Ha destato molta sorpresa l’annuncio del Ministero degli esteri indiano, poi confermato da Pechino, che le truppe indiane e cinesi si ritireranno dall’area contesa di Gogra-Hot Springs. L’area si trova nella regione indiana del Ladakh, ma Pechino l’ha sempre rivendicata come propria.
Il territorio è situato nell’Himalaya occidentale, e da anni è teatro di scontri sanguinosi tra gli eserciti dei due Paesi. Scontri combattuti all’arma bianca, spesso con bastoni e mazze ferrate, per la proibizione di utilizzare armi da fuoco.
Molti i caduti da entrambe le parti, anche se Pechino e New Delhi hanno sempre rifiutato di fornire cifre precise al riguardo. Uno dei tanti segnali che rimarcano la storica ostilità tra i due colossi asiatici.
Riposizionamento indiano
Importante notare che la notizia indica un possibile riposizionamento dell’India nello scenario internazionale. Sin dai tempi di Nehru e Mao Zedong i due Paesi sono stati avversari, con gli indiani sempre vicini ai russi per contrastare il potente vicino.
Ora il premier nazionalista indù Narendra Modi sta forse cambiando strategia. Il lungo stato di semi-guerra con Pechino può sembrargli meno importante della possibilità di isolare l’Occidente mediante il rafforzamento dell’alleanza dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), strategia che stanno cercando di attuare Vladimir Putin e Xi Jinping.
In realtà, il gruppo dei BRICS non è compatto come sembra, anche perché ognuno dei cinque membri sta attraversando un difficile momento economico. Occorre inoltre rammentare che, contemporaneamente, la Federazione Indiana fa parte dell’alleanza informale “QUAD” (Dialogo quadrilaterale di sicurezza) assieme a Stati Uniti, Giappone e Australia, fondata nel 2017 per frenare l’espansionismo cinese nell’area dell’Indo-Pacifico.
E, da quanto sembra, Modi non considera affatto incompatibile l’adesione a due alleanze così diverse. Tuttavia, i rapporti non ottimali con Joe Biden (mentre erano buoni quelli con Donald Trump), e la diffusa percezione dell’attuale debolezza occidentale, spingono il leader indiano a battere più strade, esattamente come sta facendo il premier turco Erdogan.
Il fatto che le due nazioni più popolose del mondo raggiungano un accordo per far cessare ostilità che durano da decenni è di per sé molto significativo, e conferma che si potrebbe presto passare a un ordine mondiale diverso dal precedente, che era sostanzialmente a guida americana. Nulla, però, può essere considerato certo.
Modi sta praticando una politica sfacciatamente favorevole alla maggioranza indù, perseguitando le altre fedi religiose. In particolare i musulmani, che rappresentano il 15 per cento della popolazione, terza comunità islamica nel mondo dopo l’Indonesia e il Pakistan.
Si tratta di capire quanto siano forti le sue pulsioni anti-occidentali, visto che la Cina resta pur sempre un avversario strategico e che la Russia di Putin viene guardata con sospetto. Modi ha esortato con forza il capo del Cremlino a non utilizzare armi atomiche (d’accordo, almeno in questo caso, con Xi).
L’eterna incompiuta
Senza alcun dubbio dal punto di vista economico la Federazione Indiana è diventata un gigante, con un Pil che da tempo ha superato quello degli ex dominatori britannici. Nonostante le tentazioni autoritarie di Modi, inoltre, è rimasta una democrazia in cui si svolgono elezioni regolari.
Dopo una fase iniziale di stampo liberista, l’attuale premier è tornato a politiche più stataliste senza tuttavia mettere in crisi le regole fondamentali del mercato. Alcuni analisti hanno notato che l’India resta una “eterna incompiuta”, anche se può vantare numerose eccellenze nei campi delle infrastrutture, dell’istruzione superiore e dell’innovazione tecnologica.
Interesse degli Stati Uniti – e dell’Occidente in genere – è far sì che non si avvicini troppo alle autocrazie, giacché un ordine mondiale dominato da Cina e Russia non gioverebbe ai suoi interessi. Londra mantiene nel Paese una certa influenza, e converrebbe a Joe Biden praticare una politica di incentivi economici in grado di contrastare le tentazioni terzomondiste presenti nel partito di Narendra Modi.