Esteri

Processo a Israele, il mondo al contrario delle Nazioni Unite

Dal Sudafrica una scelta di campo anti-occidentale, non ha mai mosso un dito per i genocidi in Africa. Funzionari, agenzie e segretario Onu contro Israele

Sudafrica Israele genocidio (UN tv)

In un mondo giusto non succede che si processino le vittime di un crimine. Nel nostro mondo sì. All’Aja, alla Corte internazionale di giustizia (CIG) delle Nazioni Unite, l’imputato è Israele, accusato dal Sudafrica di genocidio. Per l’esattezza la denuncia, contenuta in un documento di 84 pagine depositato il 29 dicembre, è di “atti e omissioni genocide”, perché “intese a provocare la distruzione di una parte consistente del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese”.

Il Sudafrica inoltre chiede alla CIG di ordinare a Israele di sospendere tutte le azioni militari. I legali del Sudafrica sono stati ascoltati dalla Corte l’11 gennaio. Il 12 gennaio la parola è passata a quelli di Israele che hanno sostenuto l’assoluta falsità delle accuse.

Etiopia e Sudan

Che cosa abbia spinto il governo del Sudafrica a denunciare Israele è facile capirlo, per esclusione. Non è stato un sentimento di orrore per quel che sta succedendo a Gaza. Se no, avrebbe intrapreso prima passi analoghi, per denunciare situazioni infinitamente più gravi. Tra il 2020 e il 2022 in Etiopia la guerra tra il governo e i tigrini decisi a rovesciarlo ha provocato in due anni 600.000 morti e ha privato dei mezzi di sussistenza più di cinque milioni di persone che tuttora dipendono dagli aiuti internazionali per non morire di fame, malattie e stenti.

Il Sudan è in guerra dallo scorso aprile a causa della follia di due generali golpisti nemici, decisi entrambi a eliminare l’avversario. Il conflitto sta uccidendo decine di migliaia di civili. Più ancora che per gli scontri a fuoco e i bombardamenti la gente muore – di ferite, malattie, denutrizione – perché abbandonata a se stessa, perché mancano servizi, approvvigionamenti: molti ospedali, ad esempio, sono chiusi o comunque sprovvisti di medicinali e personale. I due generali non se ne curano, neanche acconsentono all’apertura di corridoi umanitari per raggiungere chi ha bisogno di aiuto o prelevare e portare al sicuro chi è in pericolo.

Per queste e per altre situazioni drammatiche il Sudafrica non ha mai mosso un dito. A indurlo a rivolgersi all’Aja non può essere stata neanche la volontà di fare qualcosa di utile, la convinzione di poter dare un contributo concreto al cessate-il-fuoco.

Le accuse

“Il Sudafrica – ha dichiarato il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa nel comunicato con cui ha spiegato la decisione del suo governo di rivolgersi alla CIG – è seriamente preoccupato per la difficile situazione dei civili coinvolti negli attuali attacchi israeliani alla Striscia di Gaza, dovuti all’uso indiscriminato della forza e all’allontanamento forzato degli abitanti. Inoltre, sono in corso segnalazioni di crimini internazionali, come crimini contro l’umanità e crimini di guerra, che vengono commessi, nonché segnalazioni di atti che sfiorano la soglia del genocidio o crimini correlati… che sono stati e potrebbero ancora essere commessi nel contesto dei massacri in corso a Gaza”. L’obiettivo del Sudafrica nel denunciare Israele, ha concluso, è stato “prevenire il verificarsi di un genocidio”.

La Corte

La CIG è stata istituita dopo la Seconda Guerra Mondiale per dirimere controversie tra Stati e dare pareri consultivi su questioni legali. Le sue sentenze sono definitive, senza appello e vincolanti per gli Stati membri, e sia Israele che il Sudafrica lo sono. Ma, e questo il Sudafrica lo sa bene, una sentenza definitiva in merito all’accusa di genocidio richiederà molto tempo, probabilmente diversi anni. La CIG potrebbe pronunciarsi più in fretta invece sulla richiesta a Israele di deporre le armi.

Tuttavia i giudici della Corte non dispongono di strumenti per far rispettare le loro sentenze, proprio come la Corte penale internazionale che emette mandati di cattura internazionali, ma non ha mezzi propri per farli eseguire. Nel 2022 la CIG aveva ordinato alla Russia di “sospendere immediatamente le operazioni militari” in Ucraina. Questo come sappiamo non ha fermato la Russia – e d’altra parte neanche il voto contrario all’invasione dell’Ucraina dell’Assemblea generale dell’Onu e la successiva sospensione della Russia dal Consiglio per i diritti umani.

Una scelta di campo

Escluse altre motivazioni, quella che rimane è che il Sudafrica, denunciando Israele, ha voluto confermare una sua scelta di campo, di schieramento, contro l’Occidente, contro il mondo libero di cui Israele è un avamposto, una enclave. Lo ha fatto nella convinzione di ricavarne vantaggi economici e politici. Tutto sommato è una mossa legittima da parte di uno stato sovrano che ha facoltà di decidere come muoversi sullo scacchiere internazionale secondo quanto ritiene essere il proprio interesse. Lo ha fatto anche quando la Russia ha invaso l’Ucraina, prima astenendosi dal votare in Assemblea generale Onu e poi intensificando i rapporti con Mosca.

I pregiudizi dell’Onu

Altra questione è se sono i dirigenti e i funzionari delle Nazioni Unite a schierarsi contro Israele. Francesca Albanese lo scorso anno è stata nominata dall’Onu relatrice speciale sulla Palestina nonostante o, meglio, si direbbe proprio perché in passato ha più volte accusato Israele di genocidio e crimini di guerra. Di recente ha dichiarato che Israele sta compiendo crimini contro l’umanità e attuando una pulizia etnica. Ne parlerà nel suo prossimo rapporto che sarà diffuso a marzo.

L’Unrwa, l’agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei palestinesi, non riconosce Hamas come gruppo terrorista. Nei giorni scorsi i servizi segreti israeliani hanno detto che dei dipendenti dell’agenzia hanno partecipato all’attacco a Israele del 7 ottobre e secondo l’ong Un-Watch i messaggi interni scambiati su Telegram tra i dipendenti dell’Unrwa dimostrano un loro largo sostegno all’azione di Hamas. L’Unrwa è stata fondata nel 1948 e dal 1950 finanzia progetti per i rifugiati per miliardi di dollari, una parte dei quali, il 30 per cento secondo l’intelligence israeliana, finiscono nelle mani di Hamas. Il suo bilancio 2023 è di 1,745 miliardi di dollari.

Last but not least, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha fatto dichiarazioni che hanno scandalizzato e indotto Israele a chiederne le dimissioni. “Gli attacchi di Hamas a Israele non sono avvenuti nel vuoto. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione. I palestinesi hanno visto la loro terra costantemente divorata dagli insediamenti e tormentata dalla violenza; la loro economia soffocata; la loro gente sfollata e le loro case demolite. Le speranze di una soluzione politica alla loro situazione sono svanite”. Così si è espresso durante una sessione del Consiglio di Sicurezza, accusando Israele di “chiare violazioni del diritto umanitario internazionale”.

Sotto attacco

Nessuna pietà però per Israele sotto incessante attacco da quando esiste, che non compare sulle carte geografiche palestinesi, che l’Iran giura di voler cancellare dalla faccia della Terra (e a Teheran, in Piazza Palestina, un orologio scandisce il tempo che manca alla sua totale eliminazione); e infatti tutto – la denuncia alla CIG, le dichiarazioni ostili, le accuse, le manifestazioni pro-Palestina in tanti Paesi non solo islamici… – avviene mentre Hamas continua ad attaccare, a lanciare missili e a tenere in ostaggio decine di israeliani rapiti il 7 ottobre.

In un mondo giusto Israele sarebbe approvato e otterrebbe sostegno per sconfiggere definitivamente Hamas, come si è impegnato a fare, e come succede per Boko Haram e l’Iswap in Nigeria, al Shabaab in Somalia, Abu Sayyaf nelle Filippine, Jemaah Islamiyah in Indonesia e per tutti i gruppi jihadisti che infestano il pianeta.