Avremmo qualche buona ragione noi italiani per cedere alla tentazione di sogghignare per le disgrazie del presidente francese Emmanuel Macron, alle prese con la più imponente e violenta sommossa che si ricordi nel Paese dalla crisi algerina, da far impallidire il Maggio ’68.
Ricordiamo tutti le parole del ministro per gli Affari europei del governo francese, Laurence Boone, a pochi giorni dalla vittoria del centrodestra alle elezioni del 25 settembre scorso: “Vogliamo lavorare con Roma ma vigileremo sul rispetto dei diritti in Italia“. Oppure, più di recente, le critiche del ministro dell’interno Gérald Darmanin al governo Meloni, “incapace di gestire i problemi migratori”.
E siamo consapevoli che se qualcosa del genere fosse capitato oggi in Italia, sotto un governo di centrodestra, al Consiglio europeo dei giorni scorsi non si sarebbe parlato d’altro e Giorgia Meloni avrebbe passato come minimo una settimana a dare spiegazioni, inseguita dalle copertine di condanna dell’Economist e Der Spiegel, e dalle minacce di sanzioni della Commissione europea, con l’Italia a far compagnia a Ungheria e Polonia.
Ma limitarsi al sarcasmo sarebbe un tragico errore. Quello che sta avvenendo in questi giorni in Francia è per Macron e i suoi ministri la più classica delle nemesi, ma è talmente enorme e inquietante che ci richiama ad uno sforzo in più. Soprattutto, è un severo monito per tutti noi, guai a sottovalutarlo, a non analizzarlo e a non trarne le dovute lezioni.
Le immagini di devastazioni, incendi e saccheggi di luoghi pubblici come municipi, biblioteche, scuole, stazioni di polizia, o privati come negozi, centri commerciali e auto, sono impressionanti. Come impressionanti sono i numeri degli arresti (quasi un migliaio ormai), dei feriti (centinaia) e dei poliziotti impiegati (45 mila). In alcuni filmati si vedono rivoltosi armati di fucili e aggressioni ai bianchi. Armi da guerra e blindati nelle città francesi, forse presto l’esercito.
Analogie con gli Usa
Le analogie con le rivolte negli Stati Uniti nella primavera-estate del 2020 per la morte dell’afroamericano George Floyd sono evidenti. Identica la dinamica. Anche in questo caso la scintilla, o meglio il pretesto, è l’uccisione di un giovane di origini nordafricane, Nahel M., a Nanterre, nell’hinterland parigino, per aver forzato un posto di blocco. Già noto alle forze dell’ordine, nonostante la giovanissima età aveva alle spalle numerosi arresti per reati vari, tra cui spaccio di droga e resistenza a pubblico ufficiale.
Le circostanza della sua uccisione andrà naturalmente accertata e il poliziotto che ha sparato è già agli arresti con l’accusa di omicidio. Ma non può certo giustificare una violenza come quella cui stiamo assistendo, che per rapidità, organizzazione ed estensione sembra preparata da tempo da gruppi strutturati, in attesa solo di un pretesto per accendersi. Esattamente come Antifa e Black Lives Matter nelle città americane nel 2020.
L’imbarazzo dei media
Solo che allora veniva facile per i media mainstream presentare quelle rivolte (“per lo più pacifiche”, come recitava un indimenticabile sottopancia della Cnn) come la dimostrazione del “razzismo sistemico” dell’America di Trump.
Oggi per i nostri media mainstream la lettura e la presentazione delle violenze in Francia è molto più complicata. Che si fa? Si spiega al pubblico che anche la società francese, la Francia del progressista, liberale, europeista Macron, è strutturalmente razzista? Oppure, forse, si arrenderanno all’evidenza che qualcosa non ha funzionato nel modello di società multiculturale che per decenni ci hanno propinato come il migliore, anzi l’unico dei mondi possibili?
Questo è forse il motivo per cui per giorni la notizia delle rivolte è stata relegata ai margini nei tg e sui giornali: l’imbarazzo nel trattarla, nel maneggiarla, la mancanza di una narrazione pronta all’uso che non facesse il gioco delle “destre” – delle Meloni, delle Le Pen, degli Zemmour, le cui soluzioni possono piacere o meno, ma che il fenomeno l’hanno visto arrivare.
Siamo curiosi di vedere se anche stavolta, anche con la Francia di Macron, a prevalere sulla realtà sarà la giustificazione o la comprensione delle rivolte in nome dell’anti-razzismo.
Ue e Onu
Lo stesso scrupolo lo ha avuto il Consiglio europeo, dove incredibilmente in questi giorni non si è parlato di ciò che stava accadendo in Francia, probabilmente per lo stesso imbarazzo di non sapere che lettura offrire, o forse per una forma di cortesia nei confronti del presidente Macron.
Chi invece non ha avuto dubbi e non si è fatta scrupoli è la portavoce dell’ufficio diritti umani delle Nazioni Unite, Ravina Shamdasani, che ha chiesto alla Francia di “far luce sul razzismo nelle sue forze dell’ordine”.
Fallimento Macron
Di sicuro, nonostante la tentazione di cui parlavamo all’inizio, oggi non si può non stare con il presidente Macron nel tentativo di riportare l’ordine nelle città francesi, non rinunciando però a constatare i suoi fallimenti e a criticarne i metodi.
Ancora ieri, il presidente francese, prendendosela con i videogames e i social media, o con i genitori dei “ragazzi” che stanno mettendo a ferro e fuoco l’intero Paese, dimostrava di non aver capito nulla delle cause profonde di quanto sta accadendo.
La tentazione di adottare metodi cinesi per reprimere le rivolte è forte nel governo francese: si sente parlare di chiusura dei social, di Snapchat, perché permette ai rivoltosi di organizzarsi, mentre è già prevista la chiusura alle 21 dei mezzi di trasporto pubblico, in quello che appare essere un inizio di coprifuoco.
Chissà se Macron, al suo secondo mandato, presidente da oltre 6 anni, aprirà finalmente gli occhi sul fallimento della società multiculturale, multietnica, favoleggiata e, purtroppo, messa in pratica da progressisti e pseudo-liberali. Sono i frutti dell’immigrazione incontrollata, dell’islamizzazione, sono i vagiti dell’Eurabia, con cui gli intellettuali e i politici di sinistra flirtano da decenni. E ora arriva il conto.
Guerra civile?
Qualcuno parla di colpo di stato, ma non ci pare. Qualcun altro di guerra civile. Ci convince di più la definizione di Giulio Meotti: insurrezione islamica. Le potenzialità di diventare guerra civile dipendono dalla reazione dei francesi bianchi cristiani.
Secondo Meotti è in corso da anni una secessione di fatto di interi territori che lo Stato francese (ma come altri Stati europei) non controlla più, “no go zone” dove le regole, le libertà, le garanzie dello Stato democratico e laico non osano più entrare. E quello che stiamo vedendo non è che l’inevitabile conseguenza.
L’Italia non è la Francia. Non ancora. A salvarci per il momento è il nostro passato coloniale molto limitato. Ma vediamo anche qui i primi sintomi, le zone perdute nelle nostre città, l’invasione di migranti, la spinta alle naturalizzazioni facili.
Le identità nazionali
Sono anche i frutti avvelenati dell’europeismo, del tentativo costruttivista di annichilire le identità nazionali e sostituirle con una identità europea che può al massimo comprendere, ma mai sostituire le prime. Decenni di demonizzazione dell’idea stessa di nazione non hanno certo favorito l’assimilazione.
Come disse Margaret Thatcher nel 1991, “i fautori di un’Europa federale cercano di sostituire i nazionalismi francese, britannico, italiano, che sono sentimenti profondamente radicati, con un nuovo nazionalismo europeo, che è una finzione burocratica. Non possono avere successo. Ma, come gli inventori del nazionalismo sovietico, possono gettare i semi di un grande rancore nel processo”.
Che Dio ci aiuti, è il caso, laicamente, di augurarci.