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Scholz conferma l’addio al nucleare: a che gioco sta giocando Berlino?

Perché la conferma dell’uscita dal nucleare solleva dubbi sulle politiche energetiche della Germania: ritorno al gas russo o pericolosa illusione green

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Ieri il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha chiarito via Twitter che la recente decisione del governo di rinviare la chiusura delle ultime tre centrali nucleari ancora attive non significa prorogare il termine per l’uscita completa della Germania dall’energia nucleare.

“Una cosa è chiara: l’uscita dall’energia nucleare resta“, scrive Scholz, “il 15 aprile 2023 è finita con l’energia nucleare in Germania. Fino ad allora non ci saranno più test, ma si produrrà quanto possono dare le ultime tre centrali nucleari, direttamente e senza cambi di marcia”.

Ora, delle due l’una: o si tratta di un modo per rinviare il più possibile il giorno in cui uno dei partner di governo (i Verdi) dovrà ingerire il boccone amaro di una proroga, oppure a Berlino non hanno ben compreso che quella che stiamo vivendo non è una crisi congiunturale e che un modello economico basato sulle materie prime russe o cinesi è insostenibile dal punto di vista geopolitico.

Prima ipotesi: proroga ad aprile

Una ipotesi è che per non mettere in eccessiva difficoltà l’alleato di governo, Scholz voglia evitare annunci prematuri e far sì che sia la situazione che si presenterà a marzo-aprile dell’anno prossimo ad imporre un ripensamento, a suggerire di prorogare il termine di uscita dal nucleare e quindi, da lì in poi, di procedere di proroga in proroga.

In fondo, nei giorni scorsi persino Greta Thunberg ha osservato che non avrebbe senso spegnere centrali nucleari attualmente in funzione se poi la carenza di energia richiedesse di riaprire centrali a carbone.

Già in questa circostanza Scholz ha risolto d’autorità la disputa tra Liberali e Verdi sul rinvio della chiusura delle tre centrali nucleari (Isar 2 in Baviera, Neckarwestheim 2 nel Baden-Württemberg, Emsland in Bassa Sassonia), richiamandosi al paragrafo 1 del regolamento interno del governo federale, che attribuisce al cancelliere il potere di stabilire linee guida di politica interna ed estera vincolanti per i ministri federali, i quali sono chiamati ad attuarle.

Una decisione che suona come uno schiaffo ai Verdi, che appena due giorni prima riuniti in congresso avevano approvato una risoluzione per la chiusura della centrale di Emsland, ma che non accontenta del tutto nemmeno i Liberali, i quali chiedevano una proroga fino a tutto il 2024.

Astutamente però la FDP apprezzava la decisione del cancelliere presentandola come una propria vittoria, mentre i Verdi la accoglievano con freddezza.

Questo può aver indotto Scholz al tweet di ieri, un modo per rassicurare i Verdi sul fatto che comunque il 15 aprile prossimo la Germania avrà chiuso con il nucleare – sebbene il cancelliere potrebbe essere consapevole già ora che ciò non sarà possibile e che si renderà necessaria una proroga.

Di fronte allo stallo nelle trattative sulle tre centrali, Scholz, secondo quanto ricostruisce la Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha deciso di decidere da solo. E se ha deciso da solo oggi, può benissimo decidere da solo anche ad aprile di rinviare l’uscita completa dal nucleare, magari concedendo ai Verdi la chiusura della sola centrale di Emsland.

Se ad oggi il cancelliere ritiene che la Germania non può farcela senza quelle tre centrali, cosa fa credere che ce la farà tra pochi mesi, dalla primavera prossima?

Seconda ipotesi: aprire Nord Stream 2

La seconda ipotesi è quella che ha più volte esposto Musso nei suoi articoli su questo giornale. Berlino ha tutt’altro che abbandonato l’idea di salvare il suo modello economico basato sul gas a basso costo dalla Russia e starebbe solo aspettando il momento propizio, che si creino le condizioni – per esempio la fine delle ostilità in Ucraina – per riallacciare almeno in parte i rapporti energetici con Mosca.

D’altra parte, una delle due linee del gasdotto Nord Stream 2, guarda caso, è stata risparmiata dal sabotaggio nel Mar Baltico e, come non manca di ricordare il presidente russo Putin, è pronta a divenire operativa.

Certo, con Vladimir Putin ancora al Cremlino sarebbe un dietrofront clamoroso, il venir meno dell’impegno preso in sede Ue di uscire dalla dipendenza dal gas russo e molto probabilmente l’apertura di una grave frattura con Washington, a meno che le condizioni non saranno talmente mutate da indurre gli americani ad acconsentire – il che ad oggi appare impensabile.

Se entrambe queste ipotesi fossero smentite, vorrebbe dire che a Berlino qualcuno crede che già dalla prossima primavera sia possibile far a meno sia del gas russo che dell’energia nucleare.

Terza ipotesi: la transizione green

E arriviamo dunque alla terza ipotesi: l’idea che dover rinunciare sia al gas russo che al nucleare, e naturalmente anche al carbone, offra una grande occasione per accelerare la transizione green. Ma, con essa, una inevitabile dipendenza dalla Cina.

Lo ha spiegato bene il ministro dell’economia e del clima tedesco Robert Habeck (Verdi) ad un giornale italiano: “Dobbiamo avere la forza di guardare oltre le difficoltà del giorno. E questo include investire per uscire dalla crisi e perseguire con coerenza il percorso verso la neutralità climatica. Questo è l’unico modo per garantire la competitività della nostra economia”.

“Dobbiamo abbandonare del tutto le energie fossili” (LNG compreso, quindi), ha chiarito Habeck, “la vera soluzione è nell’espansione delle rinnovabili. Sono diventate la chiave della sicurezza energetica”.

Nel frattempo, c’è lo scudo da 200 miliardi, che “dovrebbe durare fino al 2024“, dice il ministro, che evidentemente si aspetta per quella data che le fonti fossili possano essere interamente sostituite dalle rinnovabili.

Eppure, è proprio la transizione green, la decarbonizzazione a tappe forzate dell’economia, il disinvestimento dalle fonti fossili nell’illusione di poterle sostituire interamente con le rinnovabili, tra le cause della nostra dipendenza dal gas russo e, oggi che dobbiamo farne a meno, della carenza dell’offerta di energia che ha fatto schizzare alle stelle i prezzi.

L’ottimismo tedesco

Questo “ottimismo” tedesco è stato colto dal politologo Walter Russell Mead, che ieri sul Wall Street Journal ha riportato le sue impressioni dopo una settimana trascorsa in giro per la Germania.

Nonostante la crisi energetica, la fine di un modello economico basato sul gas russo a basso costo, la minaccia epocale che incombe sull’industria manifatturiera tedesca, in particolare automotive e chimica, Russell Mead ha trovato “l’umore in Germania tutt’altro che disperato“, anzi “quasi compiaciuto”.

“Dagli imprenditori del solare e dagli attivisti della società civile in Baviera, ai burocrati e ai politici di Berlino, molti tedeschi influenti pensano che il Paese stia entrando in una nuova era di benessere in patria e influenza all’estero”.

“Riconoscono di aver sbagliato gravemente su Vladimir Putin e che la loro fiducia nella Russia come fornitore affidabile di energia a basso costo era malriposta”. Ma vedono anche che Putin “sta perdendo la guerra e le conseguenze paralizzeranno la Russia per anni”.

I tedeschi pensano che “le speranze di ripresa economica di Mosca dipenderanno più che mai dal suo accesso al capitale occidentale”. Non ci sarà da ricostruire solo l’Ucraina, ma anche l’economia russa, dunque non mancheranno opportunità ad est per la Germania.

  1. Quindi sì, a Berlino pensano di riallacciare i rapporti economici con Mosca.

Russell Mead ha trovato i tedeschi con cui ha parlato “sorprendentemente ottimisti“. Nel breve termine, la frugalità del passato permette a Berlino di impiegare ingenti risorse per affrontare la crisi energetica.

Nel lungo termine, “molti tedeschi sono fiduciosi che l’abbandono dei combustibili fossili rafforzerà la posizione del loro Paese. L’idrogeno può sostituire i combustibili fossili per una serie di processi industriali e l’idrogeno generato da fonti di energia rinnovabili variabili come l’eolico e il solare può garantire un approvvigionamento energetico stabile nei giorni in cui il sole non splende e il vento non soffia”.

2) Quindi sì, a quanto pare a Berlino credono di poter sostituire le fonti fossili (gas non russo compreso) con le rinnovabili.

Ritorno al gas russo o dipendenza dalla Cina

Secondo WRM, questo mood in Germania sarebbe una buona notizia anche per l’America: “Il fatto più importante riguardo l’Europa non è che Putin voglia distruggere l’ordine europeo esistente. È che la Germania vuole sostenerlo e che, con l’aiuto del suo alleato transatlantico, è determinata a farlo”.

Noi arriviamo a conclusioni opposte. Proprio dai segnali che il politologo Usa ha percepito durante la sua visita emerge come l’establishment politico ed economico tedesco oscilli tra una trepidante attesa di poter riallacciare i rapporti economici con la Russia, sebbene e anzi proprio perché indebolita, e l’illusione di poter rinunciare alle fonti fossili completando in tempi più rapidi la decarbonizzazione.

Ma la prima prospettiva contrasterebbe con uno degli obiettivi di guerra primari degli Stati Uniti, ovvero recidere i legami energetici e la crescente interdipendenza economica tra la Germania (e l’Ue) e la Russia. La seconda, se pensiamo alle materie prime necessarie per i pannelli solari e l’elettrificazione dell’automotive, significherebbe sostituire alla dipendenza dalla Russia la dipendenza dalla Cina, cioè passare dalla padella alla brace.

Anche a Washington dovranno prima o poi accettare il fatto che la transizione green è incompatibile con la guerra economica a Russia e Cina. Non si può avere la prima e pensare di vincere la seconda.

Non contenti, oltre che delle fonti fossili, i tedeschi vorrebbero sbarazzarsi anche del nucleare. Una decisione che già negli scorsi anni ha contribuito ad accrescere la dipendenza (non solo tedesca, ma europea) dal gas russo e in generale è tra le principali cause di una crisi strutturale dell’offerta energetica nel nostro Continente – crisi che prescinde dagli effetti dell’invasione russa dell’Ucraina e che stava esplodendo già prima di essa, nella fase di uscita dalla pandemia.

Per questi motivi, la conferma dell’uscita dal nucleare da parte del cancelliere Scholz, se sincera, solleva più di qualche dubbio sulle politiche energetiche della Germania: o la speranza è quella di una ripresa dei flussi di gas dalla Russia, addirittura di poter aprire Nord Stream 2, oppure la prospettiva nel medio-lungo termine è quella di una transizione green accelerata, affidandosi alle materie prime cinesi.

Entrambe sarebbero contrarie agli interessi degli Stati Uniti, dell’Europa, dell’Occidente. Se era, ed è, insostenibile dal punto di vista geopolitico un modello economico basato sulla dipendenza dal gas russo, lo è anche uno basato sulla dipendenza dalle materie prime e dai mercati cinesi.

Una indicazione potrebbe arrivare dalla visita del cancelliere tedesco Scholz a Pechino in programma, secondo quanto riportano alcuni media, per il 3-4 novembre prossimi. Sarebbe il primo leader del G7 a visitare la Repubblica Popolare dall’inizio della pandemia e il primo ad incontrare Xi Jinping dopo il XX Congresso del Partito comunista cinese, da cui avrà appena ricevuto un terzo mandato.

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