Da TikTok a Timu, fino alle auto elettriche. Che si tratti di social network, di siti di vendita online o costruttori di veicoli elettrici, in questa fine di mandato per il presidente Joe Biden pare proprio che tutte le attenzioni siano rivolte ai pericoli che vengono dalla Cina.
Il caso TikTok
Cominciamo dalla vicenda TikTok: il 12 febbraio di quest’anno il Wall Street Journal ci informa trionfalmente che il presidente Biden ha aperto un proprio profilo sul social network. L’idea – viene spiegato – è parlare ai giovani elettori e il modo migliore di farlo è parso quello di esordire parlando di calcio, quello americano, in occasione del Super Bowl.
Grande sospiro di sollievo da parte della dirigenza di ByteDance, la società che ha creato TikTok: se il presidente stesso usa i nostri servizi – hanno pensato – la minacciata chiusura o vendita forzata – un processo messo in marcia anni fa da Donald Trump – è forse lontana o svanita del tutto.
Si sbagliavano: il 13 marzo il Senato Usa approva invece a grande maggioranza un progetto di legge teso a obbligare ByteDance a cedere la piattaforma social o a chiudere i battenti sul territorio statunitense.
Le accuse
La questione riguarda i dati: chi li controlla? Gli Stati Uniti hanno due motivi principali di preoccupazione. Alcuni mesi fa BuzzFeed aveva scoperto che gli ingegneri di ByteDance in Cina avevano avuto accesso ai dati privati degli utenti americani. La società aveva ammesso che alcuni suoi dipendenti, compresi due con sede in Cina, avevano spiato alcuni giornalisti americani e ottenuto i loro indirizzi IP, affermando però trattarsi di iniziative individuali, al punto da licenziare i responsabili.
Altra accusa. ByteDance potrebbe utilizzare gli algoritmi di TikTok per influenzare gli americani, secondo il playbook utilizzato da Cambridge Analytica tramite Facebook (società accusata tra l’altro di aver causato la sconfitta di Hillary Clinton). Ad esempio, TikTok è stata accusata di censurare video su argomenti politicamente sensibili per la Cina, come l’indipendenza del Tibet e il massacro di Piazza Tienanmen.
A noi viene da dire: e l’Europa? Il Senato Usa vuole obbligare ByteDance a vendere TikTok a società con sede negli Stati Uniti: se questo accadesse, server algoritmi e dati finiranno su suolo statunitense e noi europei ci ritroveremmo con lo stesso problema – dati in mano a società estere.
Le risposte europee sembrano essere solo leggi e regolamenti, tutte cose che a noi pare creino più fastidio (vedere gli infiniti popup di richiesta autorizzazione a ogni passo) piuttosto che una vera tranquillità.
Il mistero Temu
Veniamo a Temu, gigante cinese dell’e-commerce che sta insidiando il primato di Amazon. Temu, iniziativa della misteriosa PDD Holdings, è cresciuto rapidamente ed è ora uno dei gruppi di e-commerce più grandi della Cina, rivaleggiando con Alibaba. I ricavi sono stati nell’ultimo trimestre pari a 9,4 miliardi di dollari.
Tuttavia, come ben spiegato in un recente articolo del Financial Times, le sue finanze e operazioni sono avvolte nel mistero. Temu ha molti meno dipendenti e asset fisici rispetto ai suoi concorrenti, pur generando entrate paragonabili. I conti e il modo di operare di PDD sollevano molte domande. Ad esempio, perché indicatori fondamentali come personale e spese non corrispondono al livello e alla crescita delle entrate? La società pare impiegare circa 13.000 dipendenti, un decimo di quelli di Alibaba e una minima frazione di quelli di Amazon.
PDD Holdings non fa sapere nulla di ufficiale sulle sue dimensioni, la posizione o il numero dei magazzini che affitta. La logistica, i server e i centri di assistenza clienti, tutte le funzioni paiono essere in gran parte esternalizzata. L’opacità si estende all’interno dell’azienda, dove il personale utilizza pseudonimi e non i propri veri nomi. Ma certamente anche Temu, come da decenni fa Amazon, memorizza e analizza dati e abitudini di acquisto dei cittadini americani.
Auto elettriche spie
Terminiamo con il settore dei veicoli elettrici, un segmento chiave sul quale si basa gran parte dell’economia di tante nazioni. “I veicoli elettrici (cinesi) potrebbero essere fermati a distanza da Pechino per bloccare le strade e rubare i dati dei conducenti”, ha scritto in un recente articolo il Daily Mail. In pratica, i veicoli “potrebbero essere un cavallo di Troia del Partito Comunista Cinese”, come affermato dal presidente dell’associazione costruttori inglese.
È cinese ad esempio la BYD, il produttore di auto elettriche più vendute al mondo. L’azienda ha messo sul mercato 526.409 veicoli elettrici nell’ultimo trimestre dello scorso anno, rispetto ai 484.507 di Tesla.
A fronte di questi dati, Joe Biden ha annunciato il mese scorso nuove misure contro le case automobilistiche cinesi, per impedire loro di vendere veicoli elettrici negli Stati Uniti. Motivo? I rischi per la sicurezza. Nelle parole del presidente, “se alla Cina fosse permesso di inondare il mercato dei veicoli elettrici, le case automobilistiche potrebbero facilmente monitorare i dati dei consumatori”. Dimenticando forse che questa pratica è ormai comune, inventata e avviata da parte dei costruttori storici Usa, quali General Motors e Ford.
Risale a poche settimane fa tutta una serie di articoli su una triste scoperta da parte di molti automobilisti statunitensi: un incremento sostanziale del costo delle proprie assicurazioni. Motivo addotto: guida non sicura e frenate troppo brusche.
Le assicurazioni Usa possono infatti comprare dai costruttori storici tutti i dati relativi allo stile di guida dei propri clienti. Acquisiti tramite una specie di scatola nera non dichiarata presente nelle recenti vetture. Esatto: le vetture registrano – senza informare il proprietario – tutti i dati possibili e immaginabili, rendendoli disponibili al costruttore che a sua volta li rivende alle assicurazioni.
L’ipotesi che il Partito Comunista Cinese voglia spegnere in remoto le vetture – come affermato dall’esperto inglese – ci pare assolutamente ridicola, ma il fatto che questo possa disporre di dati anche riservati di cittadini statunitensi che utilizzano vetture cinesi è una certezza.
Invasione della privacy
Tre settori differenti, lo stesso dubbio: la Cina è un partner commerciale sicuro e rispettoso delle regole occidentali, come non cessa di ripetere Xi Jinping? Non siamo in grado di rispondere alla domanda, ma una cosa ci pare chiara: l’invadenza nella vita privata è un problema generale, dove a volte noi occidentali siamo addirittura pionieri.
A noi cittadini non resta che proteggerci come possiamo: non con leggi e popup ma con la massima moderazione nel fornire a terzi i nostri dati, e con una continua attenzione a quanto scrivono i cattivissimi hackers. Quelli che sanno dove cercare.