Se Biden abbassa lo sguardo pure con gli Houthi. La posta in gioco nel Mar Rosso

Missione “Prosperity Guardian” tardiva e insufficiente. Con la sua esitazione sta permettendo la lenta ma inesorabile erosione dell’ordine internazionale a guida Usa

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Washington sta finalmente valutando l’opzione di attacchi militari, che però avrebbe già dovuto lanciare, ben prima che le principali compagnie decidessero di sospendere la navigazione nel Mar Rosso. Un’esitazione che può costare cara

Dal 7 ottobre scorso, dall’attacco di Hamas contro Israele, non è passato praticamente giorno senza che gli Houthi, dallo Yemen, lanciassero un attacco diretto contro lo Stato ebraico o contro le navi commerciali di passaggio nel Mar Rosso, facendosi beffe della linea rossa tracciata da Washington per dissuadere altri attori regionali, statuali e non, dall’intromettersi nel conflitto.

L’ultimo attacco ieri, dopo l’annuncio Usa di una operazione multinazionale per la sicurezza della navigazione nel Mar Rosso. “Inutile”, l’hanno bollata gli Houthi, “sferreremo un attacco ogni dodici ore”.

Bloccata una rotta strategica

Il gruppo, sostenuto e armato dall’Iran, come le altre milizie filo-iraniane che in questi mesi hanno attaccato le forze Usa in Iraq e Siria un centinaio di volte, non si limita a lanciare attacchi contro Israele o le basi americane. No, tiene sotto scacco uno stretto marittimo strategico, quello di Bab el-Mandeb, la porta di ingresso al Mar Rosso, l’unico passaggio per il Canale di Suez.

L’impatto degli attacchi Houthi è molto maggiore di quanto sia il governo israeliano che l’amministrazione Biden siano disposti ad ammettere. Un impatto economico – parliamo di miliardi di dollari di commercio – ma anche un grande impatto geopolitico.

Pochi gli attacchi andati a segno, ma più che sufficienti a convincere quattro delle più grandi compagnie di logistica del mondo (Maersk, Hapag Lloyd, Msc, Cma Cgm), che rappresentano oltre il 50 per cento della capacità di trasporto marittimo, che forse è meglio non far passare le loro navi dal Mar Rosso e quindi dal Canale di Suez. Una rotta commerciale da cui transitano ogni giorno 8,8 milioni di barili di petrolio e quasi 380 milioni di tonnellate di merci, di fatto chiusa, con gran parte del traffico costretto a circumnavigare l’Africa, dovendo percorrere il 40 per cento in più di distanza e sostenere ovviamente costi più alti.

Uno smacco per gli Stati Uniti, ancor più umiliante se pensiamo che a causare il blocco non è l’Egitto, né un’altra potenza regionale, ma una milizia locale che con atti di pirateria a basso costo sta provocando impunemente enormi danni economici.

Operazione tardiva e insufficiente

Lunedì il segretario alla difesa Lloyd Austin ha annunciato ufficialmente l’inizio dell’operazione “Prosperity Guardian”. Una coalizione di almeno 10 Paesi (Stati Uniti ovviamente, Regno Unito, Bahrein, Canada, Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Norvegia e Seychelles) per garantire la sicurezza e la libertà di navigazione nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, fondamentale per il commercio internazionale e per lo stesso ordine internazionale. Non è chiaro se della coalizione, e in che termini, faranno parte Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

E non è chiaro quali azioni militari rientreranno nella missione. “Le navi militari non scorteranno necessariamente una nave specifica, ma saranno posizionate in modo da fornire un ombrello protettivo a quante più navi possibili in un dato momento”, ha spiegato Austin. Finora gli Stati Uniti si sono limitati a intercettare i droni o missili lanciati dallo Yemen, non sempre riuscendovi, ma ancora non hanno colpito gli Houthi, né hanno preso di mira le loro armi o le loro basi. Lunedì scorso, interrogato sul perché il Pentagono non avesse ancora lanciato un contrattacco, Austin si è rifiutato di rispondere.

Ora, come riportato da Bloomberg, gli Stati Uniti e i loro alleati stanno valutando possibili attacchi militari contro gli Houthi nello Yemen, riconoscendo che la task force appena annunciata potrebbe non essere sufficiente per eliminare la minaccia alla navigazione. In effetti, la quasi certezza che droni o missili verrebbero intercettati basterebbe a convincere le compagnie a far passare di nuovo le loro navi nel Mar Rosso? Già, è un gran bel “quasi”.

Tardi per una missione di solo pattugliamento, bisogna eliminare la capacità degli Houthi di prendere di mira le navi commerciali, colpendo il gruppo alla fonte. Ma Washington non ha ancora deciso e sembra voler puntare ancora sulla diplomazia. Una esitazione patetica: sta considerando solo ora l’opzione di attacchi che avrebbe già dovuto lanciare, ben prima che le principali compagnie vedessero le loro navi così in pericolo da sospendere la navigazione nel Mar Rosso.

Gli errori di Biden

Le responsabilità dell’amministrazione Biden sono anche in questo caso enormi. Una delle prime decisioni prese dal Team Biden, appena insediatosi alla Casa Bianca, infatti, fu la rimozione degli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche come parte della strategia di “integrazione regionale” (la formula dell’appeasement verso Teheran). Scelta che ora l’amministrazione sta rivedendo, ha fatto sapere il portavoce del consiglio di sicurezza nazionale John Kirby. Un’altra esitazione ingiustificata: cos’altro serve ancora per considerare gli Houthi un gruppo terroristico?

Ma Biden non si fermò a questo. Nel 2019, l’allora presidente Donald Trump aveva speso il suo secondo veto presidenziale per respingere una risoluzione bipartisan del Congresso che si opponeva al sostegno Usa alla guerra dell’Arabia Saudita contro gli Houthi. Ebbene, Biden decise di ritirare il sostegno Usa e arrivò a definire Riyad uno stato “paria” per il caso Khashoggi.

Ora il capo del Pentagono afferma che “il sostegno dell’Iran agli attacchi degli Houthi contro le navi commerciali deve finire”. Ma perché Teheran dovrebbe smettere di sostenere le sue milizie quando non paga alcun prezzo per lo stillicidio di attacchi che erodono la credibilità della deterrenza Usa?

E che interesse avrebbe l’Iran nel sostenere gli Houthi? Beh, quello cui stiamo assistendo: il controllo di uno stretto strategico proprio di fronte alle forze statunitensi a Gibuti. Per compiacere Teheran, le amministrazioni Obama e Biden non hanno sostenuto i sauditi nel tentativo di cancellare gli Houthi dallo Yemen e ora ne pagano – ne paghiamo – il prezzo.

A rischio l’ordine a guida Usa

Quando gli Stati Uniti reagiscono a meno di un decimo degli oltre cento attacchi contro le loro truppe in Siria e Iraq, mai colpendo alcunché di rilevante dei Pasdaran e mai ritenendo l’Iran responsabile; quando per settimane non reagiscono agli attacchi Houthi nel Mar Rosso, e solo ora che le più importanti società di navigazione commerciale hanno deciso di non attraversarlo più, si muovono per mettere in piedi una missione di pattugliamento, invece di spianare la minaccia, non solo mostrano al mondo la loro esitazione, si stanno gradualmente facendo cacciare dal Medio Oriente.

Il che forse non dispiace a qualcuno a Washington, ma c’è un piccolo particolare. L’ordine internazionale a guida Usa si fonda sulla sicurezza e la libertà dei commercio marittimo globale, garantito dall’ombrello della potenza militare Usa. Cosa resta dell’egemonia americana, se la navigazione non è più libera e sicura?

Se un proxies iraniano può interrompere a piacimento una rotta commerciale strategica, stabilendo implicitamente una propria sfera di influenza inviolabile in Medio Oriente, cosa impedirà a Russia e Cina di fare lo stesso nelle loro regioni e su scala globale?

E infatti, Pechino è alla finestra che si sfrega le mani. Pur avendo alcune navi da guerra nella regione, si è guardata bene dal rispondere alle richieste di assistenza partite dalle navi commerciali attaccate, nonostante alcune avessero legami con Hong Kong. La leadership cinese si rende conto evidentemente che quanto sta accadendo intacca l’egemonia globale Usa.

La deterrenza non sarà ripristinata attraverso la proporzionalità. Per dissuadere i proxies iraniani Washington deve dissuadere l’Iran, probabilmente con una rappresaglia diretta. Il fil rouge che sembra legare la strategia dell’amministrazione Biden, dall’Ucraina al Medio Oriente, è la paura dell’escalation, del confronto diretto. Se questa paura è comprensibile quando di fronte hai una potenza nucleare come la Russia, lo è meno se si tratta dell’Iran, che ha una storia di arretramenti quando la posta in gioco di una sfida diretta agli Usa si alza, ma appare ridicola di fronte ad una milizia terroristica locale come gli Houthi.

Mentre dice di volerlo difendere, l’amministrazione Biden sta permettendo la lenta ma inesorabile erosione dell’ordine internazionale a guida Usa.

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