Il male ha colpito ancora. Sì, il male, che anche in questo caso è individuabile e definibile nella persona che lo ha compiuto. Nessuno di noi, a distanza di migliaia di chilometri, potrà capire il dolore immane che ha travolto le famiglie della piccola cittadina di Uvalde nell’immenso Stato del Texas. Ed è forse comprensibile il grido di emotività e disperazione dei cittadini che, senza titubanze, inneggiano all’inasprimento delle leggi per controllare la vendita e il possesso di armi.
Chi invece non suscita alcuna comprensione è quella parte del mondo politico che, anche davanti alla tragedia umana, non smette pretestuosamente di portare avanti le proprie posizioni ideologiche. A onor del vero, non sono solo i Democratici a farsi breccia nella strage di Uvalde per rivendicare la loro lotta contro il Secondo Emendamento, vista la convention dell’NRA a Houston, che tuttavia, sempre per onor di cronaca, era già prevista da diversi mesi senza poter ovviamente prevedere ciò che sarebbe accaduto.
Emotività vs razionalità
Distaccandoci per un momento dall’ondata di violenza di questi giorni, con quel ragionamento a mente lucida che è possibile solo a chi, fortunatamente, può guardare con distacco all’accaduto non essendone realmente coinvolto, si può affermare che il tema delle armi da fuoco è forse il più esemplificativo nel dimostrare come l’emotività superi ampiamente la razionalità, avallando le parole del grande Thomas Sowell:
“The reason so many people misunderstand so many issues is not that these issues are so complex, but that people do not want a factual or analytical explanation that leaves them emotionally unsatisfied. They want villains to hate and heroes to cheer – and they don’t want explanations that fail to give them that.”
Invece di puntare unicamente il dito contro il Secondo Emendamento, dovremmo considerare gli errori del caso, come l’ingiustificata esitazione delle forze dell’ordine o l’assenza di adeguati controlli all’entrata dell’edificio.
Come già ampiamente chiarito da Tommaso Alessandro De Filippo e Matteo Milanesi, pensare di prevenire certe atrocità restringendo la libertà individuale di armarsi è pressoché inutile. Chi vuole commettere un crimine sarà sempre in grado di procurarsi un’arma illegalmente, anche in un contesto di stretto controllo sulle vendite.
Le armi come deterrente
Nelle righe che seguono mi permetterò dunque di aggiungere qualche dato altrettanto rilevante sul valore dell’arma come deterrente e sul mito infondato per cui gli Stati Uniti d’America sarebbero il Paese al mondo più colpito dal fenomeno delle sparatorie di massa.
Tanto per cominciare, come afferma l’esperto John R. Lott, il 92 per cento dei crimini violenti commessi ogni anno in America avviene senza armi da fuoco, che invece corrispondono ad un ben minore 7,9 per cento del totale. Diversi studi confermano poi come oltre il 70 per cento degli aggressori armati si rifornisca illegalmente.
Va inoltre precisato che gran parte dei possessori di armi negli Stati Uniti le acquista proprio per non utilizzarle, cioè a scopo puramente difensivo. L’arma è perciò un deterrente capace di prevenire moltissimi crimini che sarebbero altresì compiuti se le potenziali vittime non fossero armate. I dati riportati dalla Foundation for Economic Education attestano come il 60 per cento dei convicted felons abbia rinunciato ad agire nei casi in cui la controparte fosse armata e che il 40 per cento non abbia commesso il reato laddove vi era anche solo il sospetto che la vittima fosse appunto in grado di difendersi.
La più eclatante evidenza giunge da un report del 2013 (Priorities for Research to reduce the Threat of Firearm-related Violence) commissionato, ironia della sorte, dall’ex presidente Barack Obama, dove si afferma che in un anno si possono potenzialmente evitare fino a circa 3 milioni di crimini, per il solo fatto che l’aggredito è in possesso di un’arma a scopo difensivo:
“Defensive uses of guns by crime victims is a common occurrence, although the exact number remains disputed (Cook and Ludwig, 1996; Kleck, 2001a). Almost all national survey estimates indicate that defensive gun uses by victims are at least as common as offensive uses by criminals, with estimates of annual uses ranging from about 500,000 to more than 3 million per year […] ”.
I Paesi più esposti al rischio sparatorie di massa
È infine opportuno confutare la narrazione consolidata che pone gli Stati Uniti in cima alla classifica dell’abuso di armi da fuoco e dunque maggiormente esposta ai rischi di sparatorie di massa. La Foundation for Economic Education dimostra con questi grafici che ci sono Paesi, nella nostra vecchia Europa, che devono preoccuparsi ben più degli Stati Uniti in materia di mass public shootings.
Nella prima tabella vediamo come tra il 2009 e il 2015, gli Stati Uniti siano risultati all’undicesimo posto in quanto a tasso di mortalità da sparatoria di massa per milione di abitanti, dietro numerosi Paesi europei ritenuti molto pacifici.
Nella seconda tabella, gli Stati Uniti risultano al dodicesimo posto per frequenza delle sparatorie di massa per milione di abitanti tra il 2009 e il 2015, dietro sempre a numerosi Paesi europei.
Con questo non si vuole in nessun modo negare il fatto che tale problema sia più forte dall’altra parte dell’Atlantico piuttosto che in realtà occidentali come la nostra, e nemmeno minimizzare tragedie come quella di Uvalde. Semplicemente, la questione non è di esclusività americana e va trattata alla luce dei dati e delle informazioni che si hanno a disposizione, senza dimenticare che ogni Stato ha una legislazione diversa in materia e che i gun rights non sono negoziabili per buona parte degli americani.
Temi così delicati e complessi vanno affrontati con la giusta dose di evidenze e di fredda razionalità, senza farsi trascinare da un’emotività che inevitabilmente travolgerebbe chiunque vivesse, anche solo da vicino, l’uccisione ingiustificata di giovani vite umane che, ieri come oggi, ha cause ed errori che vanno ben oltre il contestato diritto di possedere armi, affondando le radici nelle profondità del disagio individuale e nella mancata tempestività di chi era tenuto ad intervenire.