Dal 24 febbraio scorso ad oggi la situazione in Ucraina continua ad apparire poco chiara, a prescindere dai progressi rivendicati, o dagli insuccessi patiti quotidianamente, sia da parte di Kiev che da parte di Mosca. Fin dal primo momento vi sono stati un aggressore palese e un aggredito altrettanto indiscutibile, e nulla è cambiato finora.
Tuttavia, in questi mesi c’è chi ha spaccato il capello in quattro anche sulle ovvietà, attribuendo intenzioni pericolose non a chi ha mosso i carri armati per primo, bensì a coloro i quali stanno provando a difendersi da una invasione illegale ed ingiustificata. Viva il libero pensiero, il dubbio e il dibattito sganciato dai condizionamenti dei media mainstream, ma non si può nemmeno negare l’evidenza.
Uno più uno fa sempre due e nessuno, per quanti sforzi vengano profusi, può metterlo in discussione. Ci sono poi gli impazienti che non vedono l’ora di iniziare a negoziare con Mosca e di allentare gli aiuti all’Ucraina.
Tutti vogliamo la pace il prima possibile e, naturalmente, per raggiungerla occorre sedersi al tavolo con il nemico, ma bisogna che questi lo voglia davvero ed abbia dato prima ordine ai suoi di cessare ogni tipo di ostilità militare, altrimenti si è soltanto in presenza di un esercizio masochistico, oppure di complicità con il fronte avverso.
A Mosca conviene prolungare il conflitto
Il nemico vuole la pace? Per il momento non sembra, sia a giudicare dai fatti, l’assedio dell’esercito russo prosegue, che a leggere le parole di uomini di primissimo piano del regime putiniano come Dmitrij Medvedev.
Qualcuno ritiene che solo all’America di Joe Biden convenga un conflitto lungo e logorante, e corrisponderebbe soltanto all’interesse Usa l’aiuto militare occidentale fornito al governo ucraino di Volodymyr Zelensky.
Abbiamo ascoltato e letto anche questo, ma, soprattutto ad oggi, pare che sia proprio la Russia, una volta digerito lo smacco della mancata caduta di Kiev e del fallimento della cosiddetta “operazione speciale”, che avrebbe dovuto essere rapida, la prima a perseguire una guerra dai tempi indefiniti e l’ultima a volere la pace.
Il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov dice che il tango si balla in due, attribuendo all’Ucraina l’indisponibilità al negoziato, ma sembra che sia proprio il Cremlino a non volersi misurare nella pista da ballo della distensione.
Una guerra prolungata permette a Putin di confidare in uno sfilacciamento progressivo dell’unità occidentale, un processo già in atto, con gli europei che ad un certo punto si stancheranno di fare sacrifici sul fronte energetico e di supportare, economicamente e militarmente, l’Ucraina.
La fatwa anti-occidentale di Medvedev
Le orribili dichiarazioni di Medvedev, che sono andate ben oltre persino i toni solitamente minacciosi di Vladimir Putin, hanno mostrato al mondo intero che le intenzioni russe sono al momento tutt’altro che pacifiche. E Medvedev non è proprio l’ultima ruota del carro in Russia, né può essere paragonato a quei giornalisti della televisione russa che sono più realisti del re.
Quest’uomo è stato primo ministro e presidente della Federazione russa, in una sorta di staffetta con Putin, ed ora ricopre il ruolo di vicepresidente del Consiglio di sicurezza. È stato considerato per anni il delfino di Putin e si sostiene che la sua “fatwa” anti-occidentale rappresenti perlopiù un messaggio per il popolo russo, al fine di tornare al centro della scena dopo anni trascorsi in penombra.
In ogni caso, Medvedev non è stato finora sconfessato dal Cremlino e le sue parole potrebbero benissimo essere un avvertimento rivolto unicamente all’Occidente: chi pensa di disarcionare in qualche modo Putin, sappia fin d’ora che la Russia non muterà il proprio atteggiamento in Ucraina e nel mondo, anche nel caso di un cambio di regime. Semmai, diventerà ancora più dura e temibile.
L’ex presidente russo, dicevamo, è andato ben oltre Putin perché, dicendo di “odiare” gli occidentali, di considerarli “bastardi, degenerati” ed altro ancora, e di auspicare la loro “scomparsa dalla faccia della Terra”, non ha attaccato e intimidito i governi europei e quello di Washington, bensì ha lanciato un messaggio di odio verso una parte della popolazione mondiale e il suo modo di vivere.
Joe Biden, quando ha definito Putin un criminale e un assassino, è stato rimproverato da alcuni alleati europei, primo fra tutti Emmanuel Macron, ma il presidente Usa si è ben guardato dal cedere a generalizzazioni oscene su tutta la Russia e il suo popolo.
Da Mosca sono giunte proteste, indirizzate in particolare all’Italia, circa una presunta campagna di odio antirussa, ma qui, nel resto d’Europa e negli Stati Uniti non si prova alcun livore verso l’identità, la cultura e i popoli della Federazione russa.
C’è la stigmatizzazione del comportamento di un’autocrazia quale è quella di Vladimir Putin, ma questo è un altro discorso. Invece, il braccio destro di Putin si fa interprete di posizioni che finora erano state espresse solo dall’integralismo islamico e dagli estremisti palestinesi, che declamano la loro volontà cancellare Israele dalle carte geografiche.