Nella Repubblica Popolare è di nuovo tempo di “Lianghui” (“doppia sessione”), termine importante nella politica cinese che indica le riunioni del Congresso nazionale del Popolo, composto da 3.000 dirigenti del Partito comunista, e della Conferenza politica e consultiva, composta da circa 2.000 tra tecnocrati, intellettuali e imprenditori.
I nomi altisonanti non devono tuttavia ingannare. Le due assemblee, nonostante l’alto numero di partecipanti, sono chiamate solo a ratificare decisioni e linee strategiche già varate dai vertici del Partito, e in particolare dal Politburo. Dopo il trionfo di Xi Jinping nell’ultimo congresso (il XX), si accentua sempre più la prevalenza dell’ideologia su ogni altro aspetto della vita politica e sociale.
Il dominio del Partito comunista
In realtà i due organismi riflettono il completo dominio che il Partito comunista esercita sulla società del grande Paese asiatico. Dominio che non è mai venuto meno, neanche dopo le riforme economiche introdotte da Deng Xiaoping a partire dai tardi anni ’70 del secolo scorso, e miranti a contemperare l’economia pianificata con prudenti aperture al mercato e all’iniziativa privata.
Da allora la Cina è cambiata moltissimo, divenendo nel corso di alcuni decenni una potenza mondiale a tutti i livelli, in particolare in economia, nella politica internazionale e sul piano militare.
Tuttavia Deng e i suoi seguaci rifiutarono decisamente di seguire la strada di Gorbaciov. A loro avviso l’ultimo segretario del PCUS commise un errore fondamentale attenuando in più modi il controllo del Partito comunista sulla società.
Intrapresero quindi un sentiero diverso lasciando sì spazio all’arricchimento privato ma, al contempo, chiarendo senza ombra di dubbio che soltanto al partito spettava la direzione esclusiva del Paese.
Ne è derivato lo strano “socialismo di mercato” tuttora al potere nella RPC. E, dicendo potere si intende un potere assoluto, giustificato dai testi classici del marxismo-leninismo con alcune innovazioni derivanti dal pensiero di Mao Zedong.
“Democrazia” controllata
Il Congresso e la Conferenza dianzi citate appresentano al meglio la declinazione concreta di tale potere. Entrambi gli organismi salvano, per così dire, la democrazia dal punto di vista formale poiché i rappresentanti sono eletti, fermo restando che l’elezione è strettamente controllata da un partito unico al quale nulla sfugge. Non mancano – come accadeva nell’Urss e nei suoi Paesi satelliti – formazioni politiche dal nome diverso; le quali, però, seguono fedelmente la linea dettata a Pechino dal Politburo.
Nell’anno in corso il Congresso del Partito si è già svolto e il nuovo Politburo è già stato nominato. Xi lo ha riempito di suoi fedelissimi e non si attendono quindi sorprese. Dopo aver ottenuto il terzo mandato come segretario del Partito, Xi Jinping ha pure avuto il terzo mandato come presidente della Repubblica.
Il rilancio dell’economia
Saldamente insediato al vertice del potere, dovrà ora affrontare alcune questioni spinose. Per esempio il rilancio dell’economia, che ha avuto una battuta d’arresto a causa dei continui lockdown totali per contenere la pandemia. Tale politica, però, non ha raggiunto i risultati sperati e ora la morsa si è allentata.
Gli analisti prevedono che il Pil riprenderà a crescere ai ritmi usuali, quindi intorno al 5 per cento annuo, dopo che nell’ultimo periodo era cresciuto molto meno sempre a causa del Covid.
L’asse con Mosca
Altra questione cruciale è la politica estera. Prima del Congresso erano emerse perplessità circa l’alleanza “senza limiti” con la Russia di Vladimir Putin. Xi ha tuttavia silenziato le critiche, pur senza fornire all’alleato aiuti militari sostanziali. L’asse con Mosca è importante per Xi, poiché gli consente di continuare a perseguire un nuovo ordine mondiale e, in prospettiva, di diminuire – o addirittura eliminare – l’influenza Usa in Asia.
Il nuovo premier
Dopo il pensionamento del precedente premier Li Keqiang, più giovane di lui ma non abbastanza fedele alla sua linea, Xi ha ora un nuovo primo ministro. Si tratta del 63enne Li Qiang, già segretario del Partito a Shanghai.
Li dovrà da un lato varare riforme strutturali nel settore finanziario e recuperare la fiducia degli ambienti internazionali nell’economia cinese e, dall’altro, rafforzare il controllo del Partito su ogni aspetto della vita economica e finanziaria.
Indubbiamente il Partito comunista cinese ha recuperato i suoi tratti marxisti-leninisti originari, rivalutando ancor più il pensiero di Mao Zedong. Al contempo cerca di contemperare le esigenze dell’ideologia con quelle dell’economia. Una sfida assai difficile, nella quale la nuova dirigenza voluta da Xi sembra molto impegnata.
Taiwan
Resta, sullo sfondo, il nodo di Taiwan, sul quale Xi e i suoi non sembrano disposti a transigere. E proprio nello Stretto di Formosa si giocherà la partita decisiva.
Il “nuovo imperatore” della Cina ricorre anche alle provocazioni (come quella dei palloni in volo sui cieli Usa) per verificare se, e fino a che punto, Joe Biden e la sua amministrazione siano davvero disposti a difendere l’isola. Insomma una partita aperta, in cui l’America e l’Occidente devono giocare bene le loro carte.