Sette voci sono giunte, dall’estero, a parlare con interesse di noi e del nostro governo. Siccome non capita troppo spesso, bene farne un piccolo sunto.
1-Milei
Ad aprire le danze è stato l’ottimo Javier Milei. Il quale, a casa di Donald Trump, ha schizzato “un’alleanza di nazioni libere, custodi dell’eredità occidentale, stabilendo nuovi legami politici, commerciali, culturali, diplomatici e militari”, mettendoci dentro “gli Stati Uniti nel Nord, l’Argentina nel Sud, l’Italia nella vecchia Europa e Israele come sentinella alla frontiera in Medio Oriente”. Va da sé che egli consideri l’Italia libera e all’altezza della bisogna. Un bel complimento.
Lo ha ribadito a Baires, ricevendo Giorgia Meloni: “perché l’Occidente si trova nelle tenebre e chiede a noi che difendiamo la libertà – anche se siamo ancora pochi – possiamo fare luce e segnare la strada perché la vittoria della guerra non dipende dalla quantità dei soldati ma dalle forze che ci arrivano dall’Alto”. Un altro bel complimento.
2-WSJ
Se ne è accorto il WSJ, secondo il quale Trump e Meloni avrebbero un bel “terreno comune” e cita immigrazione incontrollata, valori tradizionali, sostegno “senza ambiguità” ad Israele e condanna di Hamas, sostegno alla deterrenza contro Putin.
Perché sia chiaro che non è solo una questione di simpatia politica, ma pure di stazza nazionale, aggiunge che “le dimensioni dell’Italia” contano. Fa l’esempio militare: “più di 12.000 soldati statunitensi sono di base in Italia e Napoli è il quartier generale della Sesta Flotta della Marina degli Stati Uniti. In Europa, solo la Germania ospita più membri del servizio americano”.
Insomma, “il ritorno di Trump a Washington è un’opportunità promettente. Per governare in modo efficace, avrà bisogno di amici in Europa. Non troverà un’alleata migliore della signora Meloni”.
3-The Economist
Abbastanza, per eccitare la stampa “di sinistra”, cioè clintonian-obamiana e franco-tedesca. A cominciare dall’ineffabile The Economist del signor El Can, che vede la vicinanza di Meloni a Musk ed ideologica a Trump (“proviene dall’estrema destra e può colpire i migranti e i tipi woke con lo stesso aplomb di un partecipante ad un comizio di Trump o Orban”) e vede la stabilità politica italiana (“al potere dal 2022 e senza dover affrontare elezioni per altri tre anni”). Debolezze in Meloni, quindi e molto a malincuore, non ne trova.
Perciò, si dedica a cercarle nel Paese. Per cominciare, l’Italia non farebbe parte de “la vecchia guardia del continente – i leader di Francia, Germania e Polonia, così come le alte cariche di Ue e Nato – che hanno tradizionalmente gestito la parte europea delle relazioni transatlantiche”.
In secondo luogo, sarebbe un alleato profittatore (“è il secondo esportatore di merci dell’Ue verso l’America dopo la Germania, e da lì acquista relativamente poco”). In terzo luogo, non sarebbe un alleato affidabile (“spende solo l’1,5% del Pil per le sue forze armate”). In quarto luogo, sarebbe appesa alla maschera d’ossigeno di Bce (“ha un elevato debito [pubblico] e tiepide prospettive economiche, e beneficia dei fondi dell’Ue e delle garanzie implicite sui propri prestiti”).
Laddove, fa sorridere come The Economist non si accorga di aver così composto il perfetto manifesto contro la permanenza dell’Italia ne Leuro. Ma chiaramente non se ne accorge, perciò l’unico suo messaggio è: “Meloni è forte ma l’Italia fa schifo, perciò Trump non perda tempo con Meloni”.
4-Politico.eu
A seguire, un secondo giornale “di sinistra”, Politico.eu della tedeschissima Axel Springer. Che incorona Meloni “the most powerful person in Europe”. Benché con proprio grave rammarico, in quanto descrive un’Italia che – secondo quel giornale – limita libertà di parola, cerca di mettere a tacere i critici, ha preso di mira i giudici e comunità Lgbtq+, fa accordi sui migranti con regimi repressivi, insomma erode le libertà civili.
Eppure, tali politiche asseritamente schifose non “hanno impedito ai leader europei di guardare con ammirazione al modello Meloni”. Un po’ per la percezione che tutto ciò faccia parte “di un fenomeno politico vincente, un movimento globale di populisti ultranazionalisti”. Un po’ per la forza del Paese che Meloni governa: paese fondatore grande e ricco, al punto da darle “un enorme potere contrattuale”.
Tradotto: al contrario di ciò che scriveva The Economist, l’Italia non fa schifo e, di nuovo al contrario di ciò che scriveva The Economist, il rischio che Trump si ingaggi con Meloni c’è davvero tutto quanto.
5-Le Figaro e i conti pubblici
A descrivere la forza del Paese che Meloni governa, provvede la quinta voce che oggi ascoltiamo: quella di una corrispondenza da Roma per Le Figaro.
Sì, certo, nel 2026 il rapporto debito pubblico su Pil sarà il più alto d’Europa. Ma, “per comprendere appieno la dinamica di un debito, non bisogna fermarsi a una cifra … essa deve essere osservata come una scultura: girandogli intorno, per coglierne meglio le fondamenta e gli equilibri. Ed è un Paese solido quello che ne esce”.
Intanto, “Roma gestisce le sue finanze pubbliche in modo molto responsabile”: nel passato (“nel 1995-2023 ha generato un avanzo primario delle finanze pubbliche, cioè prima degli oneri finanziari, dell’1,3% medio annuo del Pil”), nel presente (“è l’unico Paese del G7 ad essere tornato a un avanzo primario dello 0,1% del Pil nel 2024”), nel futuro (“dal 2024 al 2029 l’avanzo primario italiano continuerà a crescere … a differenza dei Paesi del G7”). Sicché, “è l’unico Paese del G7 ad essere quasi tornato al livello di debito/Pil pre-Covid mentre, in Francia, tale rapporto è cresciuto di oltre 13 punti”.
E fin qui tutto bene, anche se suona un poco tedesco. Al limite, potrebbe trattarsi di una esortazione ai francesi ad obbedire pure loro al fiscal compact e consimili castronerie brussellesi che, per tanti anni, tanto ci hanno ammorbato.
5bis-Le Figaro e i conti esteri
Invece no, invece l’articolo ha uno scatto. Quanto all’export, “il Paese rimane competitivo, battendosela con Giappone e Corea per il quarto posto fra i più grandi esportatori del mondo, a seconda del mese”. Quanto all’import, gli Italiani non consumano ma risparmiano: “la ricchezza finanziaria netta delle famiglie italiane … è la terza più grande dell’area euro, con il 216% del PIL”.
Sicché, export meno import, “l’Italia è un creditore netto verso il resto del mondo, per un importo di 225 miliardi di euro, pari al 10,5% del suo Pil. Si tratta di un dato considerevole, soprattutto alla luce della posizione debitoria netta della Francia, pari al 28% del Pil (-824 miliardi alla fine del 2023)”. Con la piacevole conseguenza della “bassa dipendenza dagli investitori non-italiani, che detengono solo 735 miliardi di euro di debito pubblico, pari al 27,7% del totale. Questo importo non è aumentato dal 2009, mentre in Francia i debiti detenuti da stranieri sono saliti da 500 miliardi a 1.600 miliardi di euro nello stesso periodo”.
Cose che mai avremmo immaginato veder sottolineate da un quotidiano francese … visto che sono poi i conti esteri, la vera grande debolezza dei cugini. Che siano colti da improvvisa resipiscenza? Certamente, la consapevolezza è l’anticamera al ravvedimento … per il resto chissà.
6-Il Re Cattolico
In tale processo, chi è manifestamente più avanti dei francesi è il buon Re di Spagna, Filippo VI, giunto mercoledì a Montecitorio con un gran discorso. Il testo è pronunciato da un monarca costituzionale, dunque sicuramente passato alla preventiva censura del governo del socialista-estremista Sanchez. Tre esempi: declina i deliranti valori leuropei ex art.2-Tue (ferro di lancia della guerra infame ad Orban & PiS); elogia Enrico Letta (che è come elogiare l’opposizione comunista); fra molte splendide parole di fratellanza italo-spagnuola, non cita mai la religione cattolica (lui, il Re Cattolico!). Fin qui, tutto scontatamente noiosetto.
Tutto il contrario di due altri passaggi, che diremmo scampati alla censura. Il primo: “Italia y España, juntas, representan una 1/5 parte del PIB europeo y casi una 1/4 parte de la población de la Ue”. Tradotto, un invito alla collaborazione bilaterale, che mai avremmo ascoltato dalla bocca di un Sanchez tutto dedicato a legarsi mani e piedi a Scholz & Macrone; disposto – per ingraziarseli – a passare il proprio tempo dando della fascista alla Meloni. Come non cogliere – nelle parole del Re – un sintomo che il sanchismo filo-franco-tedesco ed anti-italiano ha consumato il proprio tempo?
Il secondo: <nuestra pertenencia a un horizonte … que es, al mismo tiempo, europeo y mediterráneo, y que tiene una clara vocación latinoamericana>. E questo è più di un auspicio di collaborazione, bensì una offerta di collaborazione specificatamente in America del Sud. Difficile non leggervi una critica implicita al pessimo Sanchez che troppi casini ha combinato con l’ottimo Milei.
Ma pure un eco del viaggio di Meloni in Brasile e Argentina, evidentemente svoltosi con vero successo. Pure economico, visti i grandi investimenti italiani promessi: investimenti che solo un Paese senza debito estero netto può veramente fare.
7-Trump
Infine, la settima ed ultima voce è quella del buon Donald Trump. Il quale non elabora, ma tira le somme. Prima dicendo di Meloni che è “grande” e che ha “molta energia”, aggiungendo: “sono stato molto con lei” e “siamo andati d’accordo alla grande”. Poi, ribadendo che Meloni è “un fantastico leader ed una fantastica persona”, senza dimenticare un “amo l’Italia”, che non sta mai male. Che Dio benedica Donaldo.
Conclusioni
Sette voci giunte a parlare con interesse di noi e del nostro governo, non capitano tutti i mesi. Anzi, non capitano quasi mai, forse proprio mai. Eppure, questo mese sono capitate. Che vorrà dire? Che siamo un Paese forte, anche se ci percepiamo deboli. Che abbiamo una politica estera sensata, anche se fatichiamo a intravvederla.
Che abbiamo i soliti nemici, in giro per Leuropa. Ma che abbiamo pure qualche buon amico, in giro per il mondo. L’occasione durerà finché potrà durare ma, nel frattempo, vediamo di non sciuparla.