Da San Pietroburgo, davanti a una platea ridotta e teoricamente amichevole, Vladimir Putin annuncia “la fine dell’ordine unipolare guidato dagli Stati Uniti”. Ma le sue parole assomigliano più a un disco rotto che a una dichiarazione d’intenti, nel mezzo di una guerra che non riesce a vincere e non può perdere.
Un solco tra Kiev e Mosca
Ieri Volodymyr Zelensky ha accolto a Kiev i mandatari di Francia, Italia e Germania e ha incassato le porte aperte dell’Unione europea. Ben più di quel trattato di associazione che il Cremlino impose al filo-russo Viktor Yanukovich di rinnegare, scatenando la rivolta civile dell’Euromaidan.
La sbandierata “operazione speciale” ha separato irrimediabilmente l’Ucraina da Mosca. Inutile che Putin faccia sapere di “voler ristabilire relazioni diplomatiche con Kiev nel futuro”, la sua parola vale ormai quanto le radiocassette che i soldati dell’Armata russa si portano dietro nei carri armati.
“Apprezziamo le iniziative del presidente francese Macron”, ha fatto sapere il portavoce del Cremlino Peskov ai giornalisti proprio mentre l’Eliseo si allontana, altro segnale di debolezza degli invasori. La Russia ha bisogno di amici ma si ritrova isolata, nonostante le contraddizioni dell’Occidente.
Nemmeno i suoi spalleggiano il boss sempre più solo, perfino il kazhako Kassym-Jomart Tokaev gli ha detto dritto in faccia che non riconosce le repubbliche fantoccio del Donbass, né le altre appendici che Putin è andato assicurandosi negli ultimi anni grazie alla sostanziale indifferenza del resto del mondo.
Il mondo è cambiato
Ma le cose oggi vanno un po’ diversamente, anche se le democrazie hanno il braccino corto per definizione, fino a quando non sono tirate dentro a forza. “Il mondo è cambiato”, ha tuonato uno zar sempre più gonfio e insicuro, il problema è che non sta cambiando come lui vorrebbe.
Dalla Cina buoni propositi ma nessun aiuto concreto, a Pechino stanno aspettando il momento opportuno per fare di Mosca un sol boccone, se mai si presenterà l’occasione.
Le sanzioni fanno male
Le sanzioni impongono sacrifici anche a chi le commina, si sa, ma alla Russia stanno facendo male. Ne parla per mezz’ora l’unto del destino, contraddicendosi in continuazione: prima le definisce “senza precedenti, folli e sconsiderate”, poi le liquida come “destinate a fallire, controproducenti per chi le ha imposte”.
Denuncia il tentativo di “ridurre la Russia all’autarchia”, i “ricatti coloniali” dell’Occidente, spiega che il Paese è forte, continuerà ad “aprirsi al mondo” ma contemporaneamente invita l’uditorio a mantenere i capitali all’interno, dove saranno più al sicuro. Non esattamente il discorso di un leader a cui il castigo economico stia facendo il solletico.
Si dica quel che si vuole ma alla Russia resta solo l’arma dei gasdotti verso l’Europa. Se si chiude quel flusso, presto o tardi sarà bancarotta. Non vi sono altre economie capaci di assorbirlo, Putin lo sa perfettamente, per quello minaccia, gioca con le interruzioni, fa la voce grossa.
Sanzioni costose ma necessarie
Vuol vedere fin dove siamo capaci di arrivare perché, se mai un giorno ci arriveremo, per lui e la sua mafia di Stato sarà davvero finita. Per quello non bisogna mollare sulle sanzioni, imperfette, problematiche ma necessarie. Oltretutto senza alternative se non si vuole la guerra aperta (e nessuno la vuole, no?).
Il costo economico sarà alto anche per noi? Probabile. Ma non si può lasciar passare questa violazione flagrante dell’ordine internazionale al centro del continente più importante e conteso del pianeta. La questione strategica per il momento vince la partita sul dilemma economico, le sanzioni sono un messaggio politico, non un semplice calcolo di convenienza.
Tra l’aumento dei prezzi e la resa di fronte alle ambizioni egemoniche della Russia, le democrazie liberali non hanno alternativa: devono scegliere la prima opzione, per quanto dolorosa, puntare sul logoramento dell’offensiva russa e del regime putiniano.
Johnson a Kiev
Serve fermezza, come quella dimostrata da Boris Johnson, alla sua terza visita a Kiev in pochi mesi, giusto il giorno dopo la missione tripartita Ue: “La mia visita di oggi, nel mezzo di questa guerra ha lo scopo di inviare un messaggio chiaro e semplice al popolo ucraino: la Gran Bretagna è con voi e saremo con voi fino a quando non otterrete la vittoria finale”. Non è difficile, in fondo.