prezzi dell’energia, in particolare quello del gas, si era già manifestato mesi prima dello scoppio della guerra in Ucraina e dell’adozione delle sanzioni occidentali. Quali sono le sue cause strutturali: speculazione o crisi dell’offerta? Che peso hanno le politiche green?

GIANCLAUDIO TORLIZZI: Parlare di speculazione equivale a parlare del nulla, dato che essa è una parte strutturale del mercato. Fa sorridere che se ne dibatta solo quando i prezzi sono in aumento e mai quando calano.

Il comparto delle materie prime è stato investito, nel periodo 2011-2020, da una “speculazione ribassista” che ha speculato al ribasso sui prezzi ed è una delle cause per cui si registrano carenze strutturali sul piano dell’offerta, dovute al basso numero di investimenti intrapresi dalle aziende energetiche. Pertanto, chi dibatte di speculazione in questa fase non ha alcuna conoscenza delle dinamiche di mercato.

Nel mio libro “Materia rara”, pubblicato nel novembre 2021, ho provato a descrivere gli elementi strutturali che hanno comportato il rialzo del prezzo dell’intero comparto delle materie prime: in primis, la massiccia dose di stimoli monetari e fiscali implementati da Usa ed Ue.

L’attuale amministrazione Biden, nella speranza di ottenere un buon risultato elettorale alle elezioni di midterm, ha utilizzato il pretesto pandemico per inondare l’economia statunitense e quella globale di immense dosi di liquidità che l’offerta non era in grado di assorbire.

Il secondo elemento è collegato alla bassa propensione agli investimenti in capacità produttiva da parte delle major energetiche ed è quello delle politiche climatiche, che svolgono un ruolo di primo piano nel disincentivare le aziende dall’intraprendere investimenti.

Tuttavia, se pure il comparto aziendale volesse provare ad investire attualmente sarebbe impossibilitato a farlo, dato che nell’immaginario collettivo un’azienda è etica solo se persegue istanze green.

È qui che si concentra la principale urgenza sul piano economico: riformare le politiche climatiche attraverso l’impegno dello stato, che deve tornare ad assumere un ruolo nell’estrazione di materie prime e beni energetici tale da compensare le falle di un mercato che persegue una dannosa strada ambientalista.

In alternativa, non ci saranno sostanziali allentamenti dei fenomeni inflazionistici, ma avremo soltanto fasi cicliche di raffreddamento dei prezzi che faranno sprofondare l’economia mondiale in recessione senza risolvere il problema.

TADF: Quali sono i meccanismi politici e finanziari dietro i disinvestimenti dalle fonti fossili e nucleari? Chi ha disinvestito e per quale ragione?

GT: Hanno disinvestito tutte le major energetiche, già a partire dal 2016 e proprio in concomitanza con il forte calo dei prezzi delle materie prime, dato che se il costo della materia è piuttosto basso non si ha convenienza ad investire perché il guadagno è minimo.

L’aspetto paradossale è che anche nella fase attuale in cui i prezzi si stanno stabilizzando non assistiamo all’aumento degli investimenti in capacità produttiva da parte delle aziende. Pertanto, la via d’uscita dalla crisi sarà difficile da trovare, dato che pur di non revisionare le politiche ambientaliste probabilmente si preferirà perseguire la deleteria strada intrapresa.

De-globalizzazione, costi e benefici

TADF: In primis il Covid, poi la guerra in Ucraina e le sanzioni, hanno riportato in auge nel dibattito mediatico e politico il tema della “de-globalizzazione”. Dal suo punto di vista è un processo in atto? Se sì, che ruolo sta avendo nell’aumento dei prezzi?

GT: Il processo di de-globalizzazione è in atto già dallo scoppio della pandemia, dato che in quell’occasione ci siamo resi conto della debolezza del nostro sistema economico, basato sulle lunghe catene di fornitura e l’eccessiva dipendenza dall’Asia.

A mio avviso l’istanza di de-globalizzazione viene portata avanti dall’Occidente ed in particolare dagli Usa, che si sono resi conto del pericolo derivante dal vantaggio che la Cina ha tratto da essa.

TADF: Nel medio-lungo periodo riportare le produzioni in Occidente potrebbe portare dei benefici in termini occupazionali e strategici?

GT: Certo, è questa la strada percorrere. Tuttavia, è chiaro che il processo sarà lungo e che nel breve termine pensare di ristrutturare le catene di fornitura senza conseguenze che comportino l’aumento dell’inflazione è impossibile, soprattutto se si perseguiranno le politiche climatiche attuali.

Alternativa al dollaro? Folklore

TADF: Quanto è attuabile l’idea di Vladimir Putin di creare un nuovo sistema monetario internazionale che possa contrapporsi all’egemonia del dollaro Usa? Quali i possibili punti di forza e debolezza di questa proposta? Pechino è già pronta per una mossa strategica di questo genere?

GT: Le possibilità che il blocco dell’est riesca a creare un sistema monetario alternativo sono quasi inesistenti. È una mossa folkloristica che affascina parecchio i filo-putiniani europei, senza però una fattibilità reale.

L’alternativa al sistema del dollaro non può essere una partnership russo-cinese, nonostante si possa correre il rischio di dover fronteggiare tale evenienza, se l’Occidente proseguirà con le sue politiche contraddittorie.

Tuttavia, il sistema dell’Eurodollaro fa da riferimento per i mercati finanziari globali, soprattutto per quello del credito. Nel caso in cui Russia e Cina non dovessero più avere alcun accesso a tale sistema finirebbero prive di prospettive finanziarie di medio-lungo termine.

Ritengo stiano giocando la propria partita sul piano tattico provando a disarticolare l’unità dell’Occidente, sfruttando il comparto di materie prime e migrazioni. Mosca utilizza il gas ed il grano come armi geostrategiche, provocando deficit nel mercato energetico ed alimentare globale.

Pechino probabilmente perseguirà la stessa strada quando deciderà di agire militarmente su Taiwan, dato che è detentrice di una quota predominante dei metalli che le garantisce la possibilità di applicare simili ricatti nel breve termine.

Price cap inapplicabile

TADF: In caso di mancato ridimensionamento della transizione ecologica e delle politiche green rischieremmo di passare dalla dipendenza russa a quella cinese, sul piano di materie prime e pannelli solari?

GT: Purtroppo sì e questo è un altro rischio di carattere strategico che dovremmo valutare attentamente, cosa che i turbo-ambientalisti non fanno affatto.

La problematica principale è dovuta alla scarsa conoscenza generale del comparto delle materie prime, dato che fino ad un anno fa eravamo in pochi a studiarne i fenomeni, l’andamento e la complessità. Pertanto, sul piano governativo europeo non ci sono esperti del settore capaci di valutarne lo status.

Ad esempio, l’attuale dibattito sul price cap, il tetto al prezzo del gas, è emblematico di tale incompetenza: qualsiasi esperto di materie prime potrebbe affermare che il tetto al prezzo del gas per come pensato è assolutamente inapplicabile.

Stiamo reagendo alla crisi in maniera totalmente inadatta, sottovalutando i rischi di una dipendenza da Pechino che nei prossimi anni potrebbe dare vita ad una vera e propria “diplomazia del green”.

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