Era tutto scritto (e infatti a settembre su Atlantico Quotidiano l’avevamo già anticipato nei dettagli): il patto di lotta e di governo tra socialisti e nazionalisti catalani è stato annunciato ieri separatamente, ma praticamente in contemporanea, dai rispettivi portavoce.
Patto col diavolo
Pedro Sánchez si assicura la permanenza alla Moncloa per i prossimi quattro anni grazie ai sette voti del partito secessionista di Carles Puigdemont (Junts per Catalunya). Per firmare l’accordo, l’inviato del PSOE ha dovuto passare una settimana chiuso in un hotel di Bruxelles, rendendo omaggio a un profugo della giustizia alle cui richieste si è piegato su tutta la linea.
Grazie alla sete di potere e alla ormai proverbiale spregiudicatezza del sanchismo, Puigdemont è passato in poche settimane dalla condizione di paria politico condannato all’oblio a quella di protagonista della governabilità del Paese da cui pretende di separarsi. Un paradosso senza precedenti nella storia delle democrazie europee, frutto avvelenato della strategia della sinistra di impedire a tutti i costi un’alternanza politica. Una condotta che, probabilmente, alla lunga si rivelerà suicida.
A nulla sono servite le manifestazioni sotto la sede del PSOE né la richiesta di “spiegazioni” fatta pervenire a Madrid dalla Commissione europea sull’annunciata amnistia per i politici e i rappresentanti della società civile coinvolti nel procés indipendentista del 2017 (alcuni dei quali condannati in sede giudiziaria e poi indultati dallo stesso Sánchez). Nonostante la mezza sconfitta elettorale dello scorso luglio, era chiaro che i socialisti avrebbero fatto di tutto pur di non cedere le redini del governo all’alleanza Partito Popolare-Vox o accettare una ripetizione del voto.
E così è stato: dopo una trattativa dall’esito scontato, nei fatti Sánchez ha consegnato le chiavi del governo ai secessionisti pur di rimanere dov’era. Dopo l’annuncio è stato lo stesso Puigdemont a chiarire al presidente del governo in carica i termini della questione: “Sánchez dovrà guadagnarsi la stabilità dell’esecutivo giorno per giorno”, ha fatto sapere. Il che significa che le sorti politiche della Spagna dipenderanno costantemente dai suoi sette parlamentari anti-spagnoli.
Come anticipato, chi si attendeva solo un accordo su un’amnistia già di per sé a-costituzionale si è svegliato con un patto di legislatura che apre le porte a tutte le rivendicazioni che gli stessi indipendentisti avevano ufficialmente accantonato negli ultimi tempi, dopo una serie di rovesci penali e di divisioni interne. Il sanchismo le ha resuscitate una per una, consegnandosi volontariamente al nazional-populismo catalanista.
Le chiavi ai secessionisti
Analizziamo i principali punti del documento sottoscritto dalle parti:
– legge di amnistia (il cui testo è stato redatto dai suoi stessi beneficiari) per “responsabili e cittadini” coinvolti in procedimenti giudiziari a causa del processo secessionista, in un arco di tempo che si estende dal 2012 al 2023. In pratica, cancellazione dei reati e impunità in caso di ripetizione delle condotte in precedenza considerate delittuose, intenzione che i leader delle formazioni indipendentiste (non solo Junts ma anche Esquerra Republicana) hanno già manifestato apertamente;
– copertura legale ai concetti di “lawfare” (guerra giudiziaria) e “giudizializzazione della politica”, con il riconoscimento implicito da parte dello Stato (leggasi Pedro Sánchez) dell’illegittimità dei procedimenti penali a carico dei politici indipendentisti. La previsione si spinge anche oltre, concedendo alle commissioni parlamentari la facoltà di determinare – nell’ambito della suddetta legge di amnistia – le “situazioni comprese nel concetto di lawfare”: ciò implica che sarà il Congresso a decidere chi potrà essere amnistiato, amministrando la giustizia al posto dei tribunali;
– negoziati da tenere tra le parti sul “riconoscimento nazionale della Catalogna” (sic!) e sulla “celebrazione di un referendum di autodeterminazione nell’ambito dell’art. 92 della Costituzione” (cioè, in teoria, concordato tra governo e comunità autonoma).
Il diavolo, come sempre, è nei dettagli. Puigdemont dichiara espressamente che proporrà il referendum, mentre i socialisti scrivono che punteranno sul “pieno sviluppo dello Statuto del 2006”, già annullato però dal Tribunale Costituzionale in quanto contrario alla carta magna proprio nelle parti relative al presunto status nazionale della Catalogna. Insomma l’idea della Catalogna come nazione autonoma, uscita dalla porta nel 2010, rientra dalla finestra nel 2023, con il riconoscimento implicito dell’Esecutivo centrale.
In nessun momento, oltretutto, compare nel documento la rinuncia espressa all’unilateralità da parte degli indipendentisti: è vero che si dichiara l’intenzione di un consenso previo al referendum, ma non se ne esclude la celebrazione in caso di mancato accordo tra Stato e Generalitat. L’opzione radicale rimane quindi vigente;
– previsione di un fisco indipendente per la Catalogna, che per Junts si traduce nella “cessione del 100 per cento dei tributi” e per i socialisti in una più generica “autonomia finanziaria”;
– un meccanismo di verifica internazionale dell’intero processo negoziale, come se si trattasse di due entità statuali già separate, impegnate in un conflitto che richiede una mediazione esterna.
Tradotto per i profani: disconnessione progressiva della Catalogna dallo Stato spagnolo a livello politico ed economico, immunità e impunità passata, presente e futura per la dirigenza politica indipendentista e tutti i soggetti ad essa riconducibili, attribuzione al Parlamento catalano del potere di dettare l’agenda al governo di Madrid (testualmente, “detti accordi devono rispondere alle richieste maggioritarie del Parlamento della Catalogna che (…) rappresenta legittimamente il popolo catalano”).
Le reazioni
Anche per molti storici militanti socialisti (Felipe González e Alfonso Guerra su tutti), questo patto di legislatura rappresenta una claudicazione in piena regola dello stato di diritto in nome della perpetuazione del sanchismo.
Ma è ovviamente da destra che giungono le accuse più dure nei confronti dell’esecutivo. Secondo il segretario del Partito Popolare, Alberto Nuñez Feijóo, “la Spagna perde, gli indipendentisti vincono e il PSOE sparisce”; per la presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, “ci aspettavamo una legge di amnistia, ci ritroviamo con qualcosa di molto più grave”; sui forum online piovono accuse di “tradimento” verso Pedro Sánchez e i suoi.
L’attentato a Vidal-Quadras
In un messaggio delle 12,21 l’ex segretario dei popolari catalani, Alejo Vidal-Quadras, denunciava “l’infame patto tra Sánchez e Puigdemont” che “annulla la separazione dei poteri” e “la democrazia liberale in Spagna”. Un’ora dopo, mentre passeggiava con sua moglie nel centro di Madrid, veniva ferito da un colpo di pistola al volto sparato da una motocicletta. Attualmente si trova in ospedale in gravi condizioni.
Le cause dell’attentato non sono ancora chiare, anche se non fa ben sperare il clima politico in cui il Paese è stato trascinato da una classe dirigente che ripropone dinamiche proprie di un conflitto civile più che di una normale dialettica politica. Vidal-Quadras è riuscito a comunicare alla polizia che quanto accaduto potrebbe essere collegato ai suoi rapporti con l’opposizione in esilio al regime iraniano. Si tratterebbe in questo caso di terrorismo internazionale. Le prossime ore saranno decisive nell’accertamento dei fatti.
La destabilizzazione è servita
Intanto, in Spagna il vaso di Pandora della destabilizzazione è definitivamente aperto. Bildu (il braccio politico dell’estinta ETA) celebra la ripresa del “dibattito territoriale”, dando a intendere che presto seguirà l’esempio catalano e avanzerà le proprie rivendicazioni, favorite da una legge di amnistia che potrebbe coprire anche i delitti di terrorismo.
È probabile che i militanti socialisti che hanno appoggiato la strategia del loro segretario generale non siano del tutto consapevoli delle possibili conseguenze di questo patto con il nazionalismo. Sánchez, dopo aver liquidato la tradizione unitaria e costituzionale del Partito Socialista, si appresta a farlo anche con le istituzioni dello Stato. Il tutto in nome di un potere a tutti i costi che potrebbe alla fine rivelarsi illusorio, un viaggio di sola andata verso una destinazione incerta, su una nave il cui comandante non è lui.
Il nostromo Puigdemont intanto si gode il suo trionfo, sfoggiando tutta la retorica populista che gli è propria: “L’unico limite è la volontà del popolo catalano”. Non la costituzione, non le leggi, non lo stato di diritto. Solo la (presunta) “volontà popolare”. I nuovi giacobini sono tra noi. Avevamo avvisato.