Esteri

Regime iraniano alla disperata caccia di dollari. E inguaia l’Iraq

Teheran ha bisogno di dollari e l’Iraq è il canale principale per ottenere “valuta forte”. Strategia su tre pilastri: esportazioni, contrabbando e collaborazioni militari

cargo bandiera iran © landbysea e ronniechua tramite Canva.com

In un contesto di sanzioni internazionali sempre più stringenti, il regime iraniano è in una disperata caccia ai dollari, la valuta che garantisce ossigeno alla sua economia. Il suo vicino, l’Iraq, è diventato il principale canale per accedere a questa risorsa cruciale.

Attraverso esportazioni, contrabbando, società fittizie e transazioni bancarie opache, Teheran sfrutta la posizione strategica di Baghdad per aggirare le restrizioni imposte dagli Stati Uniti. Ma questa dinamica grava pesantemente sull’Iraq, che subisce svalutazioni, instabilità economica e pressioni internazionali.

Economia sotto pressione

L’Iran vive una crisi economica profonda, iniziata con le sanzioni imposte dagli Stati Uniti nel 1979. Da allora, l’embargo si è intensificato, colpendo soprattutto il settore nucleare e il sostegno iraniano a gruppi armati. L’inclusione nella lista nera del Financial Action Task Force (FATF) nel 2019 ha ulteriormente isolato il Paese, limitandone i commerci e l’accesso ai mercati finanziari globali.

Oggi, un dollaro vale circa 8 milioni di toman, la moneta usata quotidianamente in Iran. La svalutazione ha portato ad una inflazione senza controllo, aumento della povertà e un sistema economico che si regge sempre più sul contrabbando e su pratiche opache.

Un mix di traffici per assicurarsi valuta forte

Per ottenere dollari, Teheran ha sviluppato una rete complessa di relazioni economiche e illecite con l’Iraq. La strategia si basa su tre pilastri: esportazioni, contrabbando e collaborazioni militari. In pratica, l’Iran, attraverso alleati locali e strategie ben collaudate, sfrutta le sovvenzioni irachene sul carburante per acquistare petrolio a basso costo e rivenderlo sul mercato nero.

Secondo l’economista Kawa Abdel Aziz, intervistato da al-Hurra (canale televisivo finanziato dagli Stati Uniti che trasmette in arabo), tra i metodi adottati dall’Iran vi è “la creazione di numerose entità e società fittizie in Iraq, coinvolte nel ritirare grandi quantità di dollari attraverso alcune banche che trattano con la Banca Centrale dell’Iraq, per poi trasferirli in Iran”. Questa questione ha spinto gli Stati Uniti, nel 2023, a imporre sanzioni ad alcune banche irachene.

L’Iran ha aumentato in questi anni le sue esportazioni non petrolifere verso l’Iraq, raggiungendo un volume di scambi pari a 10 miliardi di dollari. L’ambasciatore iracheno a Teheran, Naseer Abdul Mohsen, ha dichiarato nel settembre 2024 che gli scambi commerciali tra i due Paesi hanno superato i 10 miliardi di dollari, prevedendo che questa cifra salirà a 20 miliardi entro la fine dell’anno.

Questo grande volume di scambi ha creato problemi per l’Iraq. L’Iran, infatti, “non accetta vendite in valuta irachena e iraniana, ma piuttosto le vuole in dollari”, ha spiegato ad al-Hurra un altro economista, Ali Mahdi, sottolineando che “questa situazione ha spinto i commercianti a ricorrere al mercato nero per assicurarsi valuta forte”.

Altri metodi per aggirare le sanzioni

Ali Mahdi ha evidenziato un ulteriore metodo adottato dall’Iran per ottenere dollari: l’esportazione di gas in Iraq, che ha permesso di generare 800 megawatt di elettricità. Questo processo ha consentito di risparmiare valuta forte, grazie a un’eccezione concessa dagli Stati Uniti per il pagamento di importi destinati esclusivamente a scopi umanitari.

Con oltre 20 valichi di frontiera, molti dei quali non regolamentati, l’Iran ha istituito un sistema di contrabbando ben oliato. Questi punti servono per esportare petrolio e carburanti sovvenzionati dall’Iraq, generando miliardi di dollari. Inoltre, attraverso questi canali, transita la valuta forte necessaria a Teheran per sostenere le sue operazioni interne ed esterne. Questo schema non solo alimenta le casse di Teheran, ma finanzia anche gruppi armati e operazioni che estendono l’influenza iraniana nella regione.

Armi a terroristi in cambio di dollari

L’Iran ha utilizzato il territorio iracheno per transazioni non ufficiali che coinvolgono anche gruppi armati in Iraq, Yemen, Siria e Libano. Questi accordi includono la vendita di armi e l’assistenza tecnica per operazioni militari.

Un esempio significativo è la fornitura di droni alla Russia, che ha fruttato a Teheran milioni di dollari. In parallelo, l’Iran ha creato società fittizie in Iraq, utilizzando banche locali per spostare grandi quantità di dollari verso Teheran. Questo meccanismo ha indotto gli Stati Uniti a imporre sanzioni a numerose istituzioni finanziarie irachene e a esercitare pressioni sul governo di Baghdad.

Iraq fuori dal WTO

Per Baghdad, la pressione economica è palpabile. Il dinaro iracheno ha subito pesanti svalutazioni a causa della fuga di dollari verso l’Iran, mentre l’inflazione interna continua a crescere. Il mercato nero della valuta è in espansione, spinto dalla domanda di dollari per il commercio bilaterale.

Le manovre iraniane non sono senza conseguenze per l’Iraq. Per garantire la propria sicurezza energetica, l’Iraq ha cercato soluzioni creative, come l’accordo di baratto con l’Iran: petrolio greggio in cambio di gas naturale. Tuttavia, anche queste transazioni si scontrano con le complessità delle sanzioni, rendendo ogni passo un rischio politico e diplomatico.

Il governatore della Banca Centrale irachena, Ali al-Alaq, ha dichiarato che è in corso una ristrutturazione del sistema bancario per bloccare le pratiche illecite, ma la strada è lunga. L’Iraq, inoltre, non essendo membro dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), fatica a proteggere i propri mercati dall’invasione di beni iraniani a basso costo, che mettono in crisi l’economia locale. Nell’attuale tsunami mediorientale, è imperativo mantenere almeno la stabilità -eufemismo – dell’Iraq. È costata già tanto.

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