Le cattive notizie per il presidente Biden non finiscono con la caduta del patteggiamento del figlio:
- pubblicato il documento che FBI e DOJ hanno tentato di insabbiare: 10 milioni ai Biden per far cacciare il procuratore che indagava su Burisma
- le telefonate che smentiscono Joe: i vertici di Burisma in vivavoce con l’allora vicepresidente
- le testimonianze degli informatori dell’IRS sugli sforzi del Dipartimento di Giustizia per ostacolare le indagini
Il patteggiamento-farsa di Hunter Biden con il Dipartimento di Giustizia su due reati fiscali minori è morto e sepolto. A farlo saltare il giudice federale Maryellen Noreika, che ha specificamente contestato il fatto che l’accordo prevedesse per l’imputato una immunità da qualsiasi eventuale nuova accusa che fosse emersa in futuro da indagini ancora in corso, comprese potenziali violazioni del FARA (Foreign Agents Registration Act, la legge sulla registrazione degli agenti stranieri).
Un condono tombale
Il giudice Noreika ha così scoperchiato lo scandalo di questo generoso e inusuale patteggiamento offerto al figlio del presidente dall’amministrazione guidata dal padre. Un accordo che, come abbiamo già scritto su Atlantico Quotidiano, altro non era che un tentativo di “demolizione controllata” per consentire all’amministrazione Biden e ai media compiacenti di dichiarare chiuso il caso, nonostante i ben più gravi reati che emergono dal laptop del figlio del presidente e dal rapporto di una fonte dell’FBI.
Dichiarandosi colpevole di due illeciti minori, infatti, Hunter si sarebbe garantito una immunità legale per tutti i reati più gravi oggetto dell’inchiesta ancora in corso. Di fatto, un condono tombale.
Il giudice quindi lo ha fatto saltare, sottolineando tra l’altro che non ci sono precedenti di un patteggiamento in cui l’imputato ottenga prima del dibattimento una misura alternativa per una violazione della legislazione sulle armi da fuoco e dando tempo 30 giorni alle parti per rispondere alle sue domande di chiarimento.
L’insabbiamento del DOJ
Interrogati dal giudice, i procuratori non hanno nemmeno voluto rivelare su cosa il figlio del presidente sia ancora sotto indagine, né se sotto inchiesta ci siano anche potenziali violazioni FARA, il che aumenta il sospetto che il patteggiamento servisse a seppellire proprio tali violazioni. Dunque, dopo che il giudice ha fatto saltare l’immunità rispetto a nuove accuse penali, Hunter Biden si è dichiarato non colpevole per tutti i reati.
La caduta dell’accordo non significa però che ora vedremo formulare accuse più gravi nei confronti di Hunter Biden, quelle relative allo schema corruttivo descritto da una fonte dell’FBI, perché il Dipartimento di Giustizia ha ampiamente dimostrato la sua determinazione a voler coprire la famiglia Biden.
Nelle loro testimonianze al Congresso, due informatori dell’IRS (l’agenzia fiscale Usa) che hanno lavorato dall’inizio al caso hanno rivelato nel dettaglio come il Dipartimento di Giustizia di Biden abbia ostacolato in tutti i modi l’indagine.
Ma le cattive notizie per il presidente Biden non finiscono con la caduta del patteggiamento-farsa del figlio.
Il rapporto della fonte dell’FBI
Giovedì scorso, il senatore Chuck Grassley ha divulgato il rapporto in possesso dell’FBI dal giugno 2020 (qualche mese prima delle presidenziali vinte da Biden) in cui sono raccolte le dichiarazioni di una fonte ritenuta “altamente affidabile” che descrive nel dettaglio lo schema corruttivo dei Biden con un soggetto ucraino.
Ne avevamo già parlato nelle settimane scorse su Atlantico Quotidiano. L’esistenza di questo documento non classificato (un modulo FD-1023, utilizzato dall’FBI per raccogliere le dichiarazioni delle sue “fonti umane riservate”) era stata confermata il 4 maggio scorso dal presidente della Commissione vigilanza della Camera, il Repubblicano James Comer, che aveva immediatamente emesso un mandato per obbligare l’FBI a fornirlo al Congresso. Ma il Bureau per settimane ha opposto resistenza, limitandosi a permettere ai deputati e ai senatori di visionarlo ma non di acquisirlo. Ora finalmente è pubblico.
Secondo la fonte, si può leggere ora nel rapporto, la compagnia energetica ucraina Burisma – nel cui board sedeva Hunter mentre il padre era vicepresidente – ha pagato a Hunter e Joe Biden 5 milioni di dollari ciascuno perché l’allora vicepresidente “tutelasse” Burisma “da ogni tipo di problemi”. Queste tangenti in aggiunta agli oltre 4 milioni di dollari complessivi pagati a Hunter e al suo socio Devon Archer come membri del board della compagnia.
Secondo quanto il fondatore di Burisma, Mykola “Nikolai” Zlochevsky, ha riferito alla fonte dell’FBI, corroborato dalle e-mail del chief financial officer di Burisma, Vadym Pozharsky, a Hunter Biden (così come dalle dichiarazioni di Pozharky allo stesso informatore dell’FBI), Hunter fu messo nel board di Burisma, nonostante la sua mancanza di esperienza e valore nel business energetico, al fine di indurre l’allora vicepresidente Biden a usare la sua influenza politica a favore dell’azienda.
E com’è noto, sembra proprio che almeno un intervento dell’allora vicepresidente Biden sia stato fondamentale. Zlochevsky ha spiegato alla fonte dell’FBI di essere stato “in qualche modo costretto a pagare i Biden per assicurarsi che il procuratore generale ucraino Viktor Shokin fosse licenziato”. Lo stesso Joe Biden si è vantato pubblicamente di aver ottenuto da Kiev la rimozione del procuratore, che stava indagando su Burisma e il suo fondatore. Ma ci torneremo presto.
Zlochevsky ha confidato alla fonte dell’FBI di aver effettuato i pagamenti ai Biden in modi che avrebbero richiesto agli investigatori “10 anni” per trovarne traccia. E di aver conservato 17 registrazioni di conversazioni con i Biden – due delle quali con Joe – oltre a “molti messaggi di testo” e due documenti che l’informatore “ha inteso essere” documenti finanziari di “pagamenti ai Biden”.
Dichiarazioni verificate
Sembra anche che almeno parte delle dichiarazioni della fonte fossero state confermate. Quando l’ufficio dell’FBI di Pittsburgh ha informato l’ufficio del procuratore federale del Delaware, David Weiss, sulle prove del piano di corruzione dei Biden, gli agenti hanno anche riferito al team del procuratore di aver già corroborato diversi fatti delle affermazioni della “fonte umana riservata”, ha riportato Margot Cleveland su The Federalist citando una fonte.
Ma non solo l’ufficio di Weiss ha apparentemente ignorato le accuse contenute nell’FD-1023, così come le prove già corroborate dall’ufficio dell’FBI di Pittsburgh, avrebbe anche nascosto l’esistenza stessa dell’FD-1023 agli investigatori dell’IRS che indagavano sul caso. Entrambi gli informatori dell’IRS hanno testimoniato di non aver nemmeno saputo dell’esistenza dell’FD-1023, di essere stati tenuti all’oscuro di intere parti del laptop di Hunter e di essere stati esplicitamente intimati a non intraprendere azioni investigative collegate a Joe Biden.
Le telefonate con Joe
Domenica scorsa un altro duro colpo per il presidente Biden. In almeno due dozzine di casi, Hunter ha messo suo padre, allora vicepresidente, al telefono con i suoi soci d’affari all’estero, con i dirigenti di Burisma. Almeno una dozzina di volte in vivavoce. In un caso, due dirigenti di Burisma avrebbero chiesto esplicitamente a Hunter: “Puoi chiamare tuo padre?”
Questo è ciò si preparerebbe a testimoniare al Congresso l’ex socio di Hunter, Devon Archer, ha scritto Miranda Devine domenica scorsa sul New York Post. Archer dovrebbe testimoniare lunedì prossimo alla Commissione di vigilanza della Camera sugli incontri a cui ha assistito ai quali avrebbe partecipato anche Joe Biden, di persona o in vivavoce, quando Hunter avrebbe chiamato suo padre e lo avrebbe presentato a partner commerciali stranieri o potenziali investitori.
Ora, l’imbarazzo per il presidente Biden è che in più occasioni, dal 2019 in avanti, ha smentito categoricamente di aver mai avuto contatti con i soci d’affari di suo figlio, o di aver discusso dei suoi affari con lui: “non ho mai discusso, con mio figlio o mio fratello o chiunque altro, di qualcosa che abbia a che fare con i loro affari…”; “non ho mai parlato” con Hunter dei suoi “rapporti d’affari all’estero”; “non ho mai discusso dei miei affari o dei loro affari, di mio figlio o di mia figlia, e non ne ho mai discusso … [Hunter] non ha fatto una sola cosa di sbagliato”.
Ma la testimonianza di Archer smentirebbe clamorosamente il presidente.
La rimozione di Shokin
In un momento critico, quando i dirigenti di Burisma stavano esercitando pressioni su Hunter Biden e Devon Archer affinché facessero di più per bloccare l’indagine sul fondatore della compagnia Zlochevsky, Archer afferma che Hunter ha messo Zlochevsky e un altro dirigente direttamente in contatto con l’allora vicepresidente Joe Biden durante una chiamata in vivavoce dall’estero. Era il 4 dicembre 2015.
Pochi giorni dopo, il vicepresidente arrivò a Kiev. Negli incontri con l’allora presidente Petro Poroshenko e altri alti funzionari ucraini, Biden minacciò che se il procuratore Viktor Shokin, che stava indagando su Zlochevsky, non fosse stato licenziato, avrebbe trattenuto 1 miliardo di dollari in aiuti economici di cui l’Ucraina aveva un disperato bisogno mentre cercava di respingere la prima aggressione russa. Nonostante i suoi legami con Poroshenko, Shokin fu licenziato circa quattro mesi dopo, a marzo del 2016.
E nel 2018, in un famoso video, Biden se ne vantò. Parlando al Council on Foreign Relations (CFR), raccontò di aver detto agli ucraini: “Me ne vado tra sei ore. Se il pubblico ministero non viene licenziato, non avrete i soldi”. E concluse ridacchiando: “Beh, figlio di puttana, è stato licenziato”.
Conclusioni
Il nome di Joe Biden è ovunque nel rapporto della fonte dell’FBI e questo spiega perché (1) i Democratici hanno cercato così disperatamente di mettere sotto impeachment l’allora presidente Donald Trump che stava cercando di andare a fondo sulla corruzione di Biden chiedendo l’aiuto del presidente Zelensky; (2) l’FBI e il Dipartimento di Giustizia hanno nascosto il documento agli investigatori dell’IRS e al Congresso e ostacolato le indagini su Hunter; (3) hanno siglato il patteggiamento-farsa.